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Channel: DIARIO DI PENSIERI PERSI
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Recensione "Martirio" di Mishima Yukio

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Titolo: Martirio
Titolo originale: Junkyo
Autore: Mishima Yukio
Editore: Via del vento
Collana: Ocra gialla
Pagine: 35
Prezzo: € 4,00
Pubblicazione: settembre 2009
QuartaUn racconto giovanile del grande Mishima tradotto per la prima volta in italiano direttamente dal giapponese.





RECENSIONE
Junkyoè un racconto di morte, di incomprensione, di negazione dei sentimenti. Ma è anche un racconto singolarmente sensuale, di un erotismo sotterraneo e disturbante che, muto, accompagna ogni singola pagina e si manifesta in due episodi, bruschi e vibranti: un bacio ruvido nella luce spettrale di una notte di luna e un morso che richiede riconoscimento, senza ottenerlo, e colora di rosso la scena, sino a quel momento bicromatica e scura. Impressiona l’equilibrio con cui il giovanissimo Mishima, allora solo ventiquattrenne, costruisce questo breve racconto (del 1948), schizzando con eleganza, poesia e quasi con ferocia ritratti ed eventi e inserendovi in nuce tutti gli elementi che caratterizzeranno poi la sua produzione letteraria e che, probabilmente, rappresentano i suoi turbamenti, manie, ideali più profondi: l’omosessualità, il fascino della nudità maschile, il valore ambiguo della bellezza, il complesso e tormentato rapporto tra Eros e Thanatos.

Dalla prima apparizione di Watari, dalla descrizione della sua bellezza e dall’accenno al suo isolamento nella scuola, il lettore conosce quale sarà il suo destino e non può che attenderne, impotente, il compimento. Femminile nei tratti e nella docilità con cui risponde agli attacchi dei compagni di scuola, “armati fin dall’età di tredici o quattordici anni di una freddezza di cuore e un’arroganza degne di tanti adulti”, Watari è l’antonimo e al contempo la naturale metà – e quindi polo di ineluttabile attrazione  di Hatakeyama, il Re Demone del dormitorio, audace, crudele e bellissimo, che “nudo, aveva le forme perfette di un giovane uomo” e che, nonostante la giovane età, manipola, affascina e asserve i suoi compagni e quelli delle classi superiori. Galeotto del loro confronto è il “furto” di un libro – mascherato con una “non invitante carta marrone” ed etichettato “con caratteri infantili sulla costola” come Le vite di Plutarco– ambito da tutto il dormitorio: quando Hatakeyama punisce Watari per essersene appropriato senza permesso, tra i due archetipi squisitamente mishimiani del femmineo e del virile si accendono l’attrazione e l’avversione, che porteranno prima a una relazione erotica e poi all’uccisione di Watari per mano degli scagnozzi di Hatakeyama su suo ordine.

Non sfuggono i molti elementi della narrazione che giustificano il titolo e rimandano alla dimensione mistica del Cristianesimo: dall’atteggiamento mite di Watari alla sua caratteristica risposta ai soprusi e alle violenze subite dai compagni – il levare gli occhi al cielo quasi estraniandosi dalla scena –, alla misteriosa scomparsa del suo cadavere, che evoca l’immagine del sepolcro vuoto di Cristo.

Amore, morte e bellezza sembrano danzare sul palcoscenico di questo dramma in atto unico, impersonando ruoli inaspettati e dando vita a figure che sfuggono alle trame tradizionali. Dove l’una – la bellezza – dovrebbe innalzare l’altro – l’amore – ci sono invece mortificazione e rifiuto; dove l’uno – l’amore – dovrebbe annullare il desiderio dell’altra – la morte – ci sono invece esaltazione e distruzione.

Un piccolo gioiello, complesso, conturbante e inquietante.



L'AUTORE
Mishima Yukio, pseudonimo di Hiraoka Kimitake, nacque a Tokio nel 1925. La sua seconda opera, Confessioni di una maschera, in parte autobiografica, gli conferì subito fama e successo anche all'estero. Popolarità che si consolidò con opere come La voce delle onde, Il padiglione d'oro, Lezioni spirituali per giovani samurai e soprattutto con la tetralogia Il mare della fertilità (1965-1971 - in Italia i quattro volumi sono stati pubblicati da Bompiani). Morì suicida nel 1970, con un rituale di seppuku pubblico davanti alle televisioni nazionali.

Recensione “Guarda che è normale! Siamo tutte super mamme” di Silvia Gianatti

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Cari lettori, 
a volte scegliamo i libri da recensire in base ai nostri gusti o alla curiosità che suscita in noi una quarta di copertina. Altre volte invece ci vengono assegnati in base al nostro background o all'attinenza con argomenti che abbiamo già trattato.

Questo libro mi è stato assegnato grazie al mio nuovo status, quello di neomamma. 
Guarda che è normale! Siamo tutte super mamme opera prima per adulti di Silvia Gianatti, si rivolge infatti a questa “categoria” , o se vogliamo a questo club nel quale sono da poco entrata a far parte. 

Da neomamma a neomamma, 409 pagine di aneddoti, consigli e riflessioni

Autore: Silvia Gianatti 
Titolo: Guarda che è normale! Siamo tutte super mamme 
Casa Editrice: Leggereditore 
Pagine: 416 
Prezzo:€ 10,00 
Data pubblicazione: 18 Aprile 
Trama: “Ieri avevi un pancione grosso come un cocomero, del tipo che se ne vedi uno così al supermercato non provi neanche a sollevarlo. Oggi hai in braccio una minuscola creatura che piange, piange e ancora piange. D’altronde, come dargli torto? Tu ieri avevi il cocomero, lei aveva il caldo, il silenzio, la tua voce ovattata, il buio e cibo a volontà. Oggi ha freddo, ha fame, c’è luce e c’è rumore. Lei non ha capito che cosa è successo. Tu sì. Benvenuta, mia creatura, sono la tua mamma.” 
Un manuale divertente e scanzonato che tratta con ironia e senso pratico le problematiche e i dubbi legati ai primi sei mesi di vita di tuo figlio. Una lettura gradevole e spiritosa anche per chi non ha bambini in casa, e che strappa più di una risata.

RECENSIONE
Partorire è la prova più coraggiosa e nobile e formante per la donna. Ma anche nel dopo non si scherza.

Nel dopo non si scherza, anzi è lì che viene il bello. 
Tra poppate e paranoie varie sul “piange, perché piange, ma quanto piange, smetterà mai di piangere?” c’è da perderci la testa, e quando si è nell'occhio del ciclone della neomammitudine, la luce alla fine del tunnel sembra non esistere.

Ti chiedicome tua mamma, tua nonna, la tua amica, abbiano superato tutto questo, come abbiano resistito alla stanchezza e alla carenza di sonno. Ti dici che, se sono tornate ad essere persone equilibrate con una vita normale, ad un certo punto la luce prima o poi arriverà ma adesso, con il pupo che singhiozza per chissà quale motivo, non riesci proprio a crederci
La domanda più ricorrente, la domanda più preoccupante. Dorme? A volte. Quanto dorme? Mai abbastanza. Niente è importante come la nanna. Il sonno del tuo bimbo decreta la tua sanità mentale. Non sto esagerando: se la Patata dorme vuol dire che dormo anch’io e la giornata trascorre in armonia e serenità. Ma se non dorme... tutto diventa pesantissimo. 
Silvia Gianatti intende rivelare a tutte le sue lettrici quella luce attraverso la sua esperienza di neomamma, che nel ciclone di ansie e poppate ci è passata e che pian piano ha visto finalmente la quiete dopo la tempesta.

Un libro simile ad un manuale: diviso in undici macro sezioni composte dalle classiche domande più comuni, alle quali la Gianatti risponde in maniera chiara e coincisa (un paio di pagine al massimo). Da leggere sul letto mentre la tua, di patata, è nella palestrina, o magari su una panchina al parco mentre lei sonnecchia e tu la ninni con il piede.

Una piacevole avventura dal tono ironico e confidenziale, con uno stile spigliato che scorre veloce e fa sorridere. Scritto da quella che potrebbe essere una tua amica o una sorella che ha partorito qualche mese prima di te e che ti racconta con sincerità quali sono stati i suoi dubbi e le sue paure, come le ha affrontate, cosa le hanno consigliato altre neomamme, le puericultrici, i pediatri. Leggendo vi troverete spesso a dire “guarda, anche la mia (o il mio) bimba fa così/la mia questo non lo faceva”. Cercherete nelle sue parole un po' di voi stesse e riuscirete a ridere delle battute e degli aneddoti che Silvia vi offre. 

Il messaggio che arriva chiaro e forte, anche alle menti delle neomamme più stanche ed in preda agli ormoni, è quello di stare serene. L’importante è fare quello che ti rende tranquilla, seguendo i tuoi ritmi e i tuoi tempi, mettendo al bando pressioni e aspettative esterne. Il bambino è tuo e nessuno meglio di te può capire come trovare l'equilibrio giusto tra le tue e le sue necessità. Se tu sei serena, lui riuscirà a percepirlo e si rasserenerà.

Altro messaggio importante: goditi questo momento. Perché le notti insonni e i suoi pianti inconsolabili passeranno presto (anche se sembra impossibile crederci) e un po' ti mancherà.

Guarda che è normale! Siamo tutte super mamme è un libro che consiglio a tutte le neomamme: per confrontarsi ma anche, e soprattutto, per rilassarsi. Un modo per ridere e sorridere delle proprie paranoie su latte/crescita/cacca/sonno/pianto/coliche/tutto quello che gira intorno ad un bebè perché, è proprio vero, con la patata (la mia) che ha quattro mesi e che ormai dorme tutta la notte, quella luce in fondo al tunnel, non solo sembra vicinissima, ma anche luminosa ed abbagliante.

 L’AUTRICE 
Silvia è scrittrice, sceneggiatrice e giornalista. Ama le risate, i baci, essere voluta bene ‘da qui fino al bar’, vedere lei che dà la mano a lui dentro al passeggino, stare in quattro nel lettone al mattino, la musica da cantare in macchina, i telefilm, lo smalto scuro, il mare. Odia i ragni, i capricci, le domeniche di pioggia, la muffa che spunta dal muro della cameretta, le mamme che non salutano, le notti interrotte, le attese, i non detti, il tempo che non basta mai, essere indecisa e anche un po’ (molto) disordinata. Questo è il suo primo libro tutto suo.
facebook: guardachenormale 
twitter: @guardache 
Sito autrice QUI 

Recensione doppia "Miele" di Ian McEwan

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Cari lettori,
oggi vi proponiamo una recensione scritta da due diverse angolazioni. Infatti Antonella è alla sua prima lettura di McEwan e ha potuto guardare a questo scrittore in modo spassionato. Petra, d'altra parte, ha letto e amato i romanzi di questo autore di culto già da tempo e forse ha colto dettagli che le hanno richiamato lo stile e gli intrecci del McEwan più acclamato. Così ecco a voi una recensione per così dire "bifronte" che vi offrirà un pro e un contro con i quali potrete schierarvi o che potrete accogliere come facce di una stessa medaglia.

«IAN McEWAN È UNO DEI PIÙ GRANDI NARRATORI LETTERARI OGGI VIVENTI».
James Wood, «The New Republic»

Autore: Ian McEwan, M. Balmelli
Titolo: Miele
Titolo Originale: Sweet Tooth
Traduzione di Maurizia Balmelli
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli
Pagine: 351
Prezzo:€ 17,00
Data di Pubblicazione: 8 Novembre 2012
Trama: Per Serena Frome, bella figlia di un vescovo anglicano, l'avventura sta tutta nei romanzi che divora uno dopo l'altro per sfuggire alla noia. Ma quando l'agenzia d'intelligence britannica MI5 la ingaggia come spia al servizio della guerra fredda, per lei il rischio e la passione si trasferiscono dalla carta alla vita.
«Miele» è il nome in codice dell'operazione cui deve prendere parte, Tom Haley quello del romanziere che ha il compito di adescare. Dovrà avvicinarlo, coprirlo di quattrini e segretamente assoldarlo alla causa dell'Occidente. Dovrà batterlo sul suo stesso terreno, quello della finzione. Non tradirsi. Non fidarsi. E perderà.
RECENSIONE

ANTONELLA
Se un romanzo è narrare ricostruendo un background storico e sociale coerente, Miele di Ian McEwan è un romanzo ottimamente strutturato. L’ambientazione è curata fino ai particolari; l’autore l’ha concepita come una spy story nel senso che la protagonista, Serena, lavora per l’MI5 il servizio di controspionaggio interno della Gran Bretagna, contrapposto e affiancato all’MI6 che si occupa degli esteri. La protagonista Serena Frome è una giovane bellezza inglese – che dolore queste definizioni stereotipate – che in epoca di contestazione, siamo nei primi anni ’70, si trova, nell’ordine, a essere piuttosto conservatrice essendo figlia di un vescovo protestante, a farsi un amante quasi anziano e attraverso lui a lavorare per una branca noiosissima dell’Intelligence Service. È insomma un colletto bianco dello spionaggio, non porta una bombetta nera e una mela verde sulla faccia solo per uno strano caso. Nel qualunquismo e nella banale catena di montaggio delle spie, peggio della sanità pubblica, si trova a partecipare a un progetto governativo per favorire autori di letteratura che portino acqua al mulino opposto a quello comunista, che difendano insomma il mondo occidentale. Così Serena, sotto la copertura di un’organizzazione filantropica, porta finanziamenti quasi disinteressati e gratuiti a un giovane autore i cui racconti già l’avevano affascinata. Nasce una storia d’amore fra loro e la letteratura e quella che, con qualche difficoltà, possiamo chiamare passione regnano incontrastate. O meglio minacciate solo dal fatto che l’autore non sa che Serena è del MI5 e che il suo sponsor sia un’agenzia governativa. Il rischio è che sapendolo la loro bella storia d’amore possa finire.

Dunque, Serena all’inizio del libro è accompagnata dalla sua giovinezza tranquilla e da una bellezza riconosciuta en passant, dalla scelta della facoltà – matematica, sebbene lei avesse preferito letteratura – dalle sue prime storie di sesso. Poi c’è il suo professore, Tony Canning, l’uomo che la dirozza intellettualmente, la ama e la protegge fino al momento in cui la abbandona crudelmente. Era stato una spia, ovvio; la lascia dopo averla avviata all'agenzia.

È necessaria una nota per comprendere un dato fondamentale di questo romanzo: i libri. Serena è una lettrice affamata, prima di romanzi di poco conto, poi, al seguito del suo amante scrittore, si avvicina alla letteratura, ma questo non è così importante. Il punto è che è affascinata dai meccanismi narrativi che giudica con attenzione e senso critico molto personale. Infatti nel libro sono presenti le storie dei racconti e dei romanzi che Serena legge, soprattutto quelli di Thomas Haley, lo scrittore che le è assegnato con l’operazione Miele e che lei apprezza con trasporto. Insomma ci sono storie dentro la storia, storie indagate nei loro ingranaggi, nella loro costruzione, nelle motivazioni dei protagonisti, che trovano eco riflessa poi nelle vicende vissute da Serena, da Tom e da altri rari comprimari, come Max, il superiore diretto di Serena che si innamora di lei, e da Shirley Shilling, amica e collega.

La cifra distintiva di questo romanzo però è che tutte sue le componenti suscitano il dubbio che nessuna sia la componente fondamentale. Io leggendo mi sono spesso chiesta dove l’autore volesse andare a parare; perché la storia passionale non è in definitiva abbastanza passionale, perché i rivolti da spy story non sono in nessun modo abbastanza spy! Mi spiego: è molto probabile che nella realtà lavorare per l’Intelligence inglese fosse davvero così negli anni ’70, ma anche in genere, e questo dimostra la capacità documentativa di McEwan e il suo amore per la verosimiglianza; tuttavia una storia di spie deve avere un mordente che qui è assolutamente introvabile. E non parlo necessariamente di romanzi d’azione, bensì mi riferisco, nel paragone, a classici come ad esempio quelli di Le Carrè, in cui la componente psicologica, le dinamiche intimistiche fra i personaggi sono assolutamente preponderanti rispetto a inseguimenti o torture o missioni di copertura.


Riguardo alla caratterizzazione della protagonista, Serena è assolutamente grigia. O meglio, beige. Il suo carattere, le sue scelte, le sue preoccupazioni sono posati, scialbi, quasi neutri: è come se esitasse a sentirsi donna. Si lava i capelli, si stira la gonna, valuta le prestazioni degli uomini che ha amato con una mancanza di rilievo emotivo che stupisce. Mi sono chiesta: sarà perché è inglese? Perché è una conservatrice negli anni ’70? Perché ritiene che così debbano comportarsi le spie? Sebbene sia praticamente meno di una segretaria, nel suo lavoro per il governo. Quando sembra di intravedere una trama di tipo davvero spionistico la cosa viene fatta cadere e poi si capisce che non era nulla di quello che si stava cominciando a sperare.

Verso la fine mi è venuto da pensare che il problema fosse che questo è un romanzo tagliato con il punto di vista di una donna, scritto però da un uomo. Eppure sapevo che McEwan è un grande, anche se questo è il primo romanzo che di lui ho letto.

E poi capisci. Si capisce tutto. Ovviamente non vi dico cosa, caso mai non l’aveste ancora letto, ma certo McEwan accompagna il lettore a pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui Serena Frome vive il suo essere donna, così senza colori, senza sensazioni e reazioni, senza immedesimazione vera con quello che nel frattempo di grave e importante succede nel mondo: la nostra eroina è in fondo una qualunquista, sebbene discuta di politica, di economia e società durante le cene con il suo amante. Risulta troppo scialba, per quanto possa essere pacata e … beh, inglese. E arriva anche la conferma a quello che era emerso già dall’inizio: questo è un romanzo sui romanzi, sulla creazione narrativa, sui processi di identificazione, su come gli spunti della realtà entrano in una trama, sull'ipotesi che la realtà sia solo una storia che ha bisogno di un narratore che pretenda di darle mordente, sul meccanismo con cui un lettore si cala in un romanzo e come un romanziere si cala nei suoi personaggi e nei suoi lettori.

Metaletteratura? Sì, mi sa. In generale posso dire che funziona? Ni. La storia di Serena Frome suona un poco stonata, come se certi tasti del pianoforte non siano ben accordati e rovinino l’effetto. È voluto? Forse sì, visto il finale rivelatore, ma questo non scusa del tutto McEwan, secondo il mio personale parere. Ha scritto un divertissement cerebrale, cercando di trascinarci in quella che per lui è l’avventura creativa: un gioco di scatole cinesi che vuole disorientare, che vuole introdurre nei meccanismi in cui un autore è costretto a sguazzare. Lo scrittore sarebbe allora il grande demiurgo che prende frammenti della realtà e li costruisce in un puzzle non solo coerente, ma proprio furbo e scaltro, compiacendosi del giocattolo che ha a sua disposizione.

Si può scrivere una storia che parla di come funzionano le storie? Sì, ma che poi risulti entusiasmante leggerla è completamente un’altra faccenda: magari sarà per un prossimo romanzo.

PETRA
Il titolo originale di Miele, Sweet Tooth (una parola che sta più o meno per “golosità per i dolci”), avrebbe probabilmente dato un indizio in più nell’individuare la chiave di lettura di questo romanzo, poiché quello che avete davanti non è un romanzo qualsiasi, ma una ben studiata creazione letteraria, una vera operazione – rubando un termine alla pittura – “manieristica” sulla scrittura. Pochi avrebbero potuto riuscirci e meno ancora divertendosi, come è stato per McEwan.


I lettori novizi allo stile di questo scrittore stenteranno a tenersi in piedi sul terreno in costante cambiamento che fa da base al romanzo; cercheranno il bandolo della matassa, in piedi, in equilibrio precario, retto appena da decine di fili tesi e intrecciati tra loro, dimenticando l’unico punto di vista utile alla comprensione: quello esterno dell’autore, appunto.

In Miele ho ritrovato il piacere di un meccanismo complesso, quello che muoveva Espiazione, solo a un livello superiore, di non immediata intuizione, sebbene – sapendo del suo talento con le parole – potessi aspettarmi sin dal principio qualcosa di particolare. Il romanzo è un collage di episodi con i relativi protagonisti, a nessuno di questi però è dato di emergere per importanza. Tornando alla metafora della matassa, potrei semplificare affermando che non c’è un filo più colorato di un altro, sono tutti piuttosto neutri, persino scambiabili tra loro, sentirsi come affetti da labirintite ne è una voluta conseguenza!

Serena non è un’eroina, né un personaggio a tutto tondo, al contrario, risulta scialba, incolore, negativa tanto che è impossibile identificarvisi, preda costante dell’insicurezza, del bisogno di conferme. Sembra essere la donna meno adatta al ruolo di protagonista, invece è svelatamente vera, persino banale e questo la rende tanto imperfetta da essere noiosa.


Il percorso a zig zag della sua carriera è un altro riferimento alla realtà, dove più che le aspirazioni, vincono le coincidenze, negative o positive che siano. Il personaggio non si evolve, né guadagna o perde qualcosa alla fine, se si esclude una certa consapevolezza forse prevedibile, ma come il fato insegna, non certa.


E così gli altri personaggi galleggiano come tanti iceberg il cui sommerso possiamo solo immaginare, anche perché non è nascosto lì il motore della trama. Tony Canning, Thomas Haley, Shirley Shilling, Max Greatorex, sono solo pedine di un gioco di ruolo del quale McEwan ha inventato le regole, per poi trasgredirle ai fini di un esito slegato dai doveri di un intreccio tradizionale, preferendo alla storia, il suo contesto, ovvero gli imminenti cambiamenti storico-sociali degli anni ’70 e l’inevitabile influenza sulle vite dei personaggi, così com’è stato all’epoca per il giovane McEwan.È questo perenne equilibrio tra prevedibilità e incertezza a reggere tutto, una metafora della vita se vogliamo che si palesa un po' come una catena di deja vu, quei momenti incomprensibili che la mente crede di aver già vissuto, si convince di conoscere fatti e azioni dell’attimo successivo, così tenta di deviare qualcosa in quel ricordo, scoprendo di aver fatto lo stesso cambiamento nel momento in cui la memoria diventa presente, lasciando una sola certezza, l’ineluttabilità del destino. In breve, per dirla con un assioma zen: è Zhou che sogna di essere una farfalla o la farfalla che sogna di essere Zhou?Chi leggerà Miele lo faccia senza aspettarsi una movimentata spy-story, né una storia d’amore, tantomeno un racconto biografico della protagonista, questi elementi sono appena abbozzati: del primo si avverte quella sensazione di costante sospetto che ci rende attenti ai dettagli, sebbene questi siano messi lì a mestiere, come cul de sac; del secondo si hanno ritagli di cronaca privi di incipit e di happy ending; dell’ultimo, una macedonia di sentimenti primitivi che – se possibile – tolgono ogni spessore al personaggio femminile.Gli episodi e i suoi abitanti, per finire, sono incollati assieme dalle (e tra le) pagine dei racconti di Thomas, escamotage cercata da McEwan per dare un pretesto all’obiettivo reale del suo incedere nella storia, quello cioè di giocare con il romanzo e i suoi strumenti, un esercizio di stile magistralmente eseguito a conferma di un talento inconfutabile.
McEwan è solito, sia nel romanzo che nella short story, a questi esercizi di stile, che poi sono parte indistinta dal suo modo di scrivere, il fatto che sia comprensibile e apprezzabile o meno è – ovviamente – parere personale e non opinabile.

Restano altrettanto indubbie le sue doti d’istrione della parola: la sua padronanza degli strumenti è tanto raffinata da potergli permettere escursioni che esulano dalla trama ordinaria, persino riflessioni sulla materia letteraria, da riprendere, scindere, riamalgamare in forme diverse, un omaggio all’epoca d’oro della Letteratura in un presente nel quale pare sia già stato scritto tutto, tanto che sopravviene la necessità di meditare sul passato, riscrivendolo in una forma che anticipa il nuovo.

La critica si è spaccata in due davanti a quest’ultimo romanzo di McEwan, così come il pubblico, per questo vi abbiamo proposto due recensioni diametralmente opposte; ma se prestate attenzione ai due fronti in gioco, vi accorgerete che l’unico motivo di scontro è nel gusto personale, il talento dello scrittore nel pro e nel contro resta indiscusso. Dettaglio necessario a distinguere uno scribacchino da uno scrittore.



L'AUTORE
Ian McEwan è nato nel 1948 ad Aldershott e vive a Londra. È autore di due raccolte di racconti: Primo amore, ultimi riti e Fra le lenzuola; un libro per ragazzi: L'inventore di sogni; un libretto d'opera: For You. Ha pubblicato il saggio Blues della fine del mondo e i romanzi: Il giardino di cemento, Cortesie per gli ospiti, Bambini nel tempo, Lettera a Berlino, Cani neri, L'amore fatale, Amsterdam, Espiazione, Sabato, Chesil Beach, Solar e Miele. Tutti i suoi libri sono stati pubblicati in Italia da Einaudi.

Recensione “Innamorarsi a Notting Hill” di Ali McNamara

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Cari lettori,
in questo periodo piuttosto stressante, spesso sento l'esigenza di ricaricarmi con una lettura frivola e divertente come può essere un romanzo chick-lit. Innamorarsi a Notting Hill mi ha incuriosita fin da quando ho scritto la recensione di Colazione da Darcy, dal momento che si tratta del romanzo d'esordio della sua autrice, Ali McNamara. Infatti il suo titolo accattivante (From Notting Hill with Love... Actually), un gioco di parole con i titoli di tre film famosissimi, mi ha subito intrigata. Purtroppo, nella traduzione italiana due dei film nel titolo si sono persi (007 From Russia with love e Love Actually). Mi sono chiesta se, con un titolo così divertente, sarebbe riuscito a mantenere le promesse. Per fortuna Newton Compton, a un anno esatto dalla pubblicazione di Colazione da Darcy, me l'ha fatto scoprire.

Autore: Ali McNamara
Titolo: Innamorarsi a Notting Hill
Titolo originale: From Notting Hill with Love... Actually
Traduzione di Anna Ricci
Casa Editrice: Newton Compton
Collana: Anagramma
Pagine: 307
Prezzo:€ 9,90 hardcover; € 4,99 e-book
Data Pubblicazione: 9 maggio 2013
Trama: Scarlett O’Brien sogna una vita da film. Nel vero senso della parola: perché il cinema, e in particolare le sue amate commedie romantiche, sono molto più eccitanti della banale realtà di tutti i giorni accanto a David, il suo noioso fidanzato. Ossessionata da Hugh Grant, Brad Pitt e Johnny Depp, Scarlett trascorre le giornate con la testa tra le nuvole, e tante serate davanti allo schermo per vedere i suoi romantici film, con un pacchetto di fazzoletti per asciugarsi le lacrime e la mano immersa in un sacchetto di popcorn. Così, quando le si presenta l’occasione di trascorrere un mese in una villa di Notting Hill, scenario di uno dei suoi film preferiti, non ci pensa due volte: potrà capire così cosa desidera davvero e vivere le sue fantasie almeno una volta. Ma quando, a Londra, Scarlett conosce il suo nuovo vicino, l’affascinante Sean, si rende conto che il copione del suo personalissimo film sta per sfuggirle di mano… Forse il destino sta tramando come in Serendipity? O magari sta andando in scena il suo personale remake di Se scappi ti sposo? Ma qual è, in fin dei conti, il lieto fine che Scarlett desidera per se stessa? L’importante è deciderlo in fretta, perché il giorno delle nozze con David si avvicina… La commedia più romantica dell'anno

RECENSIONE
Eccomi di nuovo a recensire chick-lit ed eccomi di nuovo a recensire Ali McNamara. In un primo momento, confesso di essermi ricordata perché Colazione da Darcy non mi avesse persuasa fino in fondo. Non è facile che il chick-lit mi convinca. Spesso le storie sono banali, scontate, oppure sono piene di facilonerie: alla protagonista va tutto liscio come l'olio e, anche se può capitare che abbia difficoltà a sbarcare il lunario, riesce sempre a cadere in piedi.

Non vi dico, poi, quanto mal sopporti la descrizione da capo a piedi dell'abbigliamento dei personaggi con tanto di marche e, poco ci manca, relativo cartellino dei prezzi. Da buona austeniana non solo non considero le descrizioni dell'abbigliamento importanti, ma posso anche fare a meno delle descrizioni fisiche dei personaggi! Ma si sa, I love shopping docet, quindi ci dobbiamo sorbire questa peculiarità del genere letterario spiccatamente femminile e pettegoloUna volta superate le mie difficoltà, però, mi sono trovata davanti a un romanzo alquanto divertente.


Scarlett O'Brien abita a Stratford-Upon-Avon, la città natale di Shakespeare, eppure non sopporta le tragedie del Bardo: lei va pazza per il cinema, in particolare le commedie romantiche, vorrebbe vivere in un film, vorrebbe poter parlare con i suoi attori preferiti, Brad Pitt e Johnny Depp e, quando incontra una qualsiasi persona, ha la tendenza a paragonarla con il personaggio di un film o un attore.

Purtroppo, il suo fidanzato David, con cui dovrebbe convolare a nozze nel giro di pochi mesi, pur essendo ricco – possiede una catena di sale cinematografiche – è non solo piuttosto tirchio, ma anche lontano anni luce dal somigliare a un qualsivoglia attore. Scarlett sostiene di esserne innamorata ma, in realtà il suo è anche un matrimonio di interesse, dal momento che lei è socia del padre in un'azienda di distributori di pop-corn e quale miglior luogo per collocare macchinette per pop-corn se non nell'atrio di una bella sala cinematografica?

Comunque, la mania per il cinema sta portando Scarlett sempre più vicina all'orlo della crisi: la sua vita è ben diversa dalle commedie romantiche che tanto le piacciono, eppure vorrebbe poter dimostrare a suo padre, a David e alla sua migliore amica Maddie, che è possibile vivere in un film. Ne ha l'occasione quando Harry e Belinda, degli amici di Maddie, devono partire per un mese e hanno bisogno di qualcuno che badi alla loro casa. Già c'è il richiamo al film L'amore non va in vacanza del 2006 regia di Nancy Meyers in cui Cameron Diaz e Kate Winslet si scambiano le case e inoltre la casa in questione è situata a Notting Hill, location nonché titolo di uno dei film preferiti in assoluto da Scarlett.

Non appena la giovane vi mette piede rivivrà scene che sembrano essere tratte da quel film, ma non solo. Si scontre-incontrerà con un giovane molto attraente (una via di mezzo fra Jude Law, Ewan McGregor e Brad Pitt) che, forse perché si chiama Sean Bond, non sopporta il cinema. Il padre, infatti, era tanto patito di 007 (forse anche a causa del suo cognome) da chiamare i figli Ursula – come l'attrice che interpretò la sua Bond-girl preferita – e Sean, come Connery. E per fortuna che si è convinto a non chiamarlo proprio James! Sean è il vicino di casa di Scarlett a Londra e, convinto da Ursula e dal bizzarro amico Oscar, aiuterà Scarlett a rivivere alcune scene dai suoi film preferiti, per ricavare un vero e proprio tour cinematografico nei suoi trenta giorni di soggiorno a Notting Hill.

Locandina originale di Insonnia d'amore
E così, fra Quattro matrimoni (niente funerale, per fortuna, dopo tutto siamo in un chick-lit!), tappe nelle location di Notting Hill, giri per i negozi di Bond Street (d'accordo, non è Rodeo Drive come in Pretty Woman, ma è il suo equivalente londinese e poi Sean fa un lavoro che somiglia moltissimo a quello di Richard Gere-Edward) e tantissimi spezzoni tratti da Bridget Jones (sia 1 che 2), Love Actually, Insonnia d'amore, Harry ti presento Sally e innumerevoli altri film romantici, ci ritroviamo a seguire Scarlett in una ricerca.

Già, perché, a quanto pare, nulla accade per caso, e Scarlett si ritrova mille indizi, che la porteranno sulle tracce di sua madre Rosie, un'appassionata di cinema, proprio come lei (e altrimenti perché chiamarla Scarlett, come Rossella O'Hara in Via col vento?), che l'ha abbandonata quando aveva pochi mesi lasciando soli lei e il padre Tom.

Julia Roberts e Hugh Grant in Notting Hill
Per gli appassionati di cinema, soprattutto per coloro che conoscono a menadito i film citati nel libro, è divertentissimo identificare le scene che la McNamara dissemina nell'arco della trama e che ricordano questo o quell'episodio.

Scarlett incontrerà, nell'arco di tutto il romanzo, alcuni dei suoi attori preferiti (non vi dico chi sono per non farvi perdere il divertimento di scoprirlo) ma in nessun caso riuscirà a far sì che l'incontro sia quel che avrebbe voluto. Perché anche se sogniamo di incontrare le star dei nostri sogni e ci figuriamo tutto quel che vorremmo dire e chiedere loro, quando l’opportunità si presenta sarà sicuramente difficile riuscire a comportarsi con naturalezza, sempre ammesso di riuscire a riconoscerle per tempo!

Hugh Grant ne Il Diario di Bridget Jones 
Che dire? Le affermazioni di The Sun («Una storia scoppiettante e divertente.»), del Daily Mirror («Ali McNamara ha saputo creare una storia incantevole e originale.») e di Stylist («Lo leggerete tutto d’un fiato… è davvero entusiasmante.») possono sembrare scontate ma, se penso che ho letto il libro tutto d'un fiato e l'ho trovato estremamente scoppiettante e originale, non posso certo parlare di esagerazione. Sempre tenendo presente che si tratta di chick-lit e che si sa come va a finire.È tutta una questione di percorsi per raggiungere quel finale, e questo percorso cinematografico creato dalla McNamara è davvero divertente.

Speriamo di poter leggere presto il sequel di questo romanzo, pubblicato da Ali McNamara a novembre 2012, From Notting Hill to New York... Actually, in cui Sean, Scarlett e l’amico Oscar avranno nuove rocambolesche avventure.
L'AUTRICE
Ali McNamara ha iniziato a scrivere per gioco postando alcuni pensieri sul sito di Ronan Keating, ex membro della band Boyzone, finché le sue considerazioni non si sono trasformate in una storia vera e propria, che ha attirato migliaia di contatti giornalieri sulla pagina del cantante. Quando si è accorta di questo straordinario successo, Ali ha messo la sua scrittura a disposizione dell’associazione benefica di Keating, vendendo le sue storie all’asta per poi devolvere il ricavato alla lotta contro il cancro. Dopo questo strano inizio, ha deciso di scrivere il suo romanzo d’esordio Innamorarsi a Notting Hill, che è stato un grande bestseller in Gran Bretagna. Il suo secondo romanzo, Colazione da Darcyè stato pubblicato dalla Newton Compton a maggio 2012. A novembre 2012 ha pubblicato il seguito di Innamorarsi a Notting Hill, From Notting Hill to New York... Actually. Per maggiori informazioni, visitate il suo sito www.alimcnamara.co.uk o seguitela su twitter: @AliMcNamara.

Recensione: "Il richiamo delle spade" di Joe Abercrombie

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Cari lettori,
è finalmente arrivato anche sotto il sole – ahimè galeotto in questo periodo – del nostro Bel Paese il primo capitolo della trilogia Fantasy di Joe Abercrombie: La prima legge, di cui avevamo già pregustato i toni nel romanzo The Heroes, pubblicato ad ottobre dell’anno scorso dalla casa editrice Gargoyle (la stessa che ha curato anche la pubblicazione de Il richiamo delle spade). Un Fantasy che si distingue per l’inusuale realismo presente in ogni pagina, inducendo il lettore ad abbandonare decisamente i clichè del classico Fantasy epico per poter godere a pieno di questo romanzo.

Autore: Joe Abercrombie
Titolo: Il richiamo delle spade
Serie: La prima legge
Titolo Originale: The Blade Itself (The First Law #1)
Traduzione di Benedetta Tavani
Editore: Gargoyle
Pagine: 688
Prezzo 19 
Data pubblicazione: 28 marzo 2013
Trama: Logen Novedita, il famigerato barbaro, ha infine esaurito la sua fortuna. Coinvolto in una faida di troppo, senza più amici e con un futuro squallido, potrebbe essere l’ultima volta che guarda la morte in faccia. Ma saranno proprio i morti a offrirgli un’ultima opportunità – qualcuno, là fuori, ha ancora dei progetti per il Sanguinario. Il capitano Jezal dan Luthar, modello di egoismo, ha in mente qualcosa di più pericoloso di semplici sogni di gloria. Ma la guerra è alle porte, gli eserciti si mobilitano e sui campi di battaglia del gelido Nord si combatte per regole ancora più cruente. Glokta l’inquisitore, carnefice storpio, sarebbe contento di veder tornare Jezal in una cassa. D’altro canto, egli odia chiunque. Intessendo tradimenti nel cuore dell’Alleanza un po’ per volta, lascia poco spazio all’amicizia e la sua ultima scia di cadaveri potrebbe condurre dritto al cuore corrotto del governo… se soltanto potesse sopravvivere abbastanza da poterla seguire…

RECENSIONE
Primo libro di una trilogia Fantasy che ha riscosso grande successo in America, Il richiamo delle spadeè in realtà la seconda opera di Abercrombie ad arrivare in Italia: il primo assaggio del suo stile lo abbiamo avuto con The Heroes (potete trovare la recensione qui), ma nonostante la corposità di questo romanzo è solo con Il richiamo delle spade che, finalmente, riusciamo ad entrare pienamente nel mondo creato dell’autore, realizzandone la vastità. In questo primo capitolo, Abercrombie getta molte basi da sviluppare– che permettono di analizzare sotto una nuova luce gli eventi di The Heroes, successivi a questa vicenda – e comincia a spostare i tasselli che compongono l’immenso mosaico con cui cerca di stupire il lettore, riuscendo a rendere l’insieme finale appagante e assolutamente funzionale come capitolo introduttivo di una trilogia.

Lo stile di Abercrombie è asciutto e realista. Invece di giocare con gli elementi classici del Fantasy, infonde nei suoi libri una componente di cruda realtà, creando un mondo così vicino al nostro da risultare quasi vero, tangibile nella sua autenticità. Tra le pagine si possono riconoscere molti elementi sia della nostra storia passata che di quella più attuale, a partire dalla religione per arrivare alle lotte politiche e di classe. Una realtà violenta, difficile e ingiusta, in cui viene a mancare il fascino legato al fantastico. E se il realismo e l’intrinseca coerenza sono punti forti della narrazione – nonché uno degli obiettivi dell’autore, come ci ha rivelato nell’intervista che potete trovare qui–, è proprio la mancanza dell’ingrediente fantastico la pecca dell’opera di Abercrombie. Catapultati in una realtà così simile alla nostra, si perde in parte quella scintilla di entusiasmo che sostiene la lettura. Il mondo de Il richiamo delle spadenon permette di viaggiare con la fantasia. Ci ricorda, al contrario, quanto dura possa essere la vita di tutti i giorni e quanto siamo impotenti davanti ai giochi di potere che avvengono nell’ombra, impossibili da controllare, ma di cui è facile essere vittime più o meno coscienti.

Molti dei personaggi introdotti in questo romanzo ci sono già noti– li avevamo incontrati in The Heroes–, ma vengono presentati sotto una nuova luce: lontano dal campo di battaglia, emergono sfumature e caratteristiche del loro carattere prima inosservate, sia perché gli stessi giocavano un ruolo meno importante nella trama, sia perché ora li vediamo lontani dallo sfondo restrittivo della battaglia, nel loro contesto abituale.

I cambiamenti di POV sono fluidi e ben gestiti: calano il lettore nelle diverse sfaccettature della fibra sociale e politica del romanzo. Nel complesso, la classica struttura che affianca l’alternarsi di più POV, associata ad un approccio moderno, diretto e senza fronzoli si rivela vincente: Il richiamo delle spade riesce a imporsi come “qualcosa di nuovo”, conquistandosi un posto sullo scaffale, di fianco ai titoli delle nuove voci di questo genere. Una sfumatura del Fanstasy non sempre facile da digerire, ma che ha indubbiamente un fascino e una forza innegabili e che può appassionare tutti quei lettori in cerca di realismo, che non sentono troppo la mancanza dell’atmosfera magica ed esaltante del Fantasy epico per definizione.


L’AUTORE 
Joe Abercrombie (1974), dopo aver lavorato come montatore freelance e produttore televisivo, comincia la stesura del romanzo The Blade Itself, primo della popolarissima trilogia fantasy epica The First Law (pubblicata fra il 2006 e il 2008), insieme a Before They Are Hanged e Last Argument of Kings. The Blade Itself gli è valsa la candidatura al prestigioso John Campbell Award per il miglior nuovo scrittore fantasy. Joe Abercrombie è fra gli autori della serie della BBC The Worlds of Fantasy, insieme a Michael Moorcock, Terry Pratchett e China Miéville. Il suo primo libri pubblicato in Italia è The Heroes (Gargoyle, 2012). Abercrombie vive a Bath con la moglie e due figli.

Diario del 26esimo Salone del Libro di Torino: il reportage dei nostri addetti stampa

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Cari lettori, 
siamo arrivati alla fine di questo 26esimo Salone del Libro di TorinoUn'edizione segnata dell'austerity e dalla pioggia, tra stand spariti, case editrici fantasma e interi padiglioni scomparsi: persino lo storico e amatissimo negozio interno dei gadget del salone quest'anno mancava all'appello. E tuttavia un'edizione che ha segnato un netto rialzo dei visitatori, un record assoluto di ingressi (329.860, con un aumento del 4% rispetto ai 317.482 della chiusura 2012) e un incremento delle vendite del +20% di media (+40% Feltrinelli, +10% Gems, +15% Einaudi, +15% Mondadori, +15% Rcs, +20% Laterza, +20% Newton & Compton, +26% Sellerio, +16% Giunti, +15% Adelphi, +30% Voland), nonostante il paventato effetto crisi.



+40% di Feltrinelli
+40% di Feltrinelnonostante i paventati timori dell'effetto crisi. Una Torino che vuole ancora perdersi nei meandri del sogno sulla pagina scritta (cartacea o digitale che sia) nonostante i problemi, la disoccupazione e la disillusione palpabile, che serpeggia tra visitatori e addetti ai lavoUn Salone che è stato On, ma anche Off, con tante proposte dislocate nei luoghi più diversi della città, sempre all'insegna del dialogo letterario, un dialogo forte e motivato che è riuscito, nonostante tutto, a sconfiggere il maltempo che ha segnato questi giorni di maggio.Un Salone coloratissimo, invaso ogni giorno da figuranti in costume e persino qualche cosplayer, attraversato dai tanti dibattiti sul dialogo tra la carta e i pixel, una fucina della grande letteratura, del lavorio sui testi e della traduzione, un luogo di contraddizioni, stranezze e curiosità.
Un Salone che è stato On, ma anche Off, con tante proposte dislocate nei luoghi più diversi della città, sempre all'insegna del dialogo letterario, un dialogo forte e motivato che è riuscito, nonostante tutto, a sconfiggere il maltempo che ha segnato questi giorni di maggio.
 
Noi vi raccontiamo il nostro: e voi, lettori, raccontateci il vostro. Ci siete andati? Ci andate ogni anno? Non ci siete mai stati? Raccontateci la vostra esperienza!



ELISABETTA OSSIMORO
Mio undicesimo anno di Salone e primo in assoluto da addetta stampa: avere il pass perpetuo per entrare e uscire a piacimento tutto il giorno, per tutti e cinque i giorni, fornisce davvero una grande libertà. Diciamo che tralasciando l’ora di coda per accreditarmi il primo giorno (paradossalmente facevano più problemi ai giornalisti “veri” col tesserino che a quelli “fuffi” come me, che però avevano già il codice a barre stampato) è andata bene. Un privilegio di cui non mi sono privata è stato andare a bivaccare (oltre che mangiare) nel Lounge Bar riservato ai professionisti (ubicato nel padiglione 1), caro ma buono, dove ho polverizzato legioni di panini e gelati slow food.

Rispetto agli anni passati ho notato, appunto, meno stand (alcuni accorpati, come quelli del Piemonte, con città, provincia e regione nello stesso spazio), meno padiglioni aperti, meno sconti e meno gadget, con 5 minuti di silenzio per la scomparsa del mitico negozietto con le magliette, gli orologi e tutti gli oggettini con il marchio del Salone con cui, per anni, ho fatto la felicità di amici, parenti e ospiti, contenti come non mai di portarsi a casa un ricordino concreto e simpatico di un’esperienza librosamente indimenticabile.

Un Salone tuttavia punteggiato di curiosità e stranezze: figuranti in costume tutti i giorni (dalle damine settecentesche ventenni ad attempati Robocop), stand con alberi di limoni in cui regalavano tutto il giorno il sorbetto Ferrero Gran Soleil, le Iene che facevano il narcotest a sorpresa al pubblico della presentazione del loro libro sulla droga (chi vi parla era presente), pupazzoni giganti e case editrici fantasma che vendevano solo stendardi e gagliardetti (cari e salati) e neanche un libro, a loro dire per finanziarsi la loro prossima apertura. Ohibò!

Chiudendo con l’estetica, veniamo ai contenuti: quest’anno grande protagonista dei dibattiti, più ancora della "forza delle idee" (tema del Salone), è stata la dicotomia tra digitale e cartaceo, tra realtà editoriale e realtà aumentata dei social network.

In particolare sono risultati illuminanti i dibattiti corali proposti dallo stand Book to the Future: penso all’incontro sui nuovi mestieri dell’editoria (tra editori nati, falliti e resuscitati dall’avvento dell’ebook, come la Zandegù), a quello sulla nuova critica online non togata e su come si è evoluta dai primi anni zero ad oggi (con ospiti alcuni utenti Anobii torinesi che hanno fondato una sorta di “comune letteraria” e che raccontavano il mondo del passaparola nell’era del web 2.0).

Sulla stessa tematica è stato controverso l’incontro con Roberto Casati, autore di “Contro il colonialismo digitale” (Laterza), latore di un punto di vista inedito, che parla di come il digitale, applicato a pioggia in tutti i settori, potrebbe arrivare a minare i fondamenti stessi della democrazia: il voto digitale, che consentirebbe brogli e hackeraggi, nonché a mariti dispotici di votare per moglie e figli assoggettati. Un punto di vista scomodo che valeva la pena conoscere.

L’incontro internazionale più intenso è stato quello che ha visto protagoniste l’autrice di "Cuore di bestia" (Keller)Noelle Revaz e la sua traduttrice Maurizia Balmelli (da me già conosciuta al corso di scrittura di Con.testi): grande emozione di fronte al mistero e alla difficoltà di un linguaggio artificioso, artificiale e nonostante tutto mimetico di una situazione rurale, la sua faticosa creazione e l’ancor più faticosa resa in italiano.

Il dibattito più “rosa”, anch’esso incentrato sulle ombre della traduzione, è stato “Fifty and more shades”, in cui editor, traduttrici e responsabili di collana di alcune delle case editrici coinvolte hanno affrontato lo spinoso argomento della traduzione in italiano dei romanzi erotici, oggi più che mai sulla cresta dell’onda; discorsi sulla necessità di creare da zero un lessico italiano dell’erotico, sul coraggio di smontare tanti eufemismi per trovare la soluzione in modelli più “anatomici”, più aderenti all’originale, solitamente anglofono. Non ho condiviso la scelta di tante traduttrici di risolvere esplicite anatomicità britanniche con un’italica reticenza (cito “dick” e “cock” resi con “membro” e “erezione”), il che secondo me appiattisce la plasticità delle scene e fa di noi una nazione ancora bigotta e fondamentalmente chiusa a nuove suggestioni letterarie.

Grande protagonista di questo salone è stato anche il discorso contro la violenza sulle donne, con tante conferenze moderate da Michela Murgia e Loredana Lipperini (che ho avuto il piacere di conoscere personalmente), culminati con l'incontro di domenica a mezzogiorno, in cui sono state lette e premiate le parole e le immagini proposte da scrittori e studenti liceali, giunti da tutta Italia per sensibilizzare le nuove generazioni ai temi della parità e della lotta alla violenza.

È stato anche il salone dei bagni di folla per quei personaggi che qualche anno fa erano conosciuti da poche migliaia di persone in tutta Italia e ora attirano code chilometriche per una dedica, o una foto; in particolare per gli “ottantini” Licia Troisi (la studentessa di astrofisica che ora è regina indiscussa del fantasy italiano, oltreché mamma e ricercatrice) e Guglielmo Scilla (lo youtuber classe ’87 che da timido performer casalingo di scenette surreali ora è una star a tutto campo, tra trasmissioni radio, film da protagonista, web series di culto e ora un romanzo fantasy, suo esordio letterario).

Ed è stato anche il Salone del Salone Off, dedicato a tutte quelle presentazioni ed eventi che, pur connesse idealmente al Salone, hanno trovato spazio in altre strutture. Personalmente io ho partecipato come relatrice alla presentazione di “Il destino attende a Canyon Apache” insieme all’autrice Laura Costantini, al fumettista e sceneggiatore Massimiliano Valentini e ai “principi di Las Vegas” Andrea Malabaila e Carlotta Borasio, i volti teneri e giovani dell’editoria indipendente italiana. Un’esperienza di grande intensità emotiva, complicata purtroppo dalla pioggia scrosciante e da un sottofondo musicale imprevisto, che ha reso la nostra impresa ancora più epica e avventurosa.

Insomma, un Salone vivo ed energico, nonostante le ristrettezze e la crisi; un’esperienza che per me va a sommarsi a undici anni di amore per i libri e per i legami che creano, nonostante tutto.

ANDREA VEGLIA
Salone del Libro cominciato al giorno 2 quest'anno, il giorno delle scolaresche e degli studenti. I ragazzi sono tantissimi e interessati a tutto.

Primo incontro sul "come fare una proposta editoriale" in cui si parlava di traduzione e delle difficoltà di scegliere per la pubblicazione un testo, magari anche interessante, ma di ardua collocazione editoriale. Poi naturalmente, ospite fisso di ogni anno di Salone, c'è Luciano Canfora, in dialogo con Alessandro Schiesaro sul tema dell'attualità dei classici e sul perché essi ancora ci riguardino. Sala stracolma di ragazzi delle superiori accompagnati da inferocite professoresse che urlano contro le maschere perché la sala è piena ma vogliono che i ragazzi vedano lo stesso Canfora dal vivo. Alla fine le maschere cedono. Posti esauriti, gente in piedi, sbattuta a terra ma tutti ad ascoltare il Luciano nazionale, che, nonostante l'età, conserva una verve stupefacente. Schiesaro è palloso, ma questo lo sapevamo già.

Paese ospite, il Chile! 10 anni sono passati dalla morte di Roberto Bolaño e il festival ha voluto ricordarlo con una serata di ricordi. Presenti la moglie dello scrittore, Carolina López, l’ormai quasi italiano Javier Cercas, l’einaudiano Paolo Collo e Roberto Brodsky. Valter Malosti leggeva passi dei romanzi di Bolaño. Bolaño viene ricordato per la sua voracità di lettore, per un costante lasciarsi andare alla scrittura al punto di non averne quasi il controllo, e per il fatto di non poter essere rinchiuso nell'etichetta di "letteratura ispano-americana"... la sua opera ha fatto proprie le tecniche di quella narrativa, ma, superandole, è entrato a far parte di quegli autori mondiali che appartengono alla "letteratura globale". Il suo “il romanzo va, ma non so bene dove va” ne è l’esempio più luminoso. E soprattutto è strabiliante quanto gli ultimi anni della vita siano stati i più creativi, quasi in modo accanito. E alla domanda “Che tipo di vita è quella passata accanto a un genio?”, Carolina López risponde candidamente “Come quella passata a un qualsiasi altro essere umano”! E per rimanere sul tema dei traduttori, importante è ricordare colui che ha scoperto Bolaño e ha spinto perché fosse pubblicato in Italia, Angelo Morino, purtroppo anche lui scomparso.

Domenica ci si getta nel rapporto tra letteratura e scienza con Remo Ceserani e Danilo Mainardi, con la spettacolosa moderazione di Piero Dorfles, dal vivo più rigido e compassato che non in tv. Spettacolosa perché Dorfles, al parlare di una coppia di merli che vive nel suo giardino, sfoggia un talento nella riproduzione dei cinguettii dei due animali. Racconta di aver provato a riprodurre il verso della femmina in presenza del merlo maschio e di aver ricevuto un’occhiataccia. Il verso dei merli è infatti segno di riconoscimento, e lui ha fatto la parte di un uomo che apostrofa un merlo con un “Ciao, ciccino”!

Poi è il turno di Sgarbi e della sua apologia della cultura e di se stesso. Naturalmente questo offusca in parte il tema della lectio : la rappresentazione del Cristo nell’arte. Ma Sgarbi sa destreggiarsi bene e il pubblico resta sveglio. Ho l’impressione che tutti fossero lì per vederlo esplodere in uno dei suoi leggendari attacchi d'ira funesta. C’è stato un momento in cui “stava per…”, quando non c’era nessuno a far scorrere le slides. L’incontro con il Procuratore Anti-Mafia, in dialogo con Antonio Nicaso e Giovanni Tizian chiude la serata. Un esempio di dedizione e di coraggio straordinari. Racconti terribili di un Paese che si sta suicidando e sta lasciando spazio alla criminalità. Pochi ad opporsi, e sembra che il tema non interessi poi più di tanto perché la sala giallo è piena solo a metà.

Chiudo l’ultima giornata con l’ultimo evento legato al Chile: il dialogo tra Roberto Ampuero e Arturo Fontaine sulla Nuova Narrativa cilena, sorta dopo il ritorno della democrazia. Le domande più assillanti sono la rappresentazione dell’orrore senza che questo venga banalizzato e annacquato. Sono le grandi domande sulle potenzialità dell’arte, e dal confronto tra la letteratura italiana e quella cilena possiamo forse trovare delle risposte.

Guardo il programma e vedo che c'è un incontro con Don Gallo, ma quando mi siedo in sala scopro che l'incontro è stato annullato. Al suo posto ci sarà la presentazione di un libro con la presenza di Marco Travaglio. Non l'ho mai sentito dal vivo. Già che ci sono mi fermo.

Alcune considerazioni conclusive: stand ridotti, editori straordinariamente importanti assenti, il pubblico tutto focalizzato su ospiti che dal punto di vista della letteratura e della cultura hanno ben poco da dire, sempre più spazio dedicato ad attività che sono estranee al mondo dell’editoria. I sondaggisti che giravano per il Festival chiedevano se il Salone servisse per scoprire nuovi autori o nuovi generi, e la gente rispondeva candidamente di no. Perché? Perché la maggior parte del pubblico va per sentire il già-noto. Non per niente lo stand più frequentato è sempre quello Mondadori. Come si può andare in Fiera allo stand Mondadori?

Per le prossime edizione si pensa a far entrare gli “hobby”. Ora c’è da domandarsi se si vuole che il pubblico aumenti perché attirato da un interesse per il mondo del libro o se cresca perché sa che, intanto, quello della carta è un pezzo di percorso che si può saltare, tanto c’è una parte della fiera dedicata ad altro. Bisogna fare attenzione perché il passo è breve prima che il Festival perda la propria identità.


VALENTINA BETTIO
La Fiera del Libro di Torino è sempre un evento che mi lascia piuttosto combattuta e, sinceramente, spossata: attesa con trepidazione, non riesco mai a dedicarle più di una giornata, che vola davvero in fretta e si rivela sempre un tour de force. E di fronte all'impegno dei miei colleghi di blog, vergognandomene un pochino, lo ammetto, quest'anno ho vissuto un salone più easy: quasi in incognito, ho potuto godere pienamente dell'atmosfera frizante, riempiendomi gli occhi di ciò che il Salone aveva da offrire in tema di spunti e novità, senza però soffermarmi su nulla in particolare. Quasi una visita di piacere ad un caro amico, in compagnia dell'impagabile socia Valentina Coluccelli.

Un Salone un po' sottotono quello di quest'anno: meno stand e meno occasioni per i lettori, ma che è riuscito comunque ad essere una colorata vetrina del panorama letterario.

< Foto di Elisabetta Ossimoro, salvo: Roberto Bolano (Wikipedia) e Presentazione Canyon Apache (Carlotta Borasio)>

Le cose cambiano

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Cari lettori,
oggi vogliamo parlarvi della lodevole iniziativa nata dalla collaborazione tra Girls and boys, Isbn Edizioni e il Corriere della Sera, con il sostegno di Enel Cuore Onlus: si tratta del sito www.lecosecambiano.org, un portale dedicato alla lotta al bullismo e all’omofobia. Testimonianze che toccano e lasciano il segno, per aiutare chi sta vivendo situazioni analoghe, ma anche per non dimenticare, far finta di niente e chiudere gli occhi davanti ad alcune tra le manifestazioni peggiori dell’animo umano.


È grande il nuovo progetto avviato Isbn Edzioni, Girls and Boys (associazione di promozione sociale fondata da Massimo Coppola, direttore editoriale di Isbn), Luca Formenton (presidente della casa editrice il Saggiatore), Fulvio Zendrini (esperto di marketing e comunicazione aziendale e politica) e Linda Fava (editor Isbn edizioni) ed ha radici lontane: Le cose cambiano (www.lecosecambiano.org) è il fratello italiano dello statunitense It gest better (www.itgetsbetter.org), nato nel 2010 sotto il patrocinio di Dan Savage (autore e giornalista americano) e del marito, Terry Miller. Tutto è iniziato da un messaggio di sostegno ed incoraggiamento caricato su Youtube dalla coppia omosessuale in seguito al tragico suicidio di Justin Aaberg e Billy Lucas, vittime di bullismo omofobo. “Anche noi ci
siamo passati, ma le cose sono migliorate. Tenete duro e chiedete aiuto”. Questo il messaggio di fondo del video, che ha dato vita ad un’ampia campagna virtuale, il cui coronamento è stato proprio il sito www.itgetsbetter.org, che ad oggi è uno strumento molto importante per i giovani che stanno scoprendo la propria identità sessuale, ma anche per le famiglie e gli insegnanti, per educare ed educarsi. Un progetto in piena espansione, che oltre a godere di illustri sostegni (come Casa Bianca, Pixar Apple ecc.), si sta ampliando anche in altri paesi in tutto il mondo (Australia, Cile, America latina, Danimarca ecc.) per promuovere un cambiamento a livello globale.

Così, seguendo la strada indicata dai colleghi americani, Le cose cambianoè comparso sul web il 7 maggio di quest’anno e raccoglie testimonianze di conflitto e discriminazione. Testimonianze ad ampio spettro, che non si limitano al campo dell’omofobia ma abbracciano ogni tipo di discriminazione e il cui messaggio di fondo rimane invariato: coraggio, forza e speranza. Perché lo strumento più potente di comprensione e di cura dell’isolamento è proprio la narrazione.

“Le cose cambiano, ma tutto parte da noi – non è una banalità. Fino a quando non cominciamo a renderci conto che non abbiamo niente da nascondere, niente di cui doverci vergognare, non possiamo cambiare niente”. Queste le parole di Antonella, ma molte altre testimonianze riempiono le pagine virtuali di questo sito: in molti hanno donato una parte di sé, condividendo gioie, problemi e dolore, nella speranza di un domani migliore, senza più discriminazioni.

L’obiettivo di Le cose cambianoè quello di combattere il bullismo e la discriminazione, oltre all’omofobia e il tutto è sostenuto dal motto “le cose possono cambiare e migliorare”. Le cose cambiano non è solo condivisione, ma si propone anche come un vero e proprio portale in cui cercare e trovare aiuto: gode della supervisione scientifica del Prof. Vittorio Lingardi, ordinario di Psicologia Dinamica all’Università La Sapienza di Roma, dispone di un motore di ricerca interno– che permette di ricercare, all’interno del sito, informazioni specifiche sull’argomento di interesse – e di un’area informativa dedicata all’aiuto, in cui si possono reperire tutti i contatti necessari per ricevere assistenza e sostegno. Inoltre, all’interno del sito vi è un blog con redazione dedicata, che viene costantemente aggiornato e approfondisce le tematiche del sito con ospiti e guest bloggers.

Oltre all’iniziativa online, Le cose cambiano propone anche il libro omonimo, che non è nient’altro che la versione italiana dell’americano It gets better, Coming Out, Overcoming Bullying and Creating a Life Worth Living, di Savage e Miller, ampliato con esperienze italiane al fine di contestualizzare il fenomeno anche nel nostro paese, i cui ricavati della vendita verranno reinvestiti nel progetto.

Un progetto dal forte impatto sociale, che si prepone obiettivi importanti, sia sul fronte dell’informazione e della sensibilizzazione che dell’aiuto. Da conoscere e far conoscere per combattere soprusi, bullismo, omofobia e tutte le forme di oppressione e discriminazione di ciò che viene erroneamente percepito e conosciuto come diverso e sbagliato.

Recensione "L'ultima fuggitiva" di Tracy Chevalier

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Cari lettori, 
oggi vi proponiamo un romanzo storico  con denominazione di origine controllata: l'ultima fatica tradotta in Italia di Tracy Chevalier, l'autrice de La ragazza con l'orecchino di perla.

Autore: Tracy Chevalier
Titolo: L' ultima fuggitiva
Titolo originale:The Last Runaway
Traduzione di: M. Ortelio
Casa Editrice: Neri Pozza
Collana: I narratori delle tavole
Pagine: 313
Prezzo:€ 18,00
Data di uscita: Gennaio 2013
Trama: È il 1850 quando Honor e Grace Bright si imbarcano sull'Adventurer, un grande veliero in partenza dal porto inglese di Bristol per l'America. L'aria smarrita di chi non è avvezza ai viaggi, il bel volto offuscato dal mal di mare, Honor Bright sa che non rivedrà mai più Bridport, il paese in cui è nata, nell'istante in cui la nave si allontana dalle verdi colline del Dorset. Troppo grande è il mare e troppo lontano è Faithwell, il villaggio dell'Ohio in cui Adam Cox, un uomo anziano e piuttosto noioso, attende sua sorella per prenderla in sposa. L'irrequieta Grace ha allacciato una corrispondenza epistolare con lui, culminata poi con la proposta di matrimonio, con l'intento di lasciarsi alle spalle l'angusta vita della piccola comunità di quaccheri in cui è cresciuta e abbracciare così nuove avventure. Honor Bright non condivide lo spirito temerario di Grace, ma Samuel, il suo promesso sposo, ha rotto il fidanzamento e la prospettiva di vivere in mezzo all'altrui compassione l'ha spinta a seguire la sorella al di là del mare. Una volta giunte in Ohio, tuttavia, a un passo da Faithwell, Grace si ammala di febbre gialla e, tra le misere mura di un albergo, muore. Honor Bright si ritrova così sola in una nazione enorme ed estranea, divisa da un immenso oceano dall'amato Dorset. Non le resta perciò che Adam Cox come unica ancora di salvezza. A Faithwell, tuttavia, viene accolta con freddezza dall'uomo e dalla cognata vedova.

RECENSIONE
Honor Bright, la protagonista de “L’ultima fuggitiva”, è decisamente una donna di poche parole. È una quacchera o una della Società degli Amici, come si definiscono gli appartenenti al movimento religioso cristiano nato nel XVII secolo in Inghilterra. Facilmente si potrebbe affermare che Tracy Chevalier, in questo romanzo, dipinge un affresco della società americana di metà Ottocento, in verità è meglio dire che cuce una trapunta variegata e complessa– come fanno le donne nei tempi che l’autrice descrive – con una scelta di colori diversi ma tenui, quasi in contrasto con la natura vasta e imponente che accoglie l’inglese Honor in trasferta negli USA. L'autrice mette in risalto il contrasto tra i colori, i materiali, le luci diverse che caratterizzano l'antico e solido Dorset in Inghilterra e l'Ohio, nel suo valore precario di terra di transito, con i suoi campi di granoturco, le foreste altissime e la capacità di adattamento dei suoi abitanti; a ciò si aggiunge la contrapposizione stridente tra la libertà di rifarsi una vita – di cui Honor è desiderosa fin dall'inizio – e l'orribile tradizione della schiavitù. Tutto è visto attraverso gli occhi di una ventenne inglese, ritratta nella sua ritrosia, nella sua timidezza e nella sincera adesione al suo modo di vivere la religione. I quaccheri, infatti, sono contrari alla schiavitù, che limpidamente considerano contraria al Cristianesimo. Questo è lo sfondo su cui si muove la storia. 

Quando Honor arriva a destinazione, in un crocevia di case che prelude al selvaggio West, trova che gli Amici americani sono costretti a scendere a compromessi con questo assunto, a causa delle consuetudini, di ragioni economiche, delle leggi che li obbligano. Honor è arrivata in America per sfuggire a una vita che in Inghilterra si era immaginata tranquilla e lieta e che invece era sfumata: lei, che si concepiva comprimaria rispetto all’allegra sorella che doveva giungere in Ohio a sposarsi, si scopre dolorosamente protagonista, dopo la morte repentina di Grace. Si scopre, infatti, attratta da Jack, giovane e schietto contadino che riesce a conquistarla: il loro rapporto è semplice come l’acqua. Eppure Honor ha conosciuto anche la parte non quacchera della sua nuova terra: la modista Belle, il suo pericoloso fratello, Donovan, la signora Reed, la donna di colore che si serve all’emporio del mancato cognato Adam.

Honor, taciturna, connotata soprattutto dall’estrema accuratezza e velocità con cui cuce le sue bellissime trapunte, affronta tutto con discrezione, pazienza, equità d’animo, ma qualcosa proprio non le torna. Sarà Donovan con la sua violenta sfrontatezza da cacciatore di schiavi, eppure con l’evidente rispetto che le porta, sarà la questione della fuga dei neri dai campi del Sud, che passano proprio dall’Ohio per raggiungere la libertà in Canada. Honor deve fronteggiare il contrasto fra quello in cui crede e la nuova famiglia nella quale è chiamata a integrarsi. E qualcosa non va come dovrebbe: la ragazza silenziosa e remissiva si scopre una donna disposta a pagare in prima persona per le sue convinzioni.


Il lettore si trova ad accompagnare Honor nella sua scoperta di questo mondo nuovo e così diverso: colori, animali, piante, usanze (gli americani sputano per terra con grande disinvoltura), cibi, atteggiamenti. La Chevalier si avvale del metodo della narrazione in terza persona, al quale affianca il modello epistolare, attraverso le lettere che Honor spedisce ai suoi e che talvolta riceve dall'Inghilterra, consentendo una divaricazione dei punti di vista e dunque una prospettiva a più dimensioni.



Questo romanzo si legge d’un fiato; le situazioni sono presentate al lettore come con la discrezione e la ferma remissività di Honor: l’America si pone con tutta la sua forza e le sue contraddizioni, la questione ideale della schiavitù è mostrata in tutte le sue sfaccettature; i rapporti fra i bianchi e i neri, meglio fra donne bianche e donne nere, sono offerti con grande sapienza narrativa e umanità. Honor è pervasa di domande, ma ciò che le offre uno strumento di comprensione sarà la trapunta cucita dalla signora Reed: il gusto, la vivacità e la sapienza degli accostamenti di colore le sveleranno la diversità e la somiglianza profonda che possono legare le persone, laddove ciò che c’è di più importante nella vita unisce le anime.

La ferrovia sotterranea, il sistema di protezione e sostegno degli schiavi fuggitivi è la perla storica del romanzo che è scorrevole, ricco, schivo, sapiente ancora di più perché sfugge a una rappresentazione diretta e a colori troppo forti degli eventi. La Chevalier ha una mano leggera a narrare almeno quanto Honor Bright ce l’ha a creare trapunte bellissime e perfette, dove quasi la fatica del comporre, il tempo passato a cercare gli accostamenti giusti, dove ogni pezzo di vita è un frammento di esistenza, quasi non si vede, ma c’è. E si sente.


L'AUTRICE
Tracy Chevalier è nata a Washington il 19/10/1962. Nel 1984 si è trasferita in Inghilterra, dove ha lavorato come editor fino al 1993 quando cominciò un corso di scrittura creativa all'università dell'East Anglia. Il suo primo romanzo è La Vergine azzurra (Neri Pozza, 2005). Con La ragazza con l'orecchino di perla (Neri Pozza, 2000) ha ottenuto, nei numerosi paesi in cui il libro è apparso, un grandissimo successo di pubblico e di critica. Bestseller internazionali sono stati anche i suoi romanzi successivi: Quando cadono gli angeli (Neri Pozza, 2002), La dama e l'unicorno (Neri Pozza, 2003), L'innocenza (Neri Pozza 2007), Strane creature (Neri Pozza 2009

Recensione: "Esclusi" di Richard K. Morgan

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Cari lettori,
Richard K. Morgan è tornato in libreria con Esclusi, il nuovo capitolo della saga Fantasy A Land Fit For Heroes, pubblicata in Italia dalla casa editrice Gargoyle. Conferme in positivo e in negativo per questo autore, che tra alti e bassi conclude anche il suo nuovo romanzo, senza però riuscire a convincere del tutto.

Autore: Richard K. Morgan
Titolo: Esclusi
Serie: A Land Fit For Heroes
Editore: Gargoyle
Pagine: 571
Prezzo€ 19.00
Data pubblicazione: 18 Aprile 2013
Trama: Ringil Eskiath, l'eroe dal volto deturpato che brandisce l'Amica dei Corvi forgiata dai Kiriath, è in fuga dal passato e da una famiglia che lo ha rinnegato, dai mercanti di schiavi di Trelayne che lo vogliono morto e, a quanto pare, anche dagli oscuri dèi che cospirano in modi sempre più misteriosi. Esiliato dalla sua dimora nel Nord, Ringil ha un solo luogo in cui vagare liberamente: Yhelteth, cuore dell'Impero del Sud, dove forse troverà asilo presso una vecchia compagna d'armi, la mezzosangue kiriath Archeth Indamaninarmal, alta consigliera dell'Imperatore Jhiral Khimran II. Ma anche Archeth ha i suoi guai, così come Egar Rovina del Drago, suo ospite e guardia del corpo, un tempo nomade della steppa. Ben lungi dall'ottenere il riposo tanto agognato, Ringil si ritroverà invece legato a discutibili giuramenti, inaffidabili quasi come quelli di un tempo.

RECENSIONE
La Gargoyle sta dedicando una certa attenzione al genere Fantasy, con una ricerca di nuovi titoli ed autori che ci ha permesso di poter leggere e apprezzare nuovi romanzi dal taglio moderno e fuori dagli schemi. Rientra in questa categoria le serie di Morgan, A Land Fit For Heroes: toni duri e rudi e protagonisti tormentati, preda dei propri vizi e debolezze, il tutto condito da un linguaggio forte e colorito.

Il capitolo precedente, Sopravvissuti, si era concluso con la vittoria dei “buoni”, affiancata da una scelta difficile ed una grave perdita per l’eroe Ringil. Questo nuovo romanzo, Esclusi, riprende le fila della storia a breve distanza da quando si era interrotta: ritroviamo Ringil – ormai ombra di se stesso –, Archeth, Rovina del Drago e tutti i personaggi che abbiamo imparato a conoscere alle prese con le conseguenze della battaglia con cui si è concluso Sopravvissuti, in una sorta di fase di stallo in cui tutto sembra immobile e monotono, quando invece grandi cambiamenti stanno avvenendo senza attirare l’attenzione. I Dwenda non hanno ancora rinunciato all’idea di tornare a regnare sugli esseri umani. I vecchi dei non vogliono più rimanere nell’ombra. Qualcosa di terribile ed oscuro si sta per abbattere sul mondo conosciuto e gli equilibri stanno per cambiare…

Sfruttando bene gli elementi introdotti nel primo capitolo della saga, Morgan riesce in questo romanzo ad avviare un nuovo ciclo: partendo da un libro quasi autoconclusivo come Sopravvissuti, intreccia nuovi intrighi e nuove alleanze. Magia e tecnologia si mischiano, gli dei influiscono pesantemente sugli eventi e tutto sembra nebuloso e incerto: non si ha ancora idea di quale possa essere la minaccia in arrivo, né tantomeno si intuisce da che parte si schiereranno i protagonisti. Una grande battaglia sembra profilarsi all’orizzonte: una lotta per fede, per la sopravvivenza o per la supremazia, o per tutto ciò insieme. Un romanzo che apre molte strade e lascia parecchi quesiti irrisolti, che si spera verranno adeguatamente approfonditi nel capitolo successivo.

Sopravvissuti si contraddistingue dal suo predecessore per una sorta di maturazione dell’autore: nonostante permangano le caratteristiche fondamentali del suo stile, si può notare una maggiore armonia, un certo smussamento delle spigolosità che emergevano fortemente nel romanzo precedente. Nonostante i toni rimangano coloriti, senza fronzoli e mezzi termini, nel complesso il linguaggio è meno scurrile, anche se permangono intermezzi piuttosto rozzi e paragoni volgari. Questa piccola evoluzione dona maggiore omogeneità alla narrazione, che ne guadagna in fluidità ed equilibrio, senza però snaturare o smarrire ciò che contraddistingue Morgan dai colleghi.

La narrazione alterna fasi concitate e coinvolgenti ad altre piuttosto nebulose: a fianco di scene d’azione molto movimentate e ben descritte, mancano solide basi che caratterizzino e chiariscano i fondamenti delle diverse culture e religioni che si scontrano, lasciando la profonda sensazione che manchi qualcosa. È impossibile non cogliere le similitudini con religioni a noi note– gli antichi dei potrebbero ad esempio essere assimilabili agli dei greco-romani –, ma il continuo citare nomi e fornire accenni molto superficiali alla loro origine e natura crea un vero e proprio buco nel worldbuilding, che non permette di apprezzare a pieno le potenzialità del mondo in cui Morgan ha deciso di ambientare le sue vicende. Rispetto a Sopravvissuti è stato aggiunto qualche tassello, ma molto deve ancora essere fatto per rendere il tutto veramente completo e ben delineato.

Ciò che emerge terminata la lettura di Esclusiè che l’intera serie A Land Fit For Heores continua a non concretizzarsi pienamente: ci sono delle potenzialità, che però l’autore non è ancora riuscito a sfruttare ed indirizzare in modo costruttivo. Ci sono le idee, ma ne manca un’adeguata evoluzione.

L’AUTORE
Richard K. Morgan è nato a Londra nel 1965. Ha insegnato inglese fino alla pubblicazione di Bay City (Nord, 2006), suo formidabile esordio nel cyberpunk. Il romanzo si rivela un tale successo che viene opzionato per il cinema dai produttori di Matrix e conquista il prestigioso “Philip K. Dick Award”. Seguono Angeli spezzati (Nord, 2005), e Il ritorno delle furie (Nord, 2008). Degno di nota è il thriller Black Man del 2007, vincitore dell’“Arthur C. Clark Award”. Esclusiè il secondo episodio della saga fantasy A Land Fit For Heroes.

Recensione “L’isola dell’amore proibito” di Tracey Garvis Graves

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C’erano una volta i bellissimi Christopher Atkins e Brooke Shields, che nel 1980 copulavano su un’isola deserta in mezzo al mare cristallino. Prima ancora c’erano Giancarlo Giannini e Mariangela Melato che, insultandosi tra battibecchi e classismi, finivano per abbandonarsi alla passione sulle spiagge assolate di un isolotto sperduto della Sardegna.

La tematica dell’isola deserta, di un lui e una lei agli antipodi che s’incontrano, si scontrano, crescono e s’innamorano è un archetipo classico di letteratura e cinema, sviluppato in tempi più e meno recenti, ogni volta con alterni risultati di qualità e intensità emotiva.

L’autrice di questo libro, ignorata in patria dalle case editrici, è l’ennesima favorita dell’auto-pubblicazione: nella postfazione ci informa che recentemente sono stati addirittura opzionati i diritti per un film.

L’isola dell’amore proibitoè un onesto bestseller: in un equilibrio funzionale tra tanti cliché e qualche spunto arguto, si caratterizza per una prima parte abbastanza scontata e una seconda che fornisce spunti di riflessione inattesa. La tensione resta costante, anche a fronte di uno stile davvero troppo elementare.

Autore: Tracey Garvis Graves
Titolo: L’isola dell’amore proibito
Titolo originale: On the island
Traduzione di Serena Lauzi
Editore: Garzanti
Collana: Narratori Moderni
Pagine: 322
Prezzo: € 14.90
Data Pubblicazione: gennaio 2013
Trama: L'acqua cristallina lambisce dolcemente i suoi piedi nudi. Anna apre gli occhi all'improvviso e davanti le si apre la distesa sconfinata di un mare dalle mille sfumature, dal turchese allo smeraldo più intenso. Intorno, una spiaggia di un bianco accecante, ombreggiata da palme frondose. Le dita della ragazza stringono ancora spasmodicamente la mano di TJ, disteso accanto a lei, esausto dopo averla trascinata fino alla riva. Anna non ricorda niente di quello che è successo, solo il viaggio in aereo, il fondale blu che si avvicina troppo velocemente e gli occhi impauriti di TJ, il ragazzo di sedici anni a cui dovrebbe dare ripetizioni per tutta l'estate. Un lavoro inaspettato, ma chi rifiuterebbe una vacanza retribuita alle Maldive? E poi Anna, insegnante trentenne, è partita per un disperato bisogno di fuga da una relazione che non sembra andare da nessuna parte. Ma adesso la loro vita passata non è più importante. Anna e TJ sono naufraghi e l'isola è deserta. La priorità è quella di sopravvivere fino ai soccorsi. I giorni diventano settimane, poi mesi e infine anni. L'isola sembra un paradiso, eppure è anche piena di pericoli. I due devono imparare a lottare insieme per la vita. Ma per Anna la sfida più grande è quella di vivere accanto a un ragazzo che sta diventando un uomo. Perché quella che all'inizio era solo un'amicizia innocente, attimo dopo attimo si trasforma in un'attrazione potente che li lega sempre più indissolubilmente.

RECENSIONE
La “struggle for life” esotica è un filone che tira e, se mescolato al romance con un lui adolescente e una lei adulta, copre davvero tante delle tendenze attualmente in voga. 

Brooke Sheilds e Christopher Atkins in Laguna Blu (1980)
Il titolo italiano ammiccante (traduzione del non marcato originale On the island) fa pensare a un romanzo erotico, mentre di erotismo qui ce n’è poco e quel poco non è esattamente ben concepito: qualche occhiatina rubata, una quotidianità reiterata e i due protagonisti che continuano a non vedersi nudi per circa due anni, per poi lasciarsi andare alla passione una volta che il ragazzino TJ abbia compiuto 19 anni (un po’ inverosimile, come lo è il ritrovamento delle valigie con tutto il necessaire per l’igiene e i vestiti).

La passione in questione sa tanto di libro pudico pre-anni ’80; di fatto i rapporti sessuali vengono anacronisticamente lasciati fuori dalla porta (una porta metaforica, trattandosi di un isola deserta), non vi sono che vaghissimi accenni, il che deluderà di certo le aspettative di chi attendeva romantiche e plastiche effusioni nelle acque incontaminate minuziosamente descritte, tra la barriera corallina e il plancton, in pieno stile Laguna BluAl mitico film degli anni ’80 ci sono un gran numero di riferimenti: la caccia allo squalo, le reciproche masturbazioni spiate, la scelta di un nome in memoria del pilota morto nell’incidente.

La parte della storia ambientata sull’isola è agile e veloce, per quanto i colpi di scena siano telefonati e gli stratagemmi per tenere alta l’attenzione di puro comodo, visto che non si riesce davvero a credere che dei reali pericoli minaccino Anna e TJ.

A riscuotere il mio interesse di “cercatrice di perle inaspettate” è stata la seconda parte: il sistema utilizzato per permettere ai due protagonisti di evadere dal loro scomodo paradiso tropicale è geniale, richiama lo tsunami del 2004 e fornisce finalmente una giustificazione plausibile e originale a un passaggio che, viceversa, sarebbe stato difficile da far quadrare.

Ugualmente interessante e non scontata è la parabola umana di ritorno alla civiltà di Anna e TJ, la matura presa di posizione nei confronti della loro impossibile relazione e il loro viaggio personale fuori dalle tenebre della nevrosi, cagionata dalla tanta solitudine patita sull’isola.

I problemi di un ragazzo cresciuto troppo precocemente e di una trentenne su cui pesa la pubblica riprovazione per la condotta sessuale avuta nei confronti di un adolescente sono alcuni tra i tanti scogli che la coppia dovrà affrontare, perdendosi e ritrovandosi, per riconquistare il proprio posto nel mondo civile. Il finale è scontato, ma il tragitto che porta a questo finale non lo è.

Ciò che invece delude (come accade per quasi tutti i casi editoriali provenienti dall’auto-pubblicazione) è che a una storia, nel bene e nel male, ricca di suggestioni, faccia da contraltare uno stile piatto, poco personale, quasi da lista della spesa; il che è ancora più grave in una prospettiva in cui, ad ogni capitolo, la voce narrante cambia da Anna a TJ, ma non è possibile ravvisare alcuna differenza personale tra le due voci. Sembra quasi una soluzione “di fortuna” per evitare i pericoli del narratore onnisciente

Due parole sulla copertina: mi sembra evidente anche qui la scelta italiana di mettere in evidenza la dimensione sorniona e pruriginosa della situazione descritta nel libro, anche se, come detto, nella storia non ve n'è traccia. La ragazza languida, sdraiata, che guarda in direzione opposta al mare è antitetica alla copertina originale, che vede la protagonista in piedi, di spalle, fasciata da un vestito troppo largo, tesa nella contemplazione dell'oceano, come in attesa dei soccorsi. 

Pur penalizzato dall’indubbia piaggeria dello stile, questo romanzo si qualifica come un onesto bestseller da ombrellone, senza alcuna pretesa di letterarietà, globalmente avvincente, con una trama che alterna cliché e originalità, consigliabile in caso di partenza per le ferie e/o desiderio di una pura evasione.


L’AUTRICE
Tracey Garvis Graves vive a Des Moines, Iowa, con il marito e i due figli.
Blog Autrice

E qui ci salutiamo: il finale di Private Practice

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Dopo sei serie e 111 episodi, anche per Private Practice, lo spin-off di Grey’s Anatomy, è arrivato il momento dell’addio– l’ultimo episodio è andato in onda in Italia in prima tv il 30 aprile su Fox Life. Noi di Diario abbiamo aspettato qualche giorno prima di commentare il finale della serie, per cercare di essere più distaccati e magari meno cattivi, ma il risultato non cambia. Questo finale a “tarallucci e vino” è una delusione sotto tutti i punti di vista!

Nato dalla mente di Shonda Rhimes, già creatrice di Grey’s Anatomy, Private Practice si è presentato come un medical drama leggermente diverso dai suoi predecessori perché ambientato in una clinica privata, la Oceanside Wellness Group – da lì il titolo della serie, “libera professione” come spiegherà la Dott.ssa Violet Turner negli ultimi secondi del finale. Le visite “su appuntamento”, il minor numero di operazioni, effettuate all’ospedale St. Ambrose, e la composizione dello staff medico (fra gli altri, due psichiatri, un pediatra e un naturopata) hanno dato alla serie un ritmo più blando con meno azione e meno “sangue” rispetto a Grey’s Anatomy e a E.R. - Medici in prima linea. Ma i pazienti, e la medicina in generale, sono sempre stati in secondo piano rispetto alle vite private dei medici, vero fulcro della serie: fra storie d’amore sempre più improbabili, scambi di partner e tragedie continue, Private Practice si è progressivamente trasformato in una soap opera!


La necessità degli sceneggiatori di chiudere tutte le storyline dei protagonisti nei soli 13 episodi a disposizione ha portato a un’ultima stagione discontinua e poco omogenea che di “medical” ha ben poco, con puntate dedicate ai singoli protagonisti a discapito della coralità, il vero punto di forza della serie. Dopo una serie infinita di sfighe cosmiche (morti improvvise, incidenti, stupri, aggressioni, rapimenti, alcolismo, tossicodipendenza), nell’episodio finale tutti i personaggi hanno raggiunto un’inattesa stabilità e serenità con un happy ending poco logico e molto forzato.

Partiamo dalla protagonista, la Dott.ssa Addison Montgomery. Perché ricordiamolo almeno noi, visto che gli sceneggiatori nel finale sembrano averlo dimenticato, Private Practice nasce con il trasferimento di Addison da Seattle a Los Angeles – da Grey’s Anatomy a Private Practice– “serialmente” parlando. Bellissima, determinata nel lavoro ma fragile nella vita privata, Addison riesce finalmente a coronare il sogno di diventare madre, adottando in via definitiva il piccolo Henry e a sposare il Dott. Jake Reilly, l’esperto di fertilità a cui si era rivolta per avere un bambino, senza riuscirci, nonché uomo quasi perfetto e, di conseguenza, terribilmente noioso. Chi si aspettava un finale dedicato al tanto sospirato matrimonio resterà deluso: la cerimonia viene liquidata in pochi minuti, per dedicarsi poi al ritorno di Naomi Bennet, migliore amica di Addison dai tempi del college uscita di scena ben due stagioni fa.

Con la scelta poco coerente di mettere in secondo piano Addison per dare maggiore spazio a Naomi, gli sceneggiatori provano a giocare la carta del finale a sorpresa, ottenendo però dei pessimi risultati. Tornata a Los Angeles per fare da damigella d’onore a Addison, Naomi incontra al ricevimento l’ex marito Sam, che, per inciso, è anche l’ex fidanzato di Addison e attuale fidanzato dell’infermiera Stephanie, e fra i due scoppia di nuovo la passione. Ecco l’idea “geniale” degli sceneggiatori: Naomi scopre di essere incinta (di nuovo, i due hanno già una figlia avuta dal primo matrimonio), lei e Sam si risposano e “vissero tutti felici e contenti”. E qui parte l’inevitabile commento Ma che cavolo– traduzione soft del più esplicito What the f...k.

In una serie dove il tema principale è sempre stata la maternità – Addison è chirurgo neonatale, ginecologa e ostetricia, mentre Naomi e Jake sono entrambi esperti di fertilità –, e dopo tre gravidanze inaspettate – prima Violet, con il dubbio della paternità fra Pete Wilder e Sheldon Wallace e con il parto più splatter della storia; poi Maya, la figlia quindicenne di Naomi e Sam; e infine Amanda, costretta ad affrontare la morte del padre del bambino per overdose, la riabilitazione e la nascita di un bambino anencefalico, un’ALTRA gravidanza come colpo di scena finale è il segno che la chiusura del medical drama era doverosa per mancanza totale di idee.

Oltre ad aver creato un episodio piatto, noioso e privo di emozioni, gli sceneggiatori sono anche riusciti a indispettire buona parte dei fan, ideando un finale incoerente con i personaggi e con le ultime stagioni, con il triangolo Naomi/Sam/Addison – diventato poi un “quadrato” con l’arrivo di Jake – che si conclude in un doppio matrimonio poco plausibile. Già nel primo episodio, Naomi e Sam, freschi di divorzio, cercano di ricostruirsi una vita sentimentale, pur continuando a lavorare fianco a fianco fra continui litigi e riappacificazioni momentanee, fino ad arrivare a storie importanti come quella fra Sam e Addison – che scatena la gelosia di Naomi – e quella fra Naomi e Gabriel Fife, medico disabile che collabora con la clinica. Dopo la partenza di Naomi, nessun segnale lasciava presagire una riconciliazione finale, addirittura con un Sam entusiasta per la gravidanza a sorpresa dell’ex moglie. Ecco, il plot hole più improbabile è proprio questo. Stiamo parlando dello stesso Sam che ha lasciato Addison perché non si sentiva pronto ad affrontare né una gravidanza né un’adozione? Lo stesso Sam che, nonostante i suoi dubbi, ci ripensa e chiede ad Addison di sposarlo e formare con lui una famiglia insieme al piccolo Henry per la paura di perdere la donna che ama – beccandosi comunque un No come risposta per essere arrivato “fuori tempo massimo”? Sì, sempre lui, lo stesso che però alla notizia della gravidanza di Naomi, ex moglie che non vede da mesi e con cui non ha più avuto contatti se non il fugace incontro al ricevimento di nozze di Addison e Jake, va in brodo di giuggiole e decide di risposarla. Ora, sorvolando sull’antipatia contro Naomi e la predilezione per la coppia Addison/Sam della sottoscritta, questo doppio matrimonio finale va comunque contro ogni logica, prediligendo l’happy ending forzato.

Le svolte poco felici nella sceneggiatura non si limitano a questo quadrato, ma riguardano anche altri personaggi cardine della serie. Il Dr. Pete Wilder, ex di Addison e marito della Dott.ssa Violet Turner, viene “eliminato” già nel primo episodio con una morte fuori scena, un infarto durante la corsa mattutina, senza neanche apparire nell’ultima stagione – pare per tagli al budget della serie. Questa scelta si ripercuote negativamente anche sul personaggio di Violet che viene relegata quasi al ruolo di comparsa. Rimasta vedova e con un figlio piccolo da crescere, Lucas, la psichiatra cerca di affrontare il lutto buttandosi a capofitto nel lavoro e frequentando un corso per l’elaborazione del lutto e nel finale della serie, mostra ai colleghi della clinica il suo nuovo libro intitolato proprio Private Practice, libera professione, che parla della clinica e del loro lavoro. A differenza degli altri personaggi, però, Violet viene lasciata in disparte e al di là della partecipazione ai casi della clinica e dei rapporti fra colleghi, il suo personaggio non ha nessuno sviluppo extra lavorativo.

Anche Amanda Sheperd, sorella minore del Dr. Stranamore, ex marito di Addison, diventa meno centrale nella stagione finale dopo una quinta stagione imperniata sulla sua tossicodipendenza e sulla sua difficile gravidanza. Il suo personaggio riesce ad avere comunque una svolta positiva grazie alla storia d’amore con il Dr. James Peterson, neo assunto al St. Ambrose: la relazione sembra guarire le ferite di Amanda che continua con successo il suo percorso da ex tossicodipendente e alcolista e arriva ad ammettere di volere dei figli da James in futuro, dopo il trauma della nascita del figlio anencefalico.

Il Dr. Sheldon Wallaceè invece uno dei personaggi di spicco dell’ultima stagione, protagonista di una doppia storyline che si chiude con un finale dolceamaro. Dopo aver scoperto di avere il cancro alla prostata, lo psichiatra viene lasciato dalla sua ex moglie che non vuole affrontare la sua malattia. Durante le sedute di chemioterapia, però, Sheldon si innamora di Miranda, malata terminale che ricambia il suo sentimento ma non vuole essere un peso. Nel finale, Sheldon decide di seguire il suo cuore e lascia il suo lavoro allo studio per poter trascorrere tutto il tempo che le resta insieme a Miranda. L’altra storyline, il rapimento della piccola Sarah, è l’unica storia “medica” che attraversa tutta la stagione: portata dai genitori neodivorziati, già pazienti di Violet, al St. Ambrose, la bambina scompare dopo l’ennesimo litigio dei genitori e quella che sembra inizialmente una fuga si trasforma ben presto in un probabile rapimento. Sheldon sospetta subito di un suo paziente pedofilo, Nick, che si trova al St. Ambrose, ma è costretto a scusarsi quando trova Nick da solo in camera senza la bambina, perdendo la fiducia del suo paziente. Dopo numerose settimane di ricerche purtroppo inutili, Nick si ripresenta a sorpresa da Sheldon per una seduta raccontandogli di essere innamorato ma lo psichiatra intuisce che dietro al rapimento di Sarah c’è proprio Nick. Sheldon riesce a condurre la polizia a casa di Nick, dove viene ritrovata la bambina ancora viva. Esaltato come un eroe per aver salvato la bambina, Sheldon deve convivere con il senso di colpa per non aver seguito da subito la sua intuizione, evitando alla bambina l’orrore che ha subito– la domanda se la bambina abbia subito abusi resta in sospeso.

Il vero fulcro della stagione finale è la gravidanza trigemellare della Dott.ssa Charlotte King, il personaggio meglio caratterizzato dell’intera stagione. Dopo una reazione iniziale à la Charlotte – cioè spera di abortire –, la King cede all’entusiasmo del marito, il Dr. Cooper Freedman, e di Mason, il figlio di 8 anni avuto da Cooper da un’avventura di una notte, e affronta con amore la difficile gravidanza che porta alla nascita di tre bambine. Con l’acquisto di una casa per la famiglia “allargatissima”, la strana coppia King – Cooper resta la coppia più vera e credibile della serie con un happy ending meritatissimo. Fortunatamente, la trasformazione da “arpia” a mamma amorevole, già iniziata con l’arrivo di Mason, non stravolge il caratteraccio di Charlotte: Charlotte era e resta la solita stronza!

L’intera sesta stagione di Private Practice ha sicuramente più difetti che pregi, con un finale frettoloso, banale e poco logico, che non ci fa rimpiangere la chiusura del medical drama. Gli orfani di Addison Montgomery, però, possono sempre sperare in un suo eventuale ritorno come guest star in qualche episodio della prossima stagione di Grey’s Anatomy: chissà se Shonda Rhimes è della stessa idea…

Progetto Recensione: "L'amore è un difetto meraviglioso" di Graem Simsion

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Cari lettori,
ogni tanto sul nostro percorso di lettura troviamo dei libri così intriganti che diventa difficile non condividere con tutti quelli che conosciamo queste scoperte. Con L'amore è un difetto meravigliosoè successo proprio questo. Il libro, uscito per la casa editrice Longanesi il 22 aprile 2013, ha da subito incuriosito alcune persone della redazione ma solo una lo poteva leggere in anteprima. Onore toccato a Sabina che ha avuto poi anche l'occasione di incontrare l'autore a Milano per un'intervista, sfortunatamente mai avvenuta (ma questa è un 'altra storia che forse vi racconterà lei...)

L'anteprima del libro però aleggiava in redazione e Elena non ha potuto fare a meno di dare una sbirciatina: è stato amore a prima lettura, che l'ha spinta ad acquistare e leggere l'intero libro. Da lì si è innescato un vero effetto domino, prima Gabriella poi Roberto, Cristiana e Sara (complice in questi ultimi casi gli sperticati parallelismi tra il personaggio del libro, Don, e un personaggio televisivo molto amato Sheldon Cooper, protagonista della sit-com The Big Bang Theory).

Insomma, quella che sarebbe dovuta essere una recensione standard, si è trasformata in un Progetto Recensione, per dirla con le parole dello stesso Don Tillman, il protagonista, nonché narratore di questo avvincente romanzo, che è stato definito un chick-lit al maschile.

Buon Lettura a tutti e consigliamo una visita al sito qui... ne sarete conquistati!

Autore: Graem Simsion
Titolo: L'amore è un difetto meraviglioso
Titolo originale: The Rosie Project
Traduzione di Michele Fiume
Casa Editrice: Longanesi
Collana: La Gaja Scienza
pagine: 304
Prezzo: € 14,90 (hardcover); € 9,90 (e-book)
Data pubblicazione: 22 aprile 2013
Trama: Don è un professore di genetica all’Università di Melbourne e di recente ha fatto una scoperta incredibile: gli uomini sposati sono mediamente più felici di quelli single. E vivono più a lungo! Per questo ha deciso, da scienziato qual è, di trasformare un problema – il fatto che non ha una compagna e non gli è mai riuscito di trovarne una – in un progetto: il Progetto Moglie. È semplice: basta un questionario di sole sedici pagine per escludere tutte le candidate sbagliate e trovare, finalmente, la donna perfetta per lui, una che risponda a criteri rigorosi: non deve fumare né bere, e non deve mai arrivare in ritardo o in anticipo. Grazie al Progetto Moglie Don scoprirà che la lunghezza dei lobi delle orecchie non è un indicatore affidabile dell’attrazione sessuale. Che c’è una ragione per cui non ha avuto mai un secondo appuntamento con una donna. Che una giacca sportiva in color giallo catarifrangente, benché si chiami «giacca», non è indicata per entrare in un ristorante elegante. E scoprirà che nonostante un approccio estremamente scientifico al problema, non è così che si trova l’amore. Perché è l’amore a trovarti.
COLONNA SONORA


RECENSIONE

ELENA
Eccomi, la causa di tutti i mali! Diciamo che ho stressato un po' la redazione con questo titolo, prima solo con "mi sta piacendo molto, l'adoro ed è divertente" per poi passare a "leggete le citazioni e capirete quanto è bello". L'amore è un difetto meravigliosoè un piccolo gioiellino che ti sa conquistare sin dalle primissime battute e che nelle successive non solo riesce a tenere alto l'interesse, ma migliora ancora, arrivando al suo apice sul finale dove vedi coronare davanti ai tuoi occhi una splendida storia d'amore ma anche di crescita, trasformazione e accettazione.

Protagonista assoluto Don, che io pubblicizzavo tra gli amici come uno Sheldon Cooper, protagonista della sit-com The Big Bang Theory che si imbarca in un "Progetto Moglie". Attenzione Don non è Sheldon Cooper però le manie, il candore, la razionalità accomunano entrambi i personaggi. Se Don è il protagonista, Rosie è la co-protagonista per eccellenza, personaggio affascinante, dinamico, insicuro e sempre in lotta con se stessa e le sue debolezze. Due personaggi profondamente diversi che però riescono a coesistere e a condividere momenti emozionanti e divertenti.

Un libro originale, scoppiettante, divertente (se penso ad alcune scene... scheletri ballerini, tabelle nutrizionali e "risse" con dei buttafuori non posso fare a meno di ridere ancora) che merita di essere letto. Una lettura piacevole, intensa. Una lettura d'evasione di qualità, consigliata a tutti a dimostrazione che esistono storie che travalicano il genere femminile e maschile nel quale troppo spesso inseriamo di peso alcune storie. 
Che dire: "leggete gli stralci presenti sul sito" e vi fionderete ad acquistarlo!

GABRIELLA
Seconda causa di tutti i mali a rapporto! In realtà il libro doveva essere richiesto per me. Mi è stato soffiato dalle mani dalla collega che avrebbe intervistato l'autore. Ci sono rimasta un po' male, soprattutto quando lei ha comunicato che l'intervista non aveva avuto luogo perché Simsion aveva avuto un imprevisto ed era dovuto andare via prima del tempo. Che peccato!

Ma, a ripensarci, gli imprevisti sono uno dei temi fondamentali di questo romanzo. Sì, perché la vita di Don Tillman è perfettamente scandita dai suoi ritmi (spesso assurdi), dagli orari, da pasti perfettamente equilibrati che si succedono settimanalmente e potrebbero essere cucinati a occhi chiusi, da appuntamenti precisi, quasi matematici (anzi, senza quasi) che, nel momento in cui incontra Rose, vengono totalmente stravolti, rivoluzionati, polverizzati. Sebbene Don ricalcoli il percorso come un GPS efficiente, Rosie si è introdotta nella sua vita come una variabile impazzita e Don non riesce a tornare in carreggiata, anzi, non ne sente più neanche l'esigenza!

Possibile che un uomo che si ritiene non possa provare sentimenti, che non comprende l'ironia e le metafore, che ha una capacità di relazionarsi con gli altri esseri umani pressoché nulla si possa innamorare? Non sarebbe meglio se trovasse la donna adatta a lui attenendosi al suo progetto iniziale, il "Progetto Moglie"E che dire di Rosie? Rosie è una co-protagonista magnifica, da subito in sintonia con Don, pronta a non lasciarsi turbare dalle sue stranezze, ma ad assecondarle e ad apprezzarle, addirittura, come capiterà di fare anche a noi. Una ragazza piena di problemi e di sorprese, non meno complessa di Don.

L'amore è un difetto meraviglioso: trovo che il titolo italiano sia molto indicato, sebbene sia ben diverso dal titolo originale (The Rosie Project). Perché l'amore è un difetto, una variabile, un elemento di disturbo che modifica tutto, che fa saltare ogni "Progetto", ma che meraviglia quando accade!

PS: La colonna sonora l'ho scelta io: adoro Jackson Browne e Running on Empty, l'album dal vivo che Don ascolta ripetutamente durante il suo lunghissimo viaggio per andare a cercare uno dei possibili candidati del "Progetto Padre", è un compagno di viaggio perfetto. 
Curiosità: all'interno dell'album è contenuta la canzone Rosie... strano che Simsion, pardon Don, non si sia reso conto della coincidenza!

ROBERTO
Ho letto questo libro su insistenza delle qui presenti Elena e Gabriella. Visto il titolo sdolcinato era un po' riluttante (il titolo originale è molto più azzeccato) ma sono bastate poche pagine per capire che sbagliavo a esserlo.

L'amore è un difetto meravigliosoè una commedia romantica del tutto atipica, che a causa (o meglio, per merito) dello stravagante protagonista rimane scevra dell'eccessivo sentimentalismo usuale in questo genere letterario. Il romanzo è scritto in prima persona, dal punto di vista di Don, e proprio la caratterizzazione del personaggio è il colpo magistrale dell'autore. Don diverte il lettore, lo intrattiene, e magari lo commuove anche, ma fa tutto questo inconsapevolmente, troppo concentrato sulle sue routine e sulla razionalità delle sue azioni. Simsionè riuscito a mettere su carta questa personalità, senza sbavature né cadute di stile, e ha creato quello che è probabilmente il primo romanzo sentimentale senza sentimenti.

Ottimi anche il ritmo della narrazione, molto cinematografico (non a caso il romanzo era stato inizialmente pensato come sceneggiatura) e la costruzione della co-protagonista, Rosie, una ragazza di cui è difficile non innamorarsi. L'amore è un difetto meraviglioso è un piccolo gioiello di letteratura da cui molti scrittori italiani (o presunti tali) dovrebbero prendere esempio.

CRISTIANA
Io sono la seconda vittima della persuasione delle summenzionate Gabriella e Elena. L’amore è un difetto meraviglioso è la descrizione dettagliata e brillante della pseudo-teoria secondo la quale gli opposti si attraggono. È un romanzo che si legge tutto d’un fiato e non si può non rimanere affascinati dal modo in cui l’autore riesce a descrivere non solo una storia d’amore – non così scontata e banale – ma anche dalla maestria attraverso cui riesce a introdurci nel mondo rigidamente organizzato di Don che, pian piano, all’età di trent’anni, impara a muoversi nell’altrettanto rigido mondo delle convenzioni sociali.

Chi conosce The Big Bang Theory e il magnifico “conte Shelly” non può che trovare, come dice Elena, delle continue somiglianze – la scienza e la metodologia sono sacre –; però c’è una differenza, una variante tra i due, costituita dalla figura femminile. Gli SHEMY sono assolutamente atipici: i loro rapporti di coppia sono conformati alla loro formazione scientifica; mentre Don deve avere a che fare con una scheggia impazzita di nome Rosie del tutto fuori dagli schemi “donaldiani”, tanto da renderla totalmente inadeguata per la realizzazione del Progetto Moglie. Eppure quando le “emozioni invalidanti” si abbatteranno sulla logica organizzante del protagonista, ci saranno alcune variazioni del progetto che si trasformerà in un inconscio Progetto Don.

«Basta leggere le prime pagine e capite subito cosa intendo…», scrive Elena nel consigliare il libro. Ho pienamente inteso cosa suggeriva la mente diabolica della Bigoni alla lettura della sola prima pagina: incastrarmi a leggere poco più di un intero pomeriggio! E lasciate che ve lo dica: piacevolmente incastrata.

È un romanzo che MERITA non solo per la storia ma anche per la lezione di scrittura che l’autore australiano ci offre. Merita di essere letto perché quando arrivi all’ultima pagina hai percorso anche tu la piccola maratona personale di Don e ti mancherà un poco.

L'AUTORE
Graeme Simsion, australiano, è uno sceneggiatore cinematografico al suo esordio nella narrativa. Ancora prima della pubblicazione ha vinto un prestigioso Premio in patria, il Victorian Premier’s Literary AwardsI diritti di traduzione del suo romanzo sono stati venduti, fino ad ora, in oltre 30 Paesi. È stato effettivamente il romanzo più conteso alla Fiera di Francoforte 2012. L’autore ha un suo profilo facebook: Graeme Simsion, un blog: graemesimsion.com e un account twitter: @GraemeSimsion. Anche Don Tillman, il suo strepitoso personaggio, ha un suo account twitter: @ProfDonTillman.

Book Night Moon: Impressioni post evento

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Cari lettori,
lo slogan dell'header recita We will blog you. Il nostro intento è quello di intrattenervi, di consigliarvi, di approfondire tematiche che potrebbero interessarvi, condividere opinioni e impressioni sulle nostre letture. Tenere aggiornato il blog quotidianamente è un lavoro impegnativo, ma la fatica è ricompensata largamente da un team affiatato e competente, con una divisione di ruoli che farebbe invidia alle migliori multinazionali. Da sempre il nostro gruppoè una fucina di idee, una specie di calderone virtuale nel quale ognuno di noi aggiunge un ingrediente. Non abbiamo una ricetta specifica, ma solo tanta intuizione e passione a muoverci. Succede che un giorno Elena scriva una proposta. Succede che tutti la prendano sul serio. Succede che cominciamo a lavorarci. Succede che le venga dato il nome di Book Night Moon. Succede che diventi un'iniziativa per Il maggio dei libri. E succede, poi, che si riveli un successo. Io, purtroppo, ci sono stata con il pensiero, anzi con il sogno, perché mi sono addormentata ben prima dell'inizio dell'iniziativa. Non alle 10.30 o alle 10. No. Alle 8, credo. Forse le 9, ma non ne sono certissima. Sono stata vittima della stanchezza (ecco cosa succede se per periodi prolungati si dorme poche ore per notte!) che, senza colpo ferire, mi ha fatto addormentare nel giro di pochi minuti. La parte divertente è che mi sono svegliata di soprassalto con in mente proprio la Book Night. Il mio unico pensiero conscio era: Spero che siano le due di mattina. Le tre, magari. Il destino, però, è una buffa creatura che si diverte a prendersi gioco di noi miseri umani. Di me nello specifico. Mi sono svegliata alle 5.30, cari lettori. Giusto il tempo di scambiare qualche parola con una assonnata Elena. Ho piacevolmente subito, però, i postumi di questa mega chiacchierata collettiva. Gente esaltata, felice di aver partecipato che, anche la mattina successiva, continuava a commentare nelle discussioni di poche ore prima. Lettori che scrivevano sulla bacheca le loro impressioni. La parte sicuramente migliore: vedere, sentire, percepire che la BNM era servita a qualcosa, che aveva avvicinato persone sconosciute, le aveva fatte appassionare a qualcosa, le aveva unite con la lettura. Esiste niente di più meraviglioso? 

ELENA
Io ho un piano, un piano per ogni cosa, niente esula dalle mie grandi e piccole pianificazioni. Un piano di riserva per ogni occasione. Quando mi sono lanciata in questo esperimento, perché tale era alla fine, mi sono preparata a qualunque evenienza ma con la speranza che in realtà l'evento vivesse di se stesso e crescesse da solo grazie ai contributi dei presenti. Non sapevo come sarebbe accaduto, ma ci speravo. Ciò che è successo durante la Book Night Moonè stata una magia, un'esperienza che è andata al di là di ogni mia più rosea aspettativa e che ha saputo sorprendermi in moltissimi modi diversi. Quello che penso dell'evento lo troverete raccontato nel post finale della serata QUI. Di quelle ore ho ricordi sfuocati, troppo di tutto, ma la pienezza delle emozioni vissute con gli altri partecipanti sarà un ricordo che rimarrà sempre presente. Della serie "noi c'eravamo"! Una delle tante gioie è legata anche al fatto che i partecipanti hanno potuto toccare con mano ciò che Diario è nel suo nucleo più intimo. Ciò che è avvenuto lì è ciò che spesso accade, in maniera meno folle, quando la redazione si confronta, parla, riflette... noi dello staff siamo proprio così... assetati di libri, golosi di discussioni ed entusiasti per nuovi stimoli e riflessioni. Tutto questo lo abbiamo trovato durante la Book Night Moon. Questo ci ha fatto enorme piacere perché abbiamo scoperto una volta in più che esiste un mondo di lettori ancora da scoprire, con cui entrare in comunicazione e dove l'amore per la lettura regna sovrano con rispetto reciproco ed educazione. Non c'è molto altro da dire se non grazie a tutti per questa fantastica esperienza che credo si ripeterà sicuramente...

GABRIELLA
La mia Book Night Moon è iniziata nel panico! Proprio alle 18.00 del pomeriggio del 1° giugno Facebook si è messo a fare le bizze, nel senso che mi arrivavano le notifiche ma, cliccando su quel che volevo leggere, non riuscivo a vedere nulla! Anche la funzione mi piace mi era preclusa! Ho fatto tutte le prove del caso: sono uscita e rientrata, ho spento il computer; tutto senza risultato: alle 23.00 la situazione era sempre la stessa. Non appena Elena ha postato i libri che avrebbe letto, ho pubblicato anch'io le foto dei miei e, improvvisamente, si è aperta la diga! Uno dei tre libri era infatti Orgoglio e Pregiudizio, edizione speciale del Bicentenario targata JASIT, con la traduzione di Giuseppe Ierolli e il progetto grafico di Petra Zari. Il primo argomento di discussione è dunque stata Jane Austen, sebbene, contemporaneamente, fioccassero post di altro genere nella pagina dedicata all'evento. 

Avevo sempre lo stesso problema di prima, sia ben chiaro. Ero costretta a restare sempre sullo stesso post, oppure a leggere le notifiche appena Facebook me le comunicava nei rettangolini sulla sinistra (e se erano risposte lunghe potevo leggerne solo il primo rigo!). Per comunicare a qualche partecipante che avevo gradito il suo commento  non potendo cliccare il 'mi piace'  ero costretta a digitare e inviare (y), che faceva apparire il simbolo del pollice su. In pochissimo tempo la Book Night Moonè diventata incandescente. Era come se stessero sparando fuochi d'artificio da più parti: non appena rispondevamo a un post, Facebook ci comunicava che un nuovo interessantissimo argomento era stato postato, o qualcuno aveva risposto a un post che stavamo seguendo, oppure a qualcun altro era 'piaciuto' ciò che avevamo scritto. Una serie infinita di domande, risposte, opinioni concordanti e discordanti, consigli dati e ricevuti, apprezzamento, simpatia, stima. Le ore trascorrevano rapidissime, tanto che siamo arrivati alle 3.00, dopo ben quattro ore di chiacchiere, senza colpo ferire (e anche senza rigo leggere, però, alla faccia della notte bianca dei lettori!). 

Poi, pian pianino, le persone con cui abbiamo conversato per ore hanno iniziato a salutare, ma c'è stato anche qualcuno che  come in ogni notte bianca che si rispetti  è arrivato alle ore piccole, mentre altri hanno iniziato a leggere (era ora) e sono tornati dopo un po' per postare citazioni dai libri in lettura. Facebook mi ha vomitato tutti i commenti che non avevo potuto leggere intorno alle 4.00 e mi sono messa a vagare un po' per tutto l'evento a cercare post che mi ero persa, a rispondere a domande che mi erano state poste, a cliccare (era ora!) 'mi piace' ai commenti più interessanti. Alle 5,16, quando io e Elena siamo rimaste da sole, accompagnate dalla mia amica LizzyS (l'unica, forse, che sia riuscita a leggere una sessantina di pagine nell'arco di tutta la nottata), abbiamo postato i segnalibri speciali realizzati da Miss Claire per l'occasione e abbiamo salutato i nostri compagni d'avventura. Abbiamo provato un calore, una complicità, un divertimento che hanno reso questo sabato notte diverso, unico e magico. Ma non irripetibile. Perché ripeteremo presto!

VALENTINA C.
Qualche anno fa mi son trasferita in un paesino praticamente ai piedi del Monte Rosa, piccino piccino, dove non conoscevo nessuno e dove per raggiungere una libreria bisogna prendere un autobus. Per diversi anni sono rimasta senza internet e mi sentivo letteralmente soffocare: pochi libri (rileggevo sempre gli stessi), nessuno con cui condividere quelli che riuscivo a recuperare e leggere. Il primo giorno in cui la mia tanto attesa connessione è stata allacciata, mi girava la testa per il turbinio di pagine, persone, blog che comparivano magicamente con i clic sul mouse. Presa dalla frenesia e da uno straordinario senso di sollevata libertà, ho passato giorni a leggere recensioni altrui, scoprire nuovi libri, parlare e confrontarmi con sconosciuti che ben presto son diventati voci famigliari e poi – alcune – amici. Ero ebbra, incantata, dipendente. Ecco, dopo anni di internet, abbuffate di libri, confronti e recensioni (anche mie ora), non credevo di poter riprovare quella stessa sensazione così appagante di scoperta e di riconoscimento, quella suscitata dal ritrovarti tra persone che hanno con te un denominatore comune nell’anima – qualcosa che va al di là dei gusti personali – che non ti fa sentire solo, ma parte di una tribù. Ok, una tribù di caffeinomani e maniaci ossessivo-compulsivi di lettura. Ma è stato emozionante ritrovarmi lì tra loro/voi: amici di tutti i giorni che si ricordano quali libri hai amato e quali hai stroncato (Elena e Ste, parlo di voi in particolare); è bellissimo vedere illuminarsi mentre parlano di ciò che amano di più (e qui aggiungo Gabri, Roberto, Andrea, Valeria, per citare solo quelli della redazione); “vecchie” conoscenze che probabilmente hanno avuto l’occasione qui di fare un passettino importante per diventare qualcosa di più; nuove voci che dopo qualche intenso scambio di idee, opinioni, battute, si sono accalcate nella casella delle richieste d’amicizia, felici quanto me di continuare a condividere nei giorni futuri. Perché la Book Night Moon è stato un “evento”, ma non è veramente finito: il bello sta proprio nel fatto che ha aperto le porte ad altre conversazioni, ad altri confronti, a nuove amicizie e collaborazioni. Al punto che è stata proposta una Book Night Moon mensile o una settimana bianca di libri. La mia nottata è terminata verso le 2:30, non sono stata tra gli impavidi che han visto l’alba. Ma il bottino che ho portato a casa è stato ugualmente strabordante! Un grazie a tutti. 

ANTONELLA
Una nottata fra amici vecchi e nuovi a parlare di cose che ci piacciono un sacco. Ma come è possibile che si possano sentire così vicine persone che non si sono mai viste e non si possono toccare? E invece sì, ci si tocca e ci si sorride con le parole e le emozioni: perché non è questa forse la lettura? Ho ciarlato di Dante e di Harry Potter, di classici e di vampiri e nel parlare di quel che mi piace ho potuto svelare cose di me che in amicizie trentennali sono rimaste nascoste. Una comunità di persone con un caffè, una tisana (o un piatto di pasta) sorrideva ebete davanti al pc, mentre condivideva le proprie passioni e incontrava altri innamorati dei libri... Insomma, quando lo rifacciamo?

ROBERTO
Sono tornato a casa all'una e mi sono collegato solo per dare un'occhiata, curioso di sapere come procedeva la manifestazione. In men che non si dica sono stato assorbito dalle discussioni e dai commenti. Non ho letto nulla ma confrontare i miei gusti con quelli di altri lettori appassionati è stato divertente e costruttivo. Noi lettori saremo pure una minoranza degli italiani, ma siamo sicuramente la parte più interessante della popolazione.In Books We Trust!

GINA
Quando ho saputo dell’evento ero scettica, poi man mano che mi appassionavo all’idea diventavo ansiosa, perché si sa… di ognuno vien fuori ciò che è! Mi dicevo che non poteva essere, persone che il sabato sera dedicano una nottata alla lettura, o almeno a parlar di letture. Ne avevo visti altri di eventi simili e spesso miseramente falliti. La mia ansia cresceva perché, pur essendo da pochissimo in questa bella “famiglia di libri e di lettori” (più lettrici però!), già non potevo tollerare il pensiero di un fallimento. Timidamente, il giorno prima, ho iniziato a invitare alcuni miei amici. Poi nel pomeriggio, dopo aver creato la certezza di non ricevere inviti a fare nulla fuori casa, mi sono fatta in quattro per evitare di aver da sbrigare cose in quelle ore. 

E poi... via! Quando ho iniziato già avevo qualcosa come 100 notifiche. Non sapevo dove gettare l’occhio e andavo a zigzag, perpendicolare o parallela, ma andavo a tutto. Non c’era qualcosa che non mi intrigasse nei discorsi e nei giochi proposti. E così iniziava la pazzia totale. Ma davvero… sembravano i fuochi d’artificio di un Capodanno qui a Napoli! Alcuni degli amici invitati inoltre stavano partecipando, anche solo con i “mi piace” ma partecipavano. Non mi sono fermata un momento, tra lettura dei commenti e il tentativo di scriverne io. Avrei voluto scrivere molto di più, ma neppure volevo lasciarmi sfuggire nessuna delle emozioni di tutti gli altri, e nel cercare l’equilibrio soccombevo. Non ho letto nulla che fosse meno che interessante o divertente o simpatico. Andavo avanti e l’entusiasmo cresceva, mentre la mia ansia si faceva sempre più piccola. Mi sono sentita avvolta in una coperta di sicurezza che riusciva a tenermi sveglia, nonostante il sabato sia per me la giornata più faticosa visto che mi sveglio alle 6 e torno a casa alle 15!

Credo di aver salutato intorno alle 2/2.30, non ricordo, ma dovevo farlo per gli impegni che mi aspettavano la domenica. Felice e rilassata nonostante il sonno, mi sono ritrovata a letto con la sensazione che mi accompagna da quando ero piccolissima, da quando ricevetti in regalo il mio primo libro, all’età di 6 anni: “Cosetta”... Qualcuno lo conosce? La sensazione di essere stata in un altro mondo, in un altro tempo, in un altro luogo. E mi sono addormentata con il sogno di tornarci… Grazie!

STEFANIA
Reduce da una manifestazione (culturale, ma lasciamo stare), ho partecipato alla Book Night Moon con lo spirito di chi voleva fare casino. Sì. La mia idea era quella di vivere un party a base di libri fino a sentirmi ubriaca, un po' come accade nelle "vere" notti bianche.
 Mi sono tuffata in quest'avventura ed è stata una delle notti più belle ed esaltanti della mia vita.
 Potrà sembrarvi un'affermazione eccessiva ma è così. Essere insieme a persone con cui condivido le mie giornate, verso cui nutro stima e affetto è stata una sensazione caotica e bellissima.
 Sembrava di stare in un lounge bar con il chiacchiericcio sparato al massimo e noi che saltavamo da una parte all'altra, schizzando da un post all'altro come palline di flipper.
 La programmazione è andata un po' a ramengo, sostituita da un'esaltazione collettiva che cresceva di minuto in minuto.
 Porterò con me la gioia di aver visto le mie amiche del fandom accanto a quelle di Diario, insieme all'entusiasmo di aver conosciuto un sacco di persone nuove. 
Notti come queste mi fanno capire che Diario è una realtà forte e una parte importante della mia vita. E che sono immensamente felice di esserne parte.


ANDREA
Tutto quello che si poteva dire è stato detto! Ciò che posso aggiungere è che ho scritto talmente tanto che, dopo quattro ore di notifiche impazzite, salti sulla sedia, stuzzicadenti infilati tra le palpebre per stare sveglio, etc... etc... sono crollato miseramente sulla tastiera. Erano le 3. Esperienza impegnativa, ma che ha coinvolto tutta la redazione di Diario, impegnata a dare input ai nostri lettori, che poi hanno dato prova di saper navigare benissimo da soli. In Italia non si legge molto, è vero. Ma quando si vede una partecipazione così calorosa, numerosa e sfrenata, si può ancora ben sperare...

VALERIA(La Rouge)

È iniziata alle ventitré
La maratona per chi, come me,
Ama spendere tempo ed energie
A coltivare le sue fantasie.

Post e commenti su ogni argomento
Domande fatte in ogni momento
Ecco, di nuovo, il social impazzisce
E le notifiche son tutte a strisce.

Ohibò, mi salva la discussione
A non perdere il filo della ragione
Tra Iliade, Martin, zia Jane e i Vampiri
La connessione mi va su di giri!

Le prime ore son passate di brutto
Mi trovo alle due che faccio di tutto,
Amicizie, contatti, e anche un caffè
Arrivano presto pure le tre.

Ma il libro che ho tolto dalle scaffale…
Come mai mi guarda male?
Ora ricordo, dovevo sfogliarlo, forse leggerlo,
Ma un evento così come potevo perderlo?

Va bene, d’accordo, le quattro son giunte
Smetto di scrivere e sto a mani giunte,
Mi prende un attacco di strana euforia
Un grazie di cuore a voi e alla mia....lettura-mania.




E alla prossima Book Night non mancate, mi raccomando! Le famiglie allargate ci piacciono! 

Provviste (libresche) per l'estate con gli sconti di giugno

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di Stefania Auci

Cari lettori,
con la complicità dell’estate (o almeno sul calendario c’è scritto così, perciò non disperiamo) e della crisi economica che continua a mordere duro, le case editrici hanno iniziato una massiccia campagna di sconti. Dopo le iniziative all’interno del Maggio dei libri, alcune delle grandi c.e. quali Newton Compton, Feltrinelli e Einaudi hanno lanciato una campagna di sconti sui tascabili. Un’occasione ghiotta, questa, per recuperare quei testi che avremmo voluto comprare e che ci siamo persi, o acquistare il classico che manca ancora alla collezione.

Gli sconti avranno durata variabile a seconda delle case editrici, e si va da un minimo del 1% fino al 25%. Un bello sconto, non c’è che dire, specie se si ha la possibilità di far scorte in vista delle vacanze, anche presso una libreria indipendente.

Sono ancora fresche le notizie dei dati Istat sulle vendite. Gli Italiani leggono poco, e l’unico settore di mercato che sembra tenere è la narrativa per ragazzi. I dati Istat parlano di una nazione in cui si legge poco: da 1 a 3 libri l’anno per il 46% degli intervistati di contro a un 14,5% di lettori forti, ossia i lettori che acquistano e leggono più di 12 libri in un anno. Cifre che fanno riflettere e che testimoniano come il bene-libro stia perdendo terreno in favore di altri oggetti, primi fra tutti i gadget elettronici.

Se ci si rivolge ai retailer on-line, allora il problema non sussiste poiché spesso Amazon, IBS o la Feltrinelli.it offrono testi a prezzi ribassati. Chi ha un occhio attento sa che sul web possono trovarsi ottime offerte, come sono segnalate dal sito cuponation.it , in cui si possono trovare le proposte del momento, un po’ come accade per esempio negli outlet on-line di abbigliamento.

In verità, questa massiccia campagna di sconti è un ennesimo sintomo della difficoltà del mercato editoriale. Persino il super bestseller di Dan Brown, Inferno, ha subito un abbassamento del prezzo passando dai 25 euro ai 19,90, segno che anche l’appeal del grande nome poco può dinanzi a un vincolo di bilancio. Del resto, i dati Istat sulle vendite al dettaglio segnano un -4,8% in generale. Unico settore che tiene e che anzi registra un segno positivo è quello della narrativa per ragazzi, tant’è che i soggetti che leggono di più sono appunto i ragazzi tra gli 11 e i 14 anni di età. È anche vero che variabili inerenti il contesto geografico, sociale e familiare incidono profondamente sull’acquisto e sulla fruizione dei libri. Chi ha dei genitori lettori sarà incoraggiato a leggere seguendo l’esempio dei familiari, così come è vero che si legge di più al nord che al centro sud. L’allocazione geografica ha un suo peso anche nella diffusione delle librerie: nei piccoli centri, il numero dei lettori è inferiore rispetto alle grandi città, anche per una minore presenza di punti vendita e di librerie sul territorio, come indicato dall’Istat.

La crisi è un dato di fatto e, sebbene vi siano alcuni timidi segnali che fanno sperare per il meglio, essa è ancora qui, presente e forte. Basti pensare all’edizione dimessa e un po’ sottotono del Salone del Libro di Torino. I numeri espressi sopra testimoniano però che la crisi economica ha cambiato solo in parte le abitudini di vendita. Quando da un’indagine statistica emergono dati sconcertanti come il fatto che una famiglia su dieci non ha alcun libro in casa, questo ha poco a che fare con il potere d’acquisto del denaro e molto con l’educazione, e l’importanza che si dà alla cultura e all’istruzione, aspetto questo, confermato dal dato successivo che indica come sei famiglie su dieci hanno al massimo 100 libri in casa. Questo, e non il fatto che in Italia si vendano meno libri, dovrebbe essere un dato su cui riflettere. Magari, gli stessi intervistati poi ammettono di aver scritto un libro o di dilettarsi nella poesia. Il panorama che emerge dal rapporto Istat di quest’anno è decisamente avvilente.

Abusando di un noto aforisma, si può dire che i libri siano il cibo della mente. Perché non nutrire i nostri pensieri (e il nostro italiano)?

Recensione "I ponti di Bergen" di Jan Guillou

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di Stefania Auci

Cari lettori,
oggi vi parleremo di un testo, I ponti di Bergen, scritto da un autore svedese di origine francese, Jan Guillou. Un romanzo carico di suggestioni, con una storia familiare che nel contempo è la narrazione della vita di tre fratelli assai diversi tra loro.

Autore: Jan Guillou
Titolo: I ponti di Bergen
Titolo originale: Brobyggarna
Traduzione di Umberto Ghidoni
Editore: Corbaccio
Pagine: 397
Prezzo: € 16,40
Data pubblicazione: 28 febbraio 2013
TramaQuando il padre annega nel Mare del Nord, Lauritz, Oscar e Sverre sono costretti a lasciare il loro piccolo villaggio norvegese ancora bambini per trasferirsi in città. I tre fratelli vengono presi a bottega da un cordaio, ma il loro talento innato e una serie di fortunate coincidenze li porteranno a studiare a Dresda, beneficiando della solidarietà di un'istituzione che li manterrà agli studi e che farà di loro affermati ingegneri civili di ferrovie e ponti. Si laureano nel 1901 e, per saldare il loro debito di riconoscenza, si impegnano a tornare in Norvegia per partecipare alla costruzione della ferrovia Bergen-Oslo, un'impresa epica che testimonia l'ingresso nel secolo del progresso tecnologico. Nel frattempo Lauritz si innamora di Ingeborg, un'aristocratica tedesca ed è intenzionato a sposarla nonostante l'opposizione del padre di lei, il barone von Freital; Oscar, tradito e truffato da una donna, abbandona Dresda e Sverre, invece, lascia i fratelli per inseguire il grande amore della sua vita, sfidando la rigida morale dell'epoca. Il destino non sembra concedere ai tre fratelli di realizzare i loro sogni e le loro ambizioni, professionali e sentimentali: la guerra sta infatti per abbattersi su di loro e su tutta Europa, una tragedia che cambierà per sempre la vita di Lauritz, Oscar e Sverre e del mondo intero.

RECENSIONE
La vita non è iniziata bene per Lauritz, Oskar e Sverre. Rimasti orfani in un villaggio norvegese dimenticato da Dio e dagli uomini, i tre fratellini vengono mandati a Bergen dove vive uno zio con la sua famiglia e mandati a lavorare in una fabbrica di cordami. Dopo poco tempo, i tre però vengono licenziati con l’accusa di aver rubato del materiale. Lo zio li riaccompagna al villaggio natio, ma nello stesso momento, il destino si mette in movimento e regala ai tre l’opportunità di dimostrare il loro talento naturale. Perché i tre Lauritzen sono straordinariamente dotati in tutto ciò che ha a che fare con calcoli e tecnologia: non avevano rubato del legno, ma sottratto i materiali di scarto per realizzare un perfetto modello in scala di nave vichinga, senza attrezzi né strumenti tecnici. Un’associazione benefica si fa carico della loro istruzione e i tre riescono così a studiare e a laurearsi a Dresda in ingegneria, dove ottengono risultati di eccellenza in ogni campo.

Tuttavia, anche tra fratelli così legati ci sono segreti. Due di loro decidono di non tornare in patria. Solo Lauritz, il più responsabile dei tre, torna a Bergen e inizia a progettare ciò per cui è stato formato: la costruzione della linea ferroviaria che porterà il treno a Bergen. Peccato che la zona sia tra le più infide e difficili. Pareti di roccia scoscesa, ampissimi dislivelli, la neve e il freddo che rendono i lavori impossibili o quasi. Molto più a sud, Oskar dopo una cocente delusione d’amore, si occupa della costruzioni di ponti e ferrovie nella savana; infine Sverre è lontano, in Gran Bretagna, dove ha scelto di vivere insieme all’uomo di cui si è innamorato, gettando un’ombra nel cuore dei propri familiari. Dal canto suo, anche Lauritz ha una pena d’amore. Ingerborg, la bella figlia di un ricco nobiluomo tedesco. I due sono innamorati ma la differenza sociale è immensa e l’uomo sa che l’unico modo per ottenere la sua mano è raggiungere fama e sicurezza sociale tale da nascondere le proprie umili origini.

La scelta dell’Autore è sicuramente molto interessante. Oskar e Lauritz rappresentano i due poli della narrazione: il romanzo alterna capitoli in cui l’uno e l’altro vivono e sperimentano in contesti estremi quali sono appunto le nevi norvegesi e la savana africana, e insieme cercano di trovare il loro percorso umano che li renderà adulti nel senso pieno del termine. Entrambi si trovano a essere a capo di una spedizione, senza esperienza e in condizioni ambientali avverse, ed entrambi, sia pure in maniera diversa, riescono a trovare il modo di sopravvivere e uscire più forti e maturi da queste esperienze.

I numeri per un romanzo maestoso e pieno di sfaccettature ci sono tutti, eppure la storia funziona solo a tratti. Difficile individuare la causa. Nel romanzo vi è una netta prevalenza del narrato sui dialoghi, e talvolta questo finisce per appesantire il testo. Si tratta di una scrittura uniforme e molto sobria: Guillou ha un fraseggio ampio, strutturato, e questo comporta una lentezza della prosa che spesso finisce per stancare il lettore. Altro aspetto che non ha convinto del tutto è la scarna descrizione dei luoghi. La contestualizzazione avrebbe potuto dare quel quid epico che invece manca e che avrebbe reso il romanzo particolare e ricco di interesse. Salvo poche descrizioni del percorso di Lauritz tra fiordi e ghiacciai norvegesi, ci troviamo dinanzi a descrizioni generiche che spesso non lasciano alcuna emozione.

Ciò che l’autore ha curato maggiormente riguarda i personaggi e le loro dinamiche all’interno dei gruppi di lavoro in cui sono inseriti. Mentre Lauritz deve guadagnare stima e fiducia di lavoranti e collaboratori, e confrontarsi con l’avvento delle idee politiche socialiste, invece Oskar affronta i pericoli della savana e di un mondo primordiale, in cui le regole comportamentali e sociali dell’Occidente lasciano il posto a riti tribali e iniziazioni dal sapore antico, un po’ come accade per l’uccisione del leone. Forse il percorso di Oskar è proprio quello degno di nota: occidentale, figlio di una mentalità colonizzatrice, scopre a proprie spese che la colonizzazione non è certamente apportatrice di quei vantaggi che i tedeschi vantano.

Questo è un libro adatto non solo a un pubblico femminile, ma anche agli uomini che desiderino uno storico privo di orpelli. Numerose son le valutazioni tecniche che l’autore ha inserito all’interno del tessuto narrativo, per esempio sulle tecniche di costruzione o sui materiali usati, e questo contribuisce a dare maggiore veridicità alla vicenda. Si tratta senza dubbio di un romanzo interessante e con buone premesse ma privo di quei guizzi, quegli spunti che rendono la lettura un’esperienza forte. I climax spesso sono incolori e solo l’approfondimento psicologico dei personaggi lo rende interessante e invoglia il lettore ad arrivare al finale. Quest’ultimo è aperto e rappresenta il vero guizzo di vitalità della storia. Il lettore resta in attesa del seguito, La moglie straniera, che chiarirà le sorti dei protagonisti e vedrà, forse, il rinsaldarsi del legame tra i tre fratelli.

L'AUTORE
Svedese di origini francesi, Jan Guillouè uno degli autori più letti e seguiti in patria. Giornalista affermato, è stato arrestato nel 1973 con l’accusa di spionaggio, dopo aver scritto un articolo sui servizi segreti svedesi. Da quell’episodio piuttosto avventuroso, ebbe l’idea di scrivere romanzi. Nel 1998 Guillou ha scritto Il templare , primo suo volume tradotto in italiano e primo libro della Trilogia delle Crociate, una serie da 260.000 copie vendute in Italia. Con I ponti di Bergen Guillou cambia luogo e spazio rispetto agli intrighi della Terrasanta del Dodicesimo secolo, scrivendo una saga familiare in cui passioni, amori e storie di tre fratelli si intrecciano sullo sfondo del movimentato Ventesimo Secolo.



Recensione "Hidden. La prigioniera" di Sophie Jordan

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Cari lettori,
dopo Vanish. La traditrice, ecco a voi la recensione del terzo e conclusivo capitolo della Firelight trilogy, Hidden. La prigioniera, nata dalla penna della texana Sophie Jordan.

Un esperimento, quello nel campo dello Young Adult, che sembra aver fruttato in patria numerosi consensi, tanto da spingere l’autrice ad aggiungere una Novella per approfondire il mondo dei Draki nato con Firelight. La ribelle

“Breathless” è infatti uscito in America nel Dicembre 2012 esclusivamente in formato digitale e vede come protagonista Az, la migliore amica di Jacinda (potete trovare maggiori info sul sito dell’autrice QUI)

Autore: Sophie Jordan 
Titolo: Hidden. La prigioniera 
Titolo originale: Hidden
Traduzione di Luca Fusari
Casa Editrice: PIEMME 
Collana: Piemme Freeway 
Pagine: 288 
Prezzo: € 16,50 
Data di uscita: 30 Aprile 2013 
Trama: Jacinda avrebbe dovuto legare con Cassian, il "principe" del loro branco. Ma ha resistito a lungo prima di innamorarsi di Will, un essere umano e, peggio ancora, un cacciatore. Quando è scappata con Will, è finita in un disastro, con la sorella di Cassian, Miram, catturata. Oppressa dal senso di colpa, Jacinda sa che deve salvarla per sistemare le cose. Ma per farlo si dovrà avventurare in profondità nel cuore del territorio nemico. L'unico modo che Jacinda ha per raggiungere Miram è fingersi lei stessa una prigioniera, anche se una volta assunto il travestimento, le cose rapidamente sfuggono dal suo controllo. Mentre impara a conoscere meglio i suoi rapitori, si rende conto che, anche se Will e Cassian riuscissero a svolgere la loro parte del piano, non c'è alcuna garanzia che ne usciranno tutti vivi. Ma ciò che Jacinda non avrebbe mai potuto prevedere è che la fuga sarebbe stato solo l'inizio... 

 RECENSIONE
 “Lo sconosciuto mi dà un altro strattone, e le corde mi affondano nei polsi a tal punto da convincermi che se non mi muovo mi mozzeranno le mani. Lo guardo torva, colpita dall’assenza di vitalità in quegli occhi azzurri. Non c’è niente, neanche quello che mi aspettavo. Non l’odio, non la cattiveria. Perché non gliene importa nulla. È convinto di trovarsi nel giusto.”
Hidden. La prigioniera si riallaccia al finale di Vanish. La traditrice, non ci sono sbalzi temporali o cambi di scena e la storia fluisce come se non fosse mai stata interrotta. Ritroviamo quindi Jacinda con il gruppo dell’operazione “salviamo Miriam dagli Enkros”: Will, Tamra e Cassian.

L’unico modo per penetrare nella fortezza ben sorvegliata dove i draki vengono rinchiusi è quello di fingersi una preda appena catturata e di distrarre gli uomini. Chi meglio di una rara Draki Sputafuoco può attirare l’attenzione?
“L’idea l’ho avuta io, è ovvio che ne sia sicura. Li ho persuasi tutti, ribattendo alle loro proteste fino a convincerli. Will. Cassian. Tamra. Ormai ci siamo. Mia sorella attende l’arrivo di Will e Cassian nascosta a qualche chilometro da qui.” 
La fortezza degli Enkros si rivelerà un luogo interessante, una sorta di immenso laboratorio con gabbie e sale per esperimenti. Le descrizioni non sono purtroppo molto dettagliate e al lettore non resterà che riviverle attraverso gli occhi spaventati e spesso doloranti della protagonista. Bella la frase, che ho anche riportato in apertura di recensione, che mette in evidenza un discorso più ampio che affonda le sue radici nello scottante dibattito sulla giustezza o meno della sperimentazione sugli animali. Gli Enkros infatti appaiono come uomini normali, ricercatori che vogliono vedere, capire, scoprire tutto sui draki, considerandoli cose prive di sentimenti o emozioni.
“La stanza gira. Le facce mi sfilano davanti. Persone. Come me. Vorrei gridare sono come voi! State torturando qualcuno che fa le stesse vostre cose, grandi e piccole. Qualcuno che pensa, vive, ama e odia. E odia... Vi odia tutti.”
Ma questo terzo capitolo della saga ha in serbo altre novità, oltre al diverso setting. Verranno introdotti infatti nuovi personaggi e scopriremo l’esistenza di altri clan conoscendone nuovi membri, anche loro catturati dai cacciatori. Spicca su tutti Deghan, il Grigio, che entrerà a far parte del gruppetto al seguito di Jacinda aprendo così nuove dinamiche di legami e intrecci. Purtroppo, ancora una volta, un grande potenziale rimane inespresso. I nuovi personaggi incontrati e poi spariti “col calar della notte”, rimangono nella memoria del lettore il tempo di un battito di ciglia. Peccato, perché questa poteva essere una buona occasione per approfondire il discorso sui clan e i loro usi. Stesso discorso si può fare per il personaggio di Deghan: nonostante ci accompagni fino alla chiusura del libro, rimaniamo con l’impressione di una conoscenza si intrigante, ma solo superficiale. Di lui, si poteva dire e approfondire maggiormente. Può anche darsi che la Jordan voglia lasciarsi qualche porta aperta per future storie su di lui e la sua compagna, ma per il momento si poteva almeno accennare ad uno sguardo più ampio sulle sue origini e la sua storia. Peccato.

Se Vanish. La traditrice è stato un capitolo di passaggio (potete leggerne la recensione QUI), con una trama un po' piatta e poca azione, Hidden. La prigioniera cambia decisamente registro, offrendo scontri, fughe e colpi di scena totalmente imprevedibili. Ed è proprio sul colpo di scena che vorrei spendere due parole. Esistono scrittori che ne hanno fatto un’arte: molti gialli o thriller non sarebbero gli stessi senza quel tocco che lascia il lettore a bocca aperta, ma in tutti c’è sempre una preparazione, a volte più grossolana, altre sottile e nascosta tra le righe. Alla fine, il risultato sarà, sì un colpo di scena inaspettato, ma darà modo al lettore di ripercorrere con il senno di poi, tutti gli indizi che aveva tralasciato e poter dire “certo vista così era ovvio”. In Hidden, la Jordan propone la soluzione a vecchi e nuovi problemi che sembra uscire dal cilindro, senza spiegazioni o percorsi plausibili. Il finale, dopo “la grande battaglia” è frettoloso.

Il clan sconvolto e provato da tutte le vicende, rimane ancora una volta sullo sfondo. Sappiamo solo le notizie principali, ma invece di viverle con i nostri occhi o attraverso quelli di Jacinda, le sentiamo riportate e brevemente riassunte. 

Altro tasto dolente è la storia d’amoreIn Firelight (QUI la recensione ) l’attrazione tra Will e la protagonistaè palese e ben costruita. Manca sicuramente il tempo materiale per far conoscere i personaggi e per farli innamorare, ma bene o male crediamo possibile la loro unione. Il triangolo amoroso palesato, sarebbe potuto essere meglio sfruttato, giusto per aggiungere pepe, ma rimane blando e senza corpo. Con Vanish, un po' dell’attaccamento alla coppia Will/Jacinda svanisce e il triangolo prende maggiore corpo, fino a quando, non si capisce bene come, tutto va in stallo. In questo terzo capitolo infatti non ci sono scossoni emotivi e l’unica scena che dovrebbe avere un alto contenuto sensuale, risulta piattaIl trio Cassian/Jacinda/Will non ha altro da dirci o regalarci.

Nota positiva è l’addio finale che risolve e conclude definitivamente il balletto per scegliere il fidanzato ufficiale della Draki sputafuoco.
“Mi scosto una ciocca di capelli dal viso, e lo guardo negli occhi. «Ti auguro di trovare quello che cerchi.» Quello che meriti. Con la mano mi sistema la ciocca ribelle. «Anche tu, Jacinda.» Senza aggiungere altro, si rialza e rientra in casa. Sulla soglia, mi guarda e dice: «Addio, Jacinda». Faccio un respiro profondo e tremante, so che forse non lo rivedrò mai più.” 
Per concludere, nonostante alcuni buoni spunti e la novità dei personaggi fantastici scelti dalla Jordan, questo libro e, in maniera più ampia tutta la trilogia, hanno poco da regalare al lettore. Sono stata la prima a sperare che dopo Firelight arrivasse un’inversione di rotta che potesse approfondire maggiormente la mitologia Draki e quella degli Enkros, dare maggiore spessore ai personaggi e creare più tensione e aspettativa nel lettore. Purtroppo tanti buoni spunti sono andati sprecati e le potenzialità che avrebbero dovuto esprimersi con lo scorrere della storia, sono rimaste latenti.
Peccato.

 LA SERIE- LA FIRELIGHT TRILOGY 

1. Firelight, 2010 (Firelight. La ribelle, Piemmefreeway 2011) 
2. Vanish, 2011 (Vanish. La traditrice, Piemmefreeway 2012) 
3. Hidden, 2012 (Hidden. La prigioniera, Piemmefreeway 2013) 
4. Breathless, novella, 2012 (solo in formato digitale, inedito in Italia) 


L’AUTRICE
È cresciuta in una piantagione di noci pecan, in Texas, dove ha coltivato fantasie riguardanti draghi, principesse e guerrieri fino a che non è diventata un’insegnante d’inglese. Quando non è impegnata a scrivere, esagera con la caffeina (preferibilmente caffè macchiato e diet cherry coke), discutendo di trame con chiunque abbia voglia di ascoltare (figli compresi) e intasando il lettore dvd di serie poliziesche. Attualmente vive a Houston con la famiglia. Sito dell’autore QUI 

Recensione "Inferno" di Dan Brown

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“I luoghi più caldi dell’inferno sono riservati a coloro che in tempi di grande crisi morale si mantengono neutrali.”
Autore: Dan Brown
Titolo: Inferno
Titolo originale: Inferno
Traduzione: Nicola Lamberti, Annamaria Raffo, Roberta Scarabelli
Casa Editrice: Mondadori
Collana: Omnibus
Pagine: 522
Prezzo:€ 25,00 (hardcover); € 9,99 (e-book)
Data pubblicazione: 14 maggio 2013
Trama: Inferno è il titolo del quarto romanzo di Dan Brown che ha per protagonista il Professore di Harvard Robert Langdon. Ancora una volta, lo scrittore statunitense proveniente dal New Hampshire, mescola sapientemente le tematiche a lui più congeniali, dando vita ad un thriller dai risvolti misteriosi in cui arte, storia, codici e simboli fanno da padroni. Il docente di Simbologia di Harvard Robert Langdon è di nuovo in Italia. Questa volta si reca nel bel Paese per svolgere delle ricerche sulla Divina Commedia di Dante. Langdon viene risucchiato in un mondo sconvolgente la cui chiave di volta sembra risiedere nel capolavoro del Sommo Poeta, un’opera dai risvolti misteriosi ed oscuri, le cui parole sono pregne di un fascino in grado di travalicare i secoli. Langdon, nel tentativo di risolvere l’enigma in grado di condurlo alla verità, dovrà vedersela con un avversario temibile. Lo scenario in cui si svolge questa nuova avventura avente per protagonista Robert Langdon è caratterizzato dallo splendore dell’arte classica. Il nostro eroe per giungere alla risoluzione del mistero passerà attraverso gli arcani nascosti nelle opere d’arte, individuerà passaggi segreti e, per non far mancare nulla, usufruirà di strumenti scientifici all’avanguardia. Dan Brown, con Inferno, consegna ai lettori un altro incredibile thriller fatto di storia ed enigmi.

RECENSIONE
Innanzitutto una precisazione: in questa recensione non farò riferimento alle imprecisioni (vero o presunte) che, secondo molti, sono presenti nel romanzo in relazione alla storia di Dante e ai dettagli del suo Inferno. Dan Brown è uno scrittore di fiction, e come tale va preso. Trovo questa crociata contro lo scrittore americano tanto stucchevole quanto inutile. Se è lecito considerare Dan Brown uno scrittore mediocre perché non riporta fedelmente tutti i dettagli storici, allora è anche lecito considerare mediocri tutti quegli autori di saggi che non inseriscono nelle loro opere suspense e azione. La narrativa non ha come priorità la divulgazione storica, bisognerebbe ricordarlo.

Detto questo passiamo a parlare di Inferno, l'attesissimo quarto romanzo che vede come protagonista l'ormai celebre Robert Langdon. All'inizio di Inferno troviamo un Langdon ferito, debole e affetto da amnesia. Pochi istanti dopo il suo risveglio in ospedale, il professore di simbologia più noto del mondo scopre di essere l'obiettivo di un killer e deve quindi scappare, cercando di ricostruire gli eventi degli ultimi due giorni, eventi di cui non ricorda assolutamente nulla.

Questo incipit in medias res (almeno per certi versi) è un ottimo espediente per aumentare la tensione narrativa e coinvolgere fin da subito il lettore, ma al contempo riserva delle insidie. Partendo dal mezzo, infatti, l'autore deve anche trovare il modo di spiegare (o meglio di far capire) al lettore quello che è successo prima, senza rallentare il ritmo o appesantire la storia. In Inferno, Dan Brown non è riuscito a gestire al meglio questo aspetto, con la conseguenza che l'evolversi della storia viene troppo spesso interrotta con parentesi necessarie ma noioseIn aggiunta di questo, poi, c'è l'enorme quantità d'informazioni che Dan Brown fornisce al lettore riguardo alla storia di Firenze, alle architetture dei palazzi e alle biografie degli artisti citati. Informazioni che aiutano il lettore a immergersi nell'ambientazione fiorentina, ma che, ancora una volta, spezzano il ritmo, allentando la tensione.

Nei precedenti romanzi, lo stile dell'autore si era distinto per semplicità, scorrevolezza e soprattutto per il ritmo incalzante (molto cinematografico), che incollava alla pagine e toglieva il respiro. In Inferno questa qualità viene meno e il lettore non prova quel bellissimo senso di apnea che trasmettono i thriller più riuscitiC'è poi da considerare l'intreccio. Sfrondando il romanzo di tutti gli orpelli descrittivi, si trova una storia intricata e interessante che, però, ha la pecca di essere dipanata in maniera un po' confusionaria, con colpi di scena e ribaltamenti spesso descritti troppo velocemente.

Inferno di Dan Brown era uno dei romanzi più attesi del 2013, ma purtroppo si è rivelato deludente. Non un brutto libro, ma probabilmente il peggiore della serie dedicata a Robert Langdon.


SERIE DI ROBERT LANGDON
Angeli e demoni  (Angels And Demons – negli USA nel 2000, in Italia nel 2004)
Il codice da Vinci  (The Da Vinci Code  negli USA nel 2003, in Italia nel 2004)
Il simbolo perduto  (The Lost Symbol  negli USA e in Italia nel 2009)
Inferno  (Inferno  negli USA e in Italia nel 2013)



L'AUTORE
Dan Brown è stato insegnante di inglese e storico dell'arte, prima di diventare uno dei più acclamati autori di thriller. Da sempre appassionato di codici segreti, è spesso ospite di trasmissioni televisive e scrive su parecchie riviste fra cui "Newsweek" e "The New Yorker". I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. In Italia ha pubblicato Il codice da Vinci (Mondadori 2003), suo quarto romanzo, Angeli e demoni (Mondadori 2004), La verità del ghiaccio (Mondadori 2005), Crypto (Mondadori 2006) e Il simbolo perduto (2009)

Recensione "Il Cassetto delle Parole Nuove" di Monica Cantieni

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«[…] aprii tutte le cassettine, svuotai scatole e non ne trovai nessuna azzeccata e alla fine ne presi solo una: COSMO. Quando uno ha TUTTO con sé, non deve preoccuparsi di avere dimenticato qualcosa.»

Il punto di vista dei bambini è sempre un po’ speciale, a maggior ragione quando a raccontare la storia è una bambina orfana, dalla vista debole ma dalla mente acuta, comprata a rate da un orfanotrofio in una Svizzera moderna dalla facciata perfetta e le fondamenta fragili.

Autore: Monica Cantieni
Titolo: Il Cassetto delle Parole Nuove
Titolo originale: Grünschnabel
Traduzione: Irene Abigail Piccinin
Editore: Longanesi
Collana: La Gaja scienza
Pagine: 248
Prezzo: € 14.90 
Data Pubblicazione: 6 Giugno 2013
Trama: Lei non è una bambina come tante e non ha avuto molta fortuna nella vita. «Comprata» da un orfanotrofio per 365 franchi svizzeri, si ritrova catapultata nella periferia di una grande città del Nord Europa, un vivace caleidoscopio di gente di paesi e culture differenti, tra cui parecchi italiani, un mondo nuovo dove non tutto le è chiaro, e non solo perché non ci vede tanto bene. La bambina infatti ha qualche difficoltà a mettere insieme le parole, legarle al loro senso e al mondo che evocano. Sarà proprio la nuova famiglia adottiva a regalarle quel calore che finora le è mancato e che le permetterà di rimettere a fuoco le cose. In particolare, saranno il papà e il nonno ad aiutarla con un piccolo stratagemma: scatoline e cassetti dove mettere tutte le parole nuove in cui si imbatte ogni giorno. Nella geniale e tenerissima interpretazione del mondo che prende vita da questa fantasiosa classificazione di vocaboli, un giorno irromperanno un avvenimento e una parola tanto inattesa quanto cruciale...

RECENSIONE
La bambina protagonista di questa storia, non è una bambina qualunque. Eppure è una fra tanti bambini cresciuti in orfanotrofio, dal passato insondabile, il futuro incerto e un presente comune che li priva quotidianamente degli anni magici della fanciullezza. Per questo la bambina non ha nome. Nome è sinonimo di identità, la figlia di nessuno ne è priva per definizione, perciò non stupisce quando una coppia sopravviene nell’istituto, come in un negozio di divani, a scegliere la bambina che fa al caso loro, pagando in comode rate e con la garanzia del periodo di prova nella formula “soddisfatti o rimborsati”.
"Orphans" 
Thomas Benjamin Kennington (1856-1916)

La bambina ha una vista debolissima, ma la Capa (dell’orfanotrofio) le suggerisce di far finta di vedere bene, così come si lucida un oggetto in vendita ammaccato, nascondendo la magagna. La speranza di una nuova vita sta per diventare realtà; la coppia ha scelto proprio lei, le aprono le porte di una casa vera con tutte le parole che contiene e che non vede l’ora d’imparare. Le difficoltà di vista e linguaggio della bambina non intaccano la viva curiosità, né l’attenzione agli eventi in cui si trova improvvisamente immersa.

Il padreè un buon insegnante, un crogiolo di parole nuove ed è lui a escogitare “il sistema delle scatole”: un catalogo fisico di termini in continuo arricchimento ordinato secondo insiemi e sottoinsiemi, tra passato, presente e futuro, in una moltitudine di scatole dalle misure più varie che finiscono col costituire la memoria e la conoscenza della bambina.


La madre, impossibilitata ad avere figli naturali, è molto diversa dal marito, pare non godere dello stesso entusiasmo di conoscere la piccola e farne una figlia. Divisa tra la depressione e la negazione, raramente ritrova l’equilibrio che – si presume – dovrebbe avere una madreadottiva, il suo ruolo nella crescita della bambina è spesso marginale, manca di quasi tutte le qualità necessarie a essere la guida e l’ala protettiva dei figli. Nel rapporto tra lei e il marito, il risentimento è palpabile: il senso di colpa per il fallimento nel concepimento si sfoga nei litigi di natura politica, ne emerge una coppia instabile e così evidentemente corrotta dal rancore che sorprende sia idonea all’adozione; ma i soldi comprano ogni cosa in una Svizzera dalla facciata tinta di nuovo.

Come sempre accade ai bambini costretti dalla vita a diventare adulti prima del tempo, la piccola sembra non assorbire l’influsso negativo della famiglia, si concentra piuttosto nel conoscere ogni abitante della casa, i vicini, gli animali, ogni contatto è una riserva di caccia alle parole nuove. C’è il nonno Tat, la sola persona a chiamare la bambina con un nomignolo affettuoso, (“Scricciola”), la sola che scambia un affetto tangibile, le insegna la vita; c’è il vicino italiano Tony, che si rivela un amico dalle molte risposte e poi c’è una bambina nascosta dentro un armadio dalle leggi puriste quanto ingiuste dello stato elvetico.

I temi sollevati da questo romanzo d’esordio sono molti, forse troppi per una prima volta, l’intento di Monica Cantiani è certamente dei migliori: intaccare la sensibilità del lettore verso la denuncia di uno Stato che– almeno dall’Italia – ci appare troppo perfetto per essere vero, un Paese che ha preferito sempre la neutralità alla presa di posizione, il denaro all’orgoglio, il pacchetto al contenuto. Il messaggio emerge, in molti passi, critico e polemico nei fitti dialoghi, che però tolgono molto a quell’approfondimento necessario al fluire della storia che così com’è appare sconnessa, frammentaria, mancante di molte parole, tutte quelle che la bambina non ha potuto ottenere.



E se il punto di vista di quest’ultima è voce narrante della storia, risulta suo malgrado povera di quella particolare inconfondibile capacità di riempire i vuoti che hanno i bambini, armati o meno di parole. Il potere immaginifico di questi è qualcosa di inattaccabile dalle difficoltà della vita, anzi, l’appello alla fantasia diviene maggiore in questi casi, proprio per l’esigenza di rendere migliore una realtà terribile; McEwan, certamente, sa cosa intendo. Accade, invece, che il continuo susseguirsi di brevi capitoli, come il botta e risposta dei dialoghi ridotti all’osso, mediati dalle riflessioni tra il pragmatico e l’illogico della piccola, creano una tale confusione di nomi, vicende, parole, da paragonare l’esperienza di lettura a un album fotografico di ricordi, flashback incoerenti di una memoria a noi ignota.

Che questo romanzo possa diventare per qualcuno il libro della vita – come recita la fascetta – non è opinabile; è certo però che il suo successo vale in proporzione al contesto in cui lo si legge, nella Svizzera perbenista potrà forse scuotere le coscienze, in Italia, però, ci sono storie ben più forti e ben scritte capaci di denunciare una realtà senza veli, anche se questa fosse narrata dalla piccola voce di una bambina senza nome.

L'AUTRICE
Monica Cantieni, nata nel 1965 a Thalwil, nei pressi di Zurigo, lavora per la Radiotelevisione svizzera. Vive tra Wettingen e Vienna. Il cassetto delle parole nuoveè stato finalista allo Swiss Book Award 2011. Sito Autrice

Recensione "Il Rapitore" di James Patterson

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Autore: James Patterson (e Michael Ledwidge)
Titolo: Il Rapitore
Titolo originale: Worst Case
Traduzione: Annamaria Raffo
Casa Editrice: Longanesi
Collana: La Gaja Scienza
Pagine: 279
Prezzo: € 14,90 (hardcover); € 9,99 (e-book)
Data pubblicazione: 23 maggio 2013
Trama: Il caso è sotto gli occhi dei media e delle autorità cittadine, in gergo si dice "un caso ad alta visibilità". Sono stati rapiti in rapida successione tre ragazzi, tre rampolli di famiglie molto ricche di New York, che frequentavano scuole prestigiose e avevano una vita serena e normale. Finché qualcuno non l'ha interrotta brutalmente. I primi due infatti sono stati già restituiti alle famiglie dal misterioso e spietato rapitore. Morti. Nessuna richiesta di riscatto è mai stata inviata ai parenti: l'assassino ha scritto solo messaggi confusi, inneggianti a una fumosa giustizia sociale, ma nessuno riesce a capire il suo piano. Un caso molto difficile, che richiede tutta l'abilità del detective Michael Bennett, e che mette a dura prova il suo cuore di padre vedovo: le vittime, tutte giovanissime, gli ricordano la sua numerosa famiglia composta da dieci amatissimi figli adottivi. Ma quando da Washington interviene anche l'FBI, nella persona dell'affascinante agente Emily Parker, a complicarsi non sono solo le indagini, ma anche la vita sentimentale di Bennett...

RECENSIONE
James Patterson, probabilmente l'autore più prolifico in attività (ma forse anche di sempre) è tornato in libreria con il terzo capitolo della serie dedicata a Michael Bennet, poliziotto del Dipartimento di Polizia di New York nonché padre di ben dieci figli.
Per chi non lo conoscesse, Bennet è uno dei protagonisti più simpatici inventati da Patterson. Non un super eroe senza mantello che sconfigge i "cattivi" a suon di schiaffi, ma un uomo comune che cerca di far convivere il lavoro con la sua pittoresca famiglia.

Lo abbiamo conosciuto ne Il Negoziatore, e poi ancora ne Il Maestro, e lo ritroviamo ora alle prese con un rapitore idealista che ha creato un modo molto stravagante di salvare il mondo. Ogni romanzo è autoconclusivo e può essere letto singolarmente, anche se, trattandosi di una serie, è sempre consigliato leggere tutta la cronologia, per prendere confidenza con i personaggi e per avere un quadro d'insieme più completo.

Il Rapitoreè un romanzo che segue l'ormai consolidato metodo di scrittura di Patterson: storia breve (quasi sempre meno di trecento pagine), capitoli brevissimi (spesso solo una pagina), e un ritmo narrativo incalzante, aiutato dai frequenti cambi di punto di vista (gestiti sempre in maniera impeccabile). Poco spazio per i sentimenti, tanto per l'azione (ma senza strafare). Una formula eccezionale per ottenere romanzi di svago, da leggere anche in pochissime ore.

A dispetto dei precedenti e della formula, tuttavia, Il Rapitore ha la pecca di non avere un “villain” carismatico. Il nemico che Bennet deve affrontare è troppo stereotipato, tratteggiato in maniera frettolosa, e non ha lo spessore necessario per rimanere impresso nella memoria del lettore. Viste le poche pagine a disposizione, i personaggi di Patterson non sono mai caratterizzati troppo in profondità, ma l'autore ha il pregio di ottimizzare al meglio i tempi per presentare degnamente tutti i personaggi. In questo ultimo libro, tale precisione viene a mancare, e la storia ne risente.

Nonostante questo difetto, è bene sottolineare che Il Rapitoreè un ottimo thriller, divertente e avvincente. Insomma… perfetto per le vacanze ormai prossime.


SERIE DI MICHAEL BENNET
Il negoziatore (con Michael Ledwidge) (Step on a Crack, 2007) (Longanesi, 2011)
Il Maestro (con Michael Ledwidge) (Run for Your Life, 2009) (Longanesi, 2012)
Il rapitore (con Michael Ledwidge) (Worst Case, 2010) (Longanesi, 2013)


L'AUTORE
Nato nel 1947 negli Stati Uniti, James Patterson è oggi l'autore di thriller più venduto al mondo. Ha iniziato lavorando come pubblicitario ma dopo il successo ottenuto con Ricorda Maggie Rose (Along came a spider), si è ritirato dedicandosi a tempo pieno alla scrittura. Il titolo più letto in Inghilterra è stato Bikini (Swimsuit, letteralmente costume da bagno). La sua fama è dovuta principalmente al personaggio del detective Alex Cross, protagonista di un ciclo di romanzi che è di fatto il più nutrito in quanto a numero di volumi pubblicati. Segue il ciclo Le donne del club omicidi e Maximum Ride. Attualmente vive con la famiglia a Palm Beach County, in Florida.

Home Video "Django Unchained" recensione

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Titolo originale: Django Unchained
Paese di produzione: USA
Anno: 2012
Durata: 165 min
Genere: azione, western, drammatico
Regia: Quentin Tarantino
Soggetto: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Cast: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Don Johnson, Dennis Christopher, Laura Cayouette
Uscita Blu-ray Sony Entertainament: 15 maggio 2013
Trama: Ambientato nel sud degli Stati Uniti due anni prima dello scoppio della Guerra Civile, Django Unchained narra le rocambolesche imprese di Django, uno schiavo (Foxx) segnato da un passato brutale e da un rapporto violento con il dispotico proprietario terriero (DiCaprio) da cui è sfruttato e oppresso. Ma quando Django incontra un cacciatore di taglie tedesco (Waltz), riesce a riscattare il proprio passato guadagnando la libertà e intraprendendo un viaggio ad alta tensione, costellato da vendette personali ed eccitanti colpi di scena sulla tracce della moglie (Wahington), schiava di un tirannico latifondista. Mosso da una vorace fame di vendetta, Django spinge tutti i fan del grande regista americano in fughe mozzafiato e spedizioni avvincenti per 120 minuti di pura adrenalina.

RECENSIONE
Lo scorso gennaio gli spettatori italiani sono stati testimoni di un evento cinematograficamente storico: l'uscita di Django Unchained. Un film scritto e diretto da Quentin Tarantino che, grazie alla geniale mente del creatore e alla straordinaria bravura degli interpreti, è riuscito a conquistare le platee di tutto il mondo.

Una pellicola magistrale che esalta le qualità artistiche di Tarantino e oltrepassa tutti i confini di genere. Un film da guardare e riguardare per notare la maniacale cura dei particolari, dalla fotografia alla scenografia, passando attraverso i costumi, le interpretazioni degli attori e la curatissima colonna sonora. In Django Unchained niente è lasciato al caso, e ora, a quattro mesi di distanza, sarà possibile studiarlo con attenzione, minuto dopo minuto.

A partire dal 15 maggio, infatti, Sony Pictures Home Entertainment ha distribuito la versione home video nel doppio formato, DVD e Blu-Ray. Lo scatenato Django cavalca fino al piccolo schermo grazie a un prodotto che rispetta l'altissima qualità video e audio voluta da Tarantino.

Grazie alla concessione della Sony, abbiamo avuto il piacere di vedere la versione DVD, caratterizzata da una risoluzione video fluida e dettagliata, fedele alla versione cinematografica della pellicola. L'audio, disponibile in Dolby Digital 5.1 per la lingua inglese e italiana, garantisce un'esperienza totale, che trasporta lo spettatore tra le pallottole delle sparatorie e le urla dei feriti.

Poco spazio per i contenuti speciali (13 minuti nel DVD e 39 nel Blu-Ray), dedicati in gran parte all'omaggio del compianto J. Michael Riva, scenografo di lunghissima carriera deceduto improvvisamente durante la produzione del film.

Un prodotto essenziale, che magari farà storcere il naso ai collezionisti, ma che soddisferà tutti gli appassionati di cinema e di Tarantino. Da avere.

Contenuti speciali del DVD:

• In ricordo di J. Michael Riva - La scenografia di Django Unchained
• 20 anni di cinema: la collezione Blu-rayTM Tarantino XX
• La colonna sonora

Contenuti speciali del Blu-ray™:

• Cavalli e gli stunt
• I costumi di Sharen Davis
• In ricordo di J. Michael Riva - La scenografia di Django Unchained
• 20 anni di cinema: la collezione Blu-rayTM Tarantino XX
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