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Blogger in cerca di (micro) fama

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In quest’epoca in cui la più insignificante delle adolescenti esibisce il suo blog, forse non c’è nulla di più desiderabile di questo: un segreto.
Amélie Nothomb

Dopo parecchio tempo torno a scrivere sul blogging, con un articolo che sarà sicuramente impopolare. Animata da spirito autolesionista, mi accingo a redigerlo ugualmente. Come ho già avuto modo di scrivere lo scorso anno, potremmo concepire il rapporto tra blogger ed editori come la “relazione complicata” di Facebook. Le collaborazioni con gli uffici stampa, soprattutto per quanto concerne le piccole realtà, si intrecciano e sfaldano alla velocità di qualche bit: non sono state consolidate da una fisicità acquisita (incontri vis-à-vis) e, nella maggior parte dei casi, nemmeno dalla stima reciproca; si potrebbe parlare piuttosto di mero utilitarismo da entrambe le parti. Per gli uffici stampa i blog sono un medium per la promozione online, uno strumento da utilizzare (sfruttare?) per avere, con la minima spesa, il massimo ricavo. Allo stesso modo per Alice, blogger de Il bosco dei libri, il contatto con Marta della Nymeria Edizioni è la strada più efficace per ricevere copie omaggio e popolarità tramite giveaway. Inoltre è prassi consolidata fregiarsi delle innumerevoli collaborazioni – più o meno veritiere, più o meno costanti – con le case editrici maggiori.


Il primo passo è creare un blog su una piattaforma gratuita, il secondo è scrivere e-mail agli uffici stampa di qualunque casa editrice distribuita nelle librerie, chiedendo contatti anche ai colleghi, trascurando realtà più meritevoli e particolari. È quasi un dovere assicurarsi di essere notati subito dalla platea di addetti stampa, quasi non si fosse un vero blogger altrimenti. E ciò deriva da un desiderio di emulazione del proprio blogger di riferimento, da un’ingenuità derivante dall’età, e in ultima istanza dall’orgoglio e dal piacere di vedersi arrivare a casa innumerevoli pacchetti, che – se non avessero quel brutto color senape – potrebbero assomigliare ai regali di Babbo Natale. Vi immaginate un eterno Natale? Il desiderio di ogni bambino troppo cresciuto, conservato gelosamente all’interno di una cassa toracica resistente e adulta.

Quando si è soli, quando non si è un soggetto professionale, quando si è squisitamente amatoriali, giunge inaspettato quel momento nel quale si vuole essere riconosciuti. E, di solito, il riconoscimento è qualcosa del quale si preferisce essere investiti dall’alto (da cui deriva, appunto, il prestigio), come riconoscimento per qualità – o velleità – di qualche sorta. Il lettore non basta, perché il lettore è impossibilitato a fregiare il blogger di un attestato di qualità (o preferenza) riconosciuto nell’ambito della filiera. La considerazione di un soggetto più importante gratifica intimamente, e dona un senso di importanza che non sempre, nella vita reale, possiamo permetterci.

L’unico soggetto che può, idealmente, ricoprire di un manto di luce dorata un blogger è proprio l’editore, quel soggetto prismatico composto da una miriade di persone che adempiono a funzioni differenti per la realizzazione dell’oggetto libro. Sussiste un problema: l’investitura dall’alto è solo una fantasia, una fantasia che consola, certo, ma pur sempre costituita dalla stessa sostanza di cui sono fatti i sogni; in realtà collaborare con questa o quella casa editrice non aumenta la qualità intrinseca del blog (né la stima di chicchessia), e potrebbe risultare significativo solamente a uno sguardo disattento. Nondimeno è interessante proprio in virtù del suo significato implicito.

Perché bisogna essere riconosciuti da un’autorità situata qualche gradino più in alto? Perché anche i blogger sono persone, e le persone notoriamente hanno vanità, ambizione, aspirazioni che esulano dal blogging fine a sé stesso. Qualcuno si accontenta di una popolarità effimera derivante dai social network. I like, le condivisioni, i commenti adoranti sono la linfa vitale del narcisismo, l’humus fertile nel quale cullare il proprio ego. Si ha una qualche sorta di protezione, qualcosa che attesti il nostro successo in termini di numeri e persone: follower. Ciò che si dimentica, consapevolmente o meno, come lenitivo è che la rete rappresenta solo un segmento del mondo, la popolarità amplificata da poche centinaia di utenti che, nella realtà, rappresentano una percentuale ininfluente.

Se la collaborazione con un editore non influisce sul prestigio di un blogger agli occhi di un addetto ai lavori, o un “simpatizzante”/“appassionato”, è pur vero che essere un blogger letterario comporta alcuni vantaggi non indifferenti. Quello più significativo è la possibilità di infiltrarsi per osmosi nell’editoria italiana, ricoprendo i ruoli più diversi: ufficio stampa, marketing, scrittore, etc. Indubbiamente il blogger condurrà un percorso “privilegiato” rispetto a persone del tutto estranee al sistema che desiderano lavorare nel campo, e questa prassi continuerà a radicalizzarsi sempre di più con il consolidamento dell’attività di blogging letterario online, e con l’aumentare dell’autorevolezza delle opinioni di operatori culturali nativi digitali, a discapito del vecchio giornalismo culturale. Ci si chiede se una simile prospettiva sia davvero auspicabile. E la domanda non è retorica.

Diventare un blogger, infatti, non richiede alcun attestato, alcuna competenza verificata da un percorso di studi, nessuna capacità particolare. È la democrazia del web, applicata all’ambito letterario, nel quale ognuno, ora, può esprimere la propria opinione liberamente, al pari di qualsiasi altro. L’autorevolezza di cui parlavo prima, però, non viene verificata da criteri quantomeno oggettivi e validi per tutti, ma dall’apprezzamento del pubblico, che non coincide sempre con la qualità, a seconda del tipo di target a cui si fa riferimento. Non c’è nessuna scrematura dettata dal merito, ma piuttosto dalla popolarità. L’immagine che prevale sulla parola, in una visione (pessimista) nella quale il blogger diviene “personaggio”, condividendo il percorso d’evoluzione della figura dell’intellettuale e dello scrittore contemporaneo.

Anche la sottoscritta è stata una blogger giovane e inesperta, incantata da qualsiasi piccola novità o cambiamento nella mia attività, entusiasta per iniziative frivole e inconsistenti. Lo sono ancora, per certi versi. Ricordo ancora con nitidezza l’eccitazione per la prima intervista a un’autrice straniera, la prima collaborazione, il primo pacchetto dalla Random House proveniente dall’Inghilterra… Tantissime emozioni, soddisfazioni e successi hanno costellato la mia esperienza con Diario, intrecciate – com’è normale che sia – a delusioni, amarezza e sconforto. La meraviglia, però, non dovrebbe mai abbandonare lo sguardo di chi svolge questa attività con passione e dedizione, talvolta anche con abnegazione e pazienza.

Ciò che temo, come deriva quasi inevitabile dell’atteggiamento ampiamente diffuso nell’oggi, è una prassi consolidata dall’abitudine (cattiva). Quando l’esperienza difetta accade che si diventi subordinati ai desideri dell’editori, con la conseguente perdita di indipendenza, che è il fondamento imprescindibile del blogging, sulla quale si basa anche buona parte della fiducia che i lettori ripongono in noi. Nel 2013, dopo molti anni di books-blogging a livello amatoriale (soprattutto nelle piattaforme di Wordpress e Blogger), non credo si possa ancora giocare la carta dell’ignoranza. C’è bisogno, soprattutto, di responsabilità, di esempi e creatività. Il che significa nuovi progetti e nuove voci che abbiano qualcosa da dire, e lo sappiano fare diversamente dagli altri blogger.

A dispetto di quello che potreste pensare, adoro il blogging, le possibilità che offre, e non dimentico le mie origini. Primariamente rimarrò sempre una blogger, qualunque altra attività nell’ambito editoriale scelga di intraprendere. È solo grazie a questo spazio virtuale – sebbene possa sembrare misero – che ho imparato e conquistato tanto nel breve periodo di quattro anni. Mi piace, però, pensare che si possa fare ancora di più per cancellare, almeno in parte, il pregiudizio riguardante questa categoria, e il processo passa per una rinnovata consapevolezza e voglia di cambiamento, di una ricerca identitaria che sia unica per ogni blogger che svolge questa attività, di una emancipazione definitiva dall’ingerenza delle case editrici, che non devono essere blandite per rispondere ai nostri interessi, non ce n’è bisogno. Ancora non è così.

Recensione: "Victorian Solstice Serie" di Federica Soprani e Vittoria Corella

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Cari lettori,
gli amanti della Londra vittoriana e del mistero non devono farsi scappare la serie Victorian Solstice, pubblicata per la Lite Editions da due autrici italiane: Federica Soprani e Vittoria Corella. I primi due racconti, La società degli spiriti e La lega dei gentiluomini rossi, sono stati una delle sorprese più piacevoli di questo periodo. Queste due autrici sono riuscite a comprimere l’anima di un romanzo corposo in poche pagine, ricchissime e da leggere tutto d’un fiato.

Titolo: La società degli spiriti
Autore: Federica Soprani e Vittoria Corella
Serie: Victorian Solstice
Prezzo: 1,99 €
Pagine: 84
Editore: Lite Editions
Formato: e-book
Data pubblicazione: 7 Giugno 2013
Trama: Il primo episodio della serie Victorian Solstice di Federica Soprani e Vittoria Colella.Jericho è un Medium dei bei salotti. Jonas un investigatore che non crede nel paranormale. Quando Lord Kynaston viene trovato fatto a brandelli nel suo studio chiuso dall'interno, il Medium che parla con i morti e il poliziotto più scettico di Scotland Yard sono costretti a lavorare insieme loro malgrado. Dai bordelli per ricchi annoiati fino alla casa del vizio più pericolosa del West End, una detective story vittoriana oscura e sensuale.


Titolo: La lega dei gentiluomini rossi
Autore: Federica Soprani e Vittoria Corella
Serie: Victorian Solstice
Prezzo: 1,99 €
Pagine: 102
Editore: Lite Editions
Formato: e-book
Data pubblicazione: 10 Giugno 2013
Trama: Il secondo episodio della serie Victorian Solstice.Scompaiono, uno dietro l’altro. Tutti giovani, bellissimi e con una caratteristica in comune. Se c’è una cosa che Jonas detesta sono i casi irrisolti. Se c’è una cosa che Jericho ama è aiutare Jonas a risolvere questi casi, e il viaggio da incubo parte dai quartieri bassi per salire su, fino a sfiorare la Corona D’Inghilterra.Ci sono cose che nessuno deve sapere e gente che va fatta tacere con le buone o con le cattive.

RECENSIONE
Le sorprese più grandi si nascondono in luoghi impensabili. E sono stati veramente una piacevole rivelazione i primi due capitoli della serie Victorian Solstice, frutto della penna di Federica Soprani e Vittoria Corella e pubblicata con la Lite Editions. Una vera gioia per mente e fantasia: La società degli spiriti e La lega dei gentiluomini rossi si sono rivelati letture ammalianti, avvincenti ed intriganti, grazie anche al filo erotico, gestito abilmente, che riesce ad essere uno dei cardini delle vicende senza però risultare mai eccessivo, inopportuno o fuori luogo.

È piacevole scoprire come, in due racconti da meno di 100 pagine, sia contenuto un mondo vasto e ricco di sfumature, dalle ambientazioni amabilmente vittoriane e popolato da antesignani dandy ricchi di fascino e rudi bobby.

È un’improbabile coppia di investigatori a recitare la parte da protagonista, con la quale vivremo investigazioni e delitti irrisolti, anche se la suspanse si muove sul terreno nebuloso dell’esoterismo e dell’ignoto, di una forma di astuzia ben diversa dall’ordinario, quasi un gioco di prestigio eseguito al meglio. Perché non è l’investigazione in sé il cuore di questa serie, ma lo sono i suoi personaggi e il modo in cui interagiscono, svelando i loro segreti. Si conoscono e creano rapporti, effimeri o duraturi, che hanno il profondo potenziale di poter sconvolgere le loro esistenze, in positivo o in negativo, in entrambi i sensi eppure in nessuno. La solida concretezza di Jonas affiancata all’inafferrabile ambiguità di Jericho. Le anime più nere che si nascondono dietro maschere di bellezza e ricchezza. La verità da celare con fermezza contro il potere, che la tiene invece nell’ombra.

Sia La società degli spiriti che La lega dei gentiluomini rossi rendono il lettore veramente partecipe delle vicende, inducendolo quasi a credere che la Londra in cui le vicende sono ambientate sia una tangibile realtà, a solo un solo passo di distanza, ma allo stesso tempo lontana e indistinta, onirica e un po’ folle. Le ambientazioni sono quindi ben rese ed i personaggi risultano sempre ben contestualizzati e caratterizzati, assolutamente adeguati al contesto e al ruolo che rivestono. Come già detto prima, anche la componente erotica è ben dosata e contestualizzata, tanto da intrecciarsi alla perfezione alle vicende, donando quel tocco di eros che risulta semplicemente appagante. Anche la sfera omosessuale è gestita con un giusto mix di forza e delicatezza, un contrasto che risulta incisivo e vincente.

Una serie consigliata quindi, che sicuramente potrà regalare una godibile fuga dall’ordinario e che saprà appassionare i lettori: non solo gli amanti delle atmosfere vittoriane, ma forse anche quelli più scettici.


LE AUTRICI 
Federica Soprani vive a Parma, sfortunatamente per lei, in questo secolo. Scrivere le è necessario quanto respirare. E da parte di un’asmatica questa affermazione si ammanta di un pathos quasi insostenibile… Tale necessità non sempre riesce a coniugarsi col suo lavoro presso uno studio grafico e con la gestione più o meno rocambolesca di una famiglia che ha più zampe che arti. Ma oltre che vivere occorre sopravvivere. Potete scriverle qui: jericho@victoriansolstice.it


Vittoria Corella (ovviamente un nome d’arte) vive a Riccione, lavora nel turismo e ha una gatta a tre zampe. Potete scriverle insulti o complimenti (meglio i complimenti) qui: jonas@victoriansolstice.it

Recensione "Le notti di Villjamur" di Mark Charan Newton

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Autore: Mark Charan Newton
Titolo: Le notti di Villjamur
Titolo Originale: Nights of Villjamur
Traduzione: Stefania Minacapelli
Casa Editrice: Gargoyle Books
Collana: Extra
Pagine: 515
Prezzo:€ 19,50
Data pubblicazione: 6 giugno 2012
Trama: Rischiarata dalla fioca luce di un rosso sole morente, si erge fiera l'antica città di Villjamur, capitale di un impero ormai inerme di fronte alla minaccia di un'incombente era glaciale. Mentre migliaia di persone cercano rifugio alle porte della città, tra le mura si discute animatamente del loro imminente destino. Ecco però che accade una tragedia e la figlia dell'Imperatore, Jamur Rika, deve salire al trono per governare la crisi. Ma i membri della sua corte non sono innocui come sembrano. Nel frattempo, il macabro omicidio di un consigliere attira l'attenzione dell'Inquisitore Rumex Jeryd, un "rumelide", una sorta di non-umano che può vivere per centinaia di anni e abita nella stessa città con umani, "garuda" simili a uccelli e inquietanti "banshee", i cui pianti sconsolati preannunciano la morte. Le indagini condurranno Jeryd a una rete di corruzione e a una turpe cospirazione che metterà in pericolo il futuro di Villjamur. Nel lontano Nord, intanto, dove il lungo inverno è già iniziato, fa la sua comparsa un pericolo anche più grande. Un'insidia che giunge da un altro mondo, contro cui qualunque potere, militare o magico, potrebbe rivelarsi inutile.

RECENSIONE
La Gargoyle Books continua a puntare sul fantasy d'importazione e a partire dal 6 giugno scorso ha distribuito in tutte le librerie italiane Le notti di Villjamur, primo capitolo de Le leggende del sole rosso, tetralogia firmata da Mark Charan Newton.

Il romanzo è rivolto a un pubblico adulto ed è caratterizzato da un'ambientazione del tutto originale, che ammicca al fantasy classico, ma rinuncia a tutti gli stilemi del genere. Niente elfi, nani e gnomi, niente società tipicamente medievaleggiante, nessun riferimento al consueto tema del viaggio. L'autore inglese inventa il suo mondo mescolando elementi di fantasy e di fantascienza, e crea un'ambientazione completa che non riguarda solo la geografia del mondo, ma anche le razze fantastiche presenti, il pantheon divino e l'uso della magia (basato su particolari oggetti, detti "reliquie", testimonianze di una tecnologia ormai dimenticata). Uno sforzo immaginifico che colpisce anche la costruzione dell'intreccio, dove sotto-trame più canoniche (come quelle degli intrighi di palazzo) vengono intessute con sub-plot mistery o addirittura polizieschi.

L'enorme mole di lavoro creativo non è però sostenuta da una stile sufficientemente solido. L'impatto che il lettore ha con il mondo de Le notti di Villjamurè spiazzante, quasi traumatico. L'autore ha l'accortezza di evitare gli infodump, ma allo stesso tempo commette l'errore di presentare tutti i protagonisti nell'arco di cinquanta pagine, creando una grossa confusione di nomi e ruoliIl lettore si trova in un mondo nuovo, incontra in rapida successione una serie di personaggi enigmatici, e viene sballottato tra una sotto-trama e l'altra. Difficile mantenere il senso dell'orientamento. Stringendo i denti e resistendo all'impulso dell'abbandono, tuttavia, il lettore riesce a prendere confidenza con la storia e viene guidato dall'autore in una narrazione molto intrigante. Tralasciando la gestione dell'incipit, infatti, lo stile di Mark Charan Newton è preciso e scorrevole, adatto alla storia e al pubblico a cui si rivolge.

Le notti di Villjamur è un buon esordio letterario, che fa ben sperare sia per il continuo della saga che per la carriera dell'autore inglese.

Piccola nota di chiusura dedicata all'edizione italiana. Innanzitutto (come sempre quando accade) voglio sottolineare la mancanza di riferimenti alla saga Le leggende del sole rosso: il libro è il primo capitolo di una tetralogia e sarebbe stato corretto specificarlo sulla copertina o nella quarta, visto soprattutto che il romanzo non ha una sua conclusione. In secondo luogo, è doveroso sottolineare una traduzione zoppicante e un successivo editing poco accurato. Speriamo che per i prossimi volumi della saga venga fatta più attenzione. 

LA SERIE
1. Le notti di Villjamur, 2013 (Nights of Villjamur, 2009)
2. City of Ruin, 2010
3. The Book of Transformations, 2011
4. The Broken Isles, 2012

L'AUTORE
Mark Charan Newton è nato nel 1981 da padre inglese e madre indiana. Dopo la laurea in Scienze Ambientali, a ventitré anni entra a far parte del mondo editoriale, lavorando come editor di fantasy e fantascienza per il mercato inglese e americano. Le notti di Villjamur, scritto nel 2009 e pubblicato in Gran Bretagna nel 2012 da Pan Macmillan (Tor UK), è il primo volume della saga Le leggende del sole rosso. Ora Newton è impegnato nella stesura di una nuova serie fantasy, Drakenfeld, dove l'investigatore Lucan Drakenfeld, all'interno di un mondo fantastico, cerca di fare luce sui più svariati misteri.

Pianissimo. Libri sulla strada

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Cari lettori,
ormai siamo in piena estate, molte delle presentazioni e manifestazioni librarie si sono spostate dalle afose città ai lidi assolati lungo le nostre bellissime coste. Per chi vivesse in Sicilia  o ha la fortuna di farci una capatina in vacanza – consigliamo di tenere d’occhio le strade per individuare un fiat furgone 900, perché sarà pieno di libri. No, non stiamo scherzando! Ha infatti preso avvio l’iniziativa Pianissimo: una libreria itinerante che dal 9 agosto al 2 settembre si è messa in viaggio per portare il più lontano possibile il piacere della lettura, del dialogo e dello scambio.

Viaggio che inizia dalla Sicilia e andrà visitando città e cittadine come Catania, Gela, Paternò e Nicosia. Pianissimo vuole promuovere la lettura attraverso autori, reading pubblici e soprattutto libri, tanti libri offerti da molte e diverse case editrici, ma facendolo in modo nuovo: sono loro a portare i libri alle persone, cercando di coinvolgerle in un'esperienza anche di condivisione umana. Dal sito ufficiale dell'iniziativa, inoltre, possiamo notare che gli editori scelti appartengono alla piccola e media editoria indipendente. Una scelta di qualità, insomma, per incentivare anche editori sconosciuti al grande pubblico. 

Pianissimoè un’iniziativa ideata da Filippo Nicosia con la collaborazione di Serena Casini, Mauro Maraschi e Maura Romeo, un'avventura on the road che vuole mettersi in comunicazione con la gente e i lettori per vivere e raccontare le storie del nostro paese e del suo rapporto con i libri e la lettura.

Questo l’input principale di Pianissimo: conoscere e capire realtà che per molti sono solo numeri. La Sicilia, dopo la Basilicata, detiene il record negativo di lettori. Realtà dove non tutti i comuni hanno una libreria o anche una piccola biblioteca sono lo specchio di un'Italia che non promuove e non diffonde la cultura in maniera capillare. Pianissimo nasce dal desiderio di contribuire a combattere il declino che vede i libri relegati ad un bene marginale. Una sfida vera e propria quella di portare i libri dove non hanno una casa, dove le librerie non esistono e le biblioteche stentano a sopravvivere, per invadere le piazze, inventare nuovi modi per parlare di libri e soprattutto di divertirsi.

Un’iniziativa che noi di Diario apprezziamo molto e che speriamo coinvolga anche voi lettori siciliani e non solo. Se volte maggiori informazioni sugli incontri o semplici curiosità vi consigliamo di dare un'occhiata al blog che rappresenta il vero diretto diario di bordo di quest'avventura!

Buona estate librosa a tutti!


Recensione "Wonder" di R.J. Palacio

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“Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile.”

Cari lettori,
vi parlo oggi di un eccezionale libro di debutto per R.J. Palacio (pseudonimo di Raquel Jaramillo), un caso letterario nel 2012 sia in USA che in UK. Un libro che ha vinto numerosissimi premi, fra cui la prestigiosa Carnegie Medal e il Premio Bonnet Blue Texas (il che significa che ogni studente della scuola media nello stato del Texas lo ha letto o lo sta leggendo). Un libro per ragazzi che in molti paesi vedrà anche un'edizione per adulti (in cui cambierà solo la copertina), perché Wonderè un libro che tutti dovrebbero leggere.

Autore: R.J. Palacio
Titolo: Wonder
Traduzione di Alessandra Orcese
Casa Editrice: Giunti
Pagine: 288
Prezzo: € 9,90 brossura; € 5,99 e-book
Data pubblicazione: 15 maggio 2013
Trama: ''Wonder'' è la storia di Auggie, nato con una tremenda deformazione facciale, che, dopo anni passati protetto dalla sua famiglia, per la prima volta affronta il mondo della scuola. Come sarà accettato dai compagni? Dagli insegnanti? Chi si siederà di fianco a lui nella mensa? Chi lo guarderà dritto negli occhi? E chi lo scruterà di nascosto facendo battute? Chi farà di tutto per non essere seduto vicino a lui? Chi sarà suo amico? Un protagonista sfortunato ma tenace, una famiglia meravigliosa, degli amici veri aiuteranno Augustus durante l'anno scolastico che finirà in modo trionfante per lui. Il bellissimo racconto di un bambino che trova il suo ruolo nel mondo. Il libro è diviso in otto parti, ciascuna raccontata da un personaggio e introdotta da una canzone (o da una citazione) che gli fa da sfondo e da colonna sonora, creando una polifonia di suoni, sentimenti ed emozioni.
Entra anche tu nel Club della Gentilezza! Scopri tutti i contenuti extra sul sito: wonder.giunti.it


RECENSIONE
Questo è un romanzo che parla di coraggio. Tutti abbiamo bisogno di coraggio per affrontare il mondo ogni mattina, ma per August Pullman, Auggie, non basta un coraggio normale, ci vuole un coraggio straordinario. Perché Auggie è un ragazzo normale in tutto e per tutto, ma è affetto dalla sindrome di Treacher-Collins, che rende la sua faccia straordinaria, diversa da tutte le altre facce; è, a dirla brutalmente, deforme.
Mi chiamo August, per inciso. Non mi dilungo a esprimere il mio aspetto. Tanto, qualunque cosa stiate pensando, probabilmente è molto peggio.
E non è solo Auggie che deve essere coraggioso, ma tutti coloro che gli stanno intorno, che devono convivere con la realtà del suo viso e con le reazioni che scatena fra gli sconosciuti. August non è mai andato a scuola, ma sua madre, che gli ha dato un'istruzione fino a quel momento, decide di fargli frequentare una normale scuola media come tutti i suoi coetanei. Il libro racconta l'esperienza di questo anno scolastico coraggioso ed eccezionale per August e per alcuni dei suoi compagni di scuola.
So di non essere un normale ragazzino di dieci anni. Sì, insomma, faccio cose normali, naturalmente. Mangio il gelato. Vado in bicicletta. Gioco a palla. Ho l'X-Box. E cose come queste fanno di me una persona normale. Suppongo. E io mi sento normale. Voglio dire dentro. Ma so anche che gli altri ragazzini normali non fanno scappare via gli altri ragazzini normali fra urla e strepiti ai giardini. E so che la gente non li fissa a bocca aperta ovunque vadano. Se trovassi una lampada magica e potessi esprimere un desiderio, vorrei una faccia così normale da passare inosservato. Vorrei camminare per strada senza che la gente, subito dopo avermi visto, si volti dall'altra parte. E sono arrivato a questa conclusione: l'unica ragione per cui non sono normale è perché nessuno mi considera normale.
Dopo che ho iniziato a leggere il libro, ho aspettato qualche giorno prima di cercare su Google le immagini di persone affette dalla sindrome di Treacher-Collins, non so per quale motivo. Forse io non sono stata abbastanza coraggiosa, forse mi sono comportata peggio delle persone che fissano Auggie o di quelle che distolgono lo sguardo. In realtà, nel guardare quelle immagini, non è facile prevedere come ci si comporterebbe in loro presenza, se le incontrassimo per strada. Loro sono ormai abituate a ogni tipo di reazione, ma ciò non toglie che sia molto facile ferirle sia se le fissiamo troppo apertamente – ed è difficile, in quel caso non far trapelare le sensazioni che potremmo provare nel vederle – sia se distogliamo lo sguardo cercando di fare gli indifferenti. Non è davvero facile capire come reagiremo alla loro vista, specialmente se si tratta della prima volta. Del resto la stessa R.J. Palacio ha scritto questo libro proprio a causa della sua reazione nel vedere una ragazzina affetta da questa sindrome.
"Un giorno ero seduta su una panchina con i miei due figli e ho visto passare una bambina che aveva evidentemente la sindrome di Treacher-Collins, una rara malattia ereditaria che colpisce le fattezze di una persona lasciando inalterato tutto il resto. Ciò che mi ha colpito non è stata la ragazzina, ma la mia reazione: sono stata presa dal panico, temevo che mio figlio di tre anni vedendola avrebbe reagito urlando, come aveva fatto alla festa di Halloween. Mi sono alzata di scatto, come punta da una vespa, ho chiamato l'altro figlio e mi sono allontanata di corsa. Alle mie spalle ho sentito la madre della ragazzina che, con voce molto calma, diceva: 'Forse è ora di tornare a casa'. Mi sono sentita un verme e non sono riuscita a dimenticare questa esperienza." Da un'intervista con The Telegraph.
Eppure nella sua enorme sfortuna August è fortunato, perché ha intorno una famiglia e degli amici che affrontano ogni nuovo giorno assieme a lui, rendendolo una persona meravigliosa dentro, una persona speciale e coraggiosa, che riesce a fronteggiare la sua vita di ragazzino con una forza e una maturità eccezionali. Persone altrettanto coraggiose ed equilibrate, che hanno saputo trasformare la sindrome di August in un punto di forza e di coesione che le ha rese a loro volta persone straordinarie.

Il romanzo è raccontato in prima persona da August, ma a lui si alternano nella narrazione i punti di vista di altri personaggi del romanzo; ciascuno utilizza il suo stile personale. In particolare mi ha commosso il punto di vista di Via, Olivia, la sorella maggiore di August, la cui vita è stata afflitta dall'aspetto di Auggie quasi nello stesso modo in cui lo è stata quella del ragazzino. Via è un'adolescente, con tutti i problemi comuni alla sua età, ma qualunque suo problema è messo in secondo piano da quelli, ben più gravi, di Auggie. Anche lei è dunque coraggiosissima e altruista quando affronta da sola il mondo, senza richiedere aiuto ai genitori già fin troppo impegnati e preoccupati. Genitori comunque eccezionali per aver educato una figlia in maniera così equilibrata e sempre consapevoli delle sue esigenze. Una famiglia eccezionale, insomma.
continuano a tornarmi in mente le parole di miranda: l'universo non è stato gentile con auggie pullman.
ci sto pensando parecchio, e a tutto quello che questo può significare.ha ragione su questo. l'universo non è stato generoso con auggie pullman. che cosa ha fatto quel piccolo per meritare la sua punizione? che cosa hanno fatto i suoi genitori? o olivia? una volta olivia mi ha raccontato che qualche dottore ha detto ai suoi genitori che le probabilità che qualcuno sia colpito dalla stessa combinazioni di sindromi che si sono messe insieme per creare la faccia di auggie erano una su quattro milioni. ma questo non fa dell'universo una gigantesca lotteria, dunque? quando nasci compri un biglietto. e dipende tutto dal caso, se è un biglietto buono o un biglietto cattivo, è solo questione di fortuna.
Il libro è considerato un middle-grade, ma io non mi sento di limitarne la lettura a una fascia di età e lo vorrei consigliare a tutti, soprattutto ai genitori, che possono trarre consiglio su come educare i propri figli ad approcciarsi a qualunque genere di diversità con apertura, sensibilità e intelligenza.
PRECETTO DI DICEMBRE DEL SIGNOR BROWNE
LA FORTUNA AIUTA GLI AUDACI.
Tutti dovevamo scrivere un brano su un momento della nostra vita in cui avevamo fatto qualcosa di molto coraggioso e raccontare come, per questa ragione, ci fosse poi successo qualcosa di bello.

Ci ho pensato su un bel pezzo a essere sinceri. Devo dire che la cosa più coraggiosa che ho mai fatto è stato diventare amico di August. Ma non potevo scrivere questo, naturalmente. Avevo paura che fossimo costretti a leggerlo a voce alta, o che il signor Browne avrebbe esposto i nostri temi sulla bacheca, come faceva a volte. Perciò, ho scritto invece questa cosa un po' sghemba su come, quando ero piccolo, avessi paura dell'oceano. Era stupido, ma non sono riuscito a farmi venire in mente niente di meglio.
Mi domando che cosa abbia scritto Auggie. Mi sa che lui ha avuto l'imbarazzo della scelta.

L'AUTRICE Nata nel 1964, R. J. Palacio ha lavorato per vent'anni in editoria come grafica e art director. Palacio è il suo pseudonimo, ispirato al nome della madre di origini colombiane. Il libro è il suo primo lavoro letterario. Vive a New York con il marito, due figli e due cani. Sito Autrice


Polvere e stelle: Stoner

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John Edward Williams, classe 1922, (morto nel 1994) romanziere, poeta e accademico statunitense, vincitore di un National Book Award per la narrativa nel 1973, è molto chiaro all'inizio del suo romanzo: Stoner, il protagonista che dà il nome al libro, muore misconosciuto, il ricordo che resterà della sua vita è una dedica su un manoscritto antico, donato dai suoi colleghi alla biblioteca dell'università dove ha insegnato discretamente tutta la vita. Inoltre, precisa l'autore, solo alcuni alunni serbarono un ricordo di lui.

Confesso che questo incipit mi ha ricordato due famose elegie, elevate per così dire in memoriam: l'Antologiadi Spoon River di Edgar G. Masters del 1914 e, ancora più indietro nel tempo, Elegia scritta in un cimitero campestre di Thomas Gray del 1750. Sulle ceneri di chi non è più, si canta ciò che di grande pure è stato. È un'operazione notevolmente onesta quella che ricorda a tutti la caducità della vita e dunque i termini reali della questione.
In Stoner, dopo questa premessa, comincia la narrazione dall'anno di nascita e dai dati basilari della vita del protagonista. È come se Williams avesse già ristretto l'ambito, delimitato il campo: questa è la vita di S. e questi tutti i segni che ha lasciato. Queste premesse, molto dure, apparentemente tristi, essenziali, aprono però una grande attesa: perché mai dovrebbe essere interessante narrare di questa persona? Cosa cela Stoner nella sua piccola vita perché ci si debba scrivere un libro?

Ian McEwan
La dinamica che un sistema narrativo così scatena è piuttosto simile a quello che è successo in questo periodo, quando il tam tam del mondo editoriale ci ha diligentemente avvertito che Ian MacEwan, autore molto apprezzato, ha lodato questo libro, pubblicato, tra l'altro, già nel 1965, e rimasto abbastanza misconosciuto finora. Le domande che nascono sono: che cosa mai è nascosto di così prezioso sotto una apparenza così grigia? Stoner è grigio, la trama appare grigia, eppure… Cosa ha spinto Williams a narrare la storia di questo personaggio? E non lasciamoci fuorviare dal fatto che la materia sia autobiografica, perché se fosse solo questo il punto, forse nemmeno nel 1965 il libro sarebbe stato accolto nell'alveo di una casa editrice. Perché McEwan e altri gli stanno attribuendo la natura di un classico? Quale brillante si nasconde nella sabbia grigia? Nelle pagine di un vecchio libro, nella vita di un grigio professore universitario che è stato classificato come una nuova versione dell'inetto sveviano?

Cominciando a leggere della vita più che semplice di questo figlio di agricoltori della poverissima provincia americana, oltre alla premessa straniante che ci menziona già all'inizio la sua silenziosa e quasi irrilevante dipartita, troviamo per primo un istante sospeso nel tempo e nello spazio, che viene descritto con grande efficacia.

Stoner a diciannove anni viene mandato all'università a studiare agraria da un padre triste e stanco che vede nel figlio la possibilità di fare qualcosa in più per la famiglia e per quella terra povera e dura il cui lavoro quotidiano sfibra il corpo e l'anima. Ma il ragazzo, che accetta di studiare semplicemente e senza passioni, ribellioni o drammi, mentre assiste a una lezione di letteratura inglese, obbligatoria anche per il corso di agraria, all'improvviso ha un'illuminazione. Dopo che l'allievo diligente ha faticato assurdamente sulla letteratura, un giorno lo scialbo professore che parla e insegna in maniera assolutamente piatta, legge un sonetto di Shakespeare con un'altra voce.
«Guardò Stoner ancora per un momento, poi i suoi occhi divennero come ciechi, mentre fissavano un punto invisibile oltre la classe. Senza leggere dal libro ripeté di nuovo la poesia; e la sua voce si fece più profonda e più dolce, come se le parole, i suoni e la metrica si fossero per un istante incarnate in lui:
In me tu vedi quel periodo dell’anno
Quando nessuna o poche foglie gialle ancor resistono
su quei rami che fremon contro il freddo,
nudi archi in rovina ove briosi cantarono gli uccelli.

In me tu vedi il crepuscolo di un giorno
che dopo il tramonto svanisce all’occidente
e a poco a poco viene inghiottito dalla notte buia,
ombra di quella vita che tutto confina in pace.

In me tu vedi lo svigorire di quel fuoco
che si estingue fra le ceneri della sua gioventù
come in un letto di morte su cui dovrà spirare,
consunto da ciò che fu il suo nutrimento.

Questo in me tu vedi, perciò il tuo amore si accresce
per farti meglio amare chi dovrai lasciar fra breve».
Questa poesia, a ben vedere, rilancia i termini della questione iniziale: nel passato, il presente, in quel che appare, ciò che è nascosto e che può essere svelato. Nella grigia vita quotidiana: ben altro.

Stoner è folgorato e, dopo quel momento, comincia a vedere davvero, a considerare se stesso, le sue mani brune, i suoi vestiti logori, e la realtà stessa intorno a sé, come se le luci e le ombre avessero all'improvviso trovato una loro consistenza, intessuta del passato di tutti coloro che avevano vissuto prima.
«Il passato sorgeva dalle tenebre e i morti tornavano in vita di fronte a lui, e insieme fluivano nel presente, in mezzo ai vivi, tanto che per un istante aveva la percezione di stringersi a loro in un’unica, densa realtà, da cui non poteva e non voleva sottrarsi. Tristano e la dolce Isotta gli sfilavano sotto gli occhi; Paolo e Francesca vorticavano nel buio incandescente; Elena e il radioso Paride, amareggiati dalle conseguenze del loro gesto, spuntavano dal buio. E Stoner li sentiva più vicini dei suoi stessi compagni, che si spostavano da una classe all’altra, alloggiando presso una grande università a Columbia, nel Missouri, e che camminavano distratti nell’aria del Midwest».
Questa illuminazione che rende Stoner cosciente di se stesso è paragonata chiaramente da Williams all'assaggio del frutto dell'Albero della conoscenza del Bene e del Male, dopo del quale Adamo ed Eva, nella Bibbia, si rendono conto di essere nudi.

Insomma, la scoperta della letteratura per Stoner è la presa di coscienza dell'esistenza di un mistero, che rende la realtà degna di essere investigata. Il professor Sloane percepisce questo cambiamento in lui e, dopo quasi tre anni in cui Stoner, senza dir nulla a nessuno, ha abbandonato agraria per dedicarsi allo studio della letteratura, gli propone di continuare in università con un dottorato di ricerca. Così cambia la vita del protagonista che studia con precisione e silenziosa passione, nella più assoluta solitudine. Quando comincerà a tenere i primi corsi si accorge però che la passione non traspare e che, pur insegnando la grammatica convinto della sua armoniosa e logica utilità, la sua voce rimane piatta, proprio come quella del suo insegnante.
«Trovava sollievo e appagamento solo durante le lezioni che frequentava come studente. Lì era ancora in grado di cogliere l’emozione che aveva provato il primo giorno, quando Archer Sloane gli aveva rivolto la parola e, in un solo istante, si era trasformato in un uomo nuovo. Mentre la sua mente era impegnata in quegli argomenti e si confrontava con il potere della letteratura cercando di comprenderne la vera natura, avvertiva un continuo cambiamento: e come se ne fosse consapevole, usciva da se stesso entrando nel mondo che lo conteneva e comprendeva così che la poesia di Milton, o il saggio di Bacon, o la commedia di Ben Jonson che stava leggendo cambiavano il mondo che avevano per oggetto, e lo cambiavano in virtù della loro dipendenza da esso».
Questa interdipendenza della realtà e della letteratura risuona nella lettura come una bomba luminosa. Leggendo questo libro, chi ha anche solo una volta subito questa fascinazione, non può non riconoscerne il valore dirompente. Una atomica silenziosa e non vista dagli altri, che può rimanere nelle pagine polverose, o rispolverate molto efficacemente da MacEwan, ma che si riverbera nella memoria di chi si è innamorato del potere dei libri, della lettura, della letteratura: restituire alle cose la loro luce e il loro sapore. Insomma l'amore è forse più amore dopo aver letto Giulietta e Romeo.

Io non sono esattamente una fan sfegatata di MacEwan, ho letto ancora troppo poco di lui, però anche dopo aver letto poche pagine di Stoner, comincio a capire cosa possa averlo mosso a elogiarlo e gli altri a parlarne come di un classico.

Cari lettori, io non ho finito questo libro e non ho voluto scriverne una recensione, che è già stata fatta su questo blog (potete leggerla QUI), ho però voluto cedere a una fortissima curiosità e spero di averne suscitata una uguale in voi; credo che il paradigma qui sia quello della cerca, sì, quella del Graal. Non quella facile e vittoriosa dei film scintillanti di armature inverosimili, ma quella aspra e dalla fine non scontata, se Artù muore e se il Graal non è di facile reperimento, né è una coppa preziosa, ma un boccale di legno che, comunque, contiene il Bene del mondo. Voglio dire: perché leggiamo? Che cerchiamo? Ma perché viviamo, allora? Cosa vale la pena di “durare” questa ricerca?«Se la vita è sventura, Perché da noi si dura?» si chiedeva Giacomo Leopardi.

John Williams
Io continuerò a leggere questo libro, sapendo – come l'autore ha voluto dirci sin dall'inizio – quale sarà la fine, e vivrò nello stesso modo e con la stessa consapevolezza, ma qualunque cosa accada in questo libro e nelle nostre vite, gli indizi portano a qualcosa. C'è la possibilità di restare degli inetti? Forse sì. Io so, però, che Zeno Cosini era uno cosciente di quello che accadeva intorno a lui, più dei borghesi illuminati, progressisti e positivisti che erano sicuri di aver capito tutto. La letteratura, quella cosa strana che diventa una lente attraverso cui le cose possono, eventualmente, diventare lontane, irraggiungibili, le azioni diventare impraticabili e troppo impegnative per chi ne vede tutte le implicazioni, come fossero le svolte di un romanzo, la letteratura, dicevo, restituisce alla vita la ricchezza di chi ha già vissuto, il dolore di chi ha già perso, il desiderio di chi ha già provato l'avventura. E allarga il cuore, la mente, rinfocola la propria stessa passione.

Concludo con un'ultima citazione. Il protagonista stringe una specie di blanda amicizia con due colleghi, giovani ricercatori in università, come lui. Uno di questi, Masters, una sera al tavolo di un pub, con l'acume che lo contraddistingue radiografa Stoner, raccontando quello che a suo parere lo tiene, anzi, lo trattiene fra le mura protettive dell'università.
«Signori, avete mai riflettuto sulla vera natura dell’università? Mr Stoner? Mr Finch?». I due sorrisero e scossero la testa. «Scommetto di no. Il qui presente Stoner, immagino, la vede come un grande deposito, come una biblioteca o un magazzino, dove gli uomini entrano di loro spontanea volontà e scelgono ciò che li rende completi, dove tutti lavorano insieme come le api in un alveare. La Verità, il Bene, il Bello. Sono appena dietro l’angolo, nel corridoio accanto; sono nel prossimo libro, quello che non hai ancora letto, o sullo scaffale più in alto, dove non sei ancora arrivato. Ma un giorno ci arriverai. E quando succederà… quando succederà…».

Video-intervista a Ornella Albanese su "L'oscuro mosaico"

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Cari lettori,
Intervistiamo oggi Ornella Albanese, autrice di romanzi e romance storici, visitando alcuni dei luoghi che hanno fatto da sfondo al suo ultimo libro pubblicato da Leggereditore, L'oscuro mosaico.

Molti di questi luoghi diventano infatti fondamentali ai fini della trama e dunque, avendone l'opportunità, abbiamo scelto di intervistarla in loco, per tuffarci nelle atmosfere del romanzo, che abbiamo recensito lo scorso gennaio



Ornella Albanese sarà per il secondo anno consecutivo presidente di giuria del Premio "Salento in Love", un concorso letterario organizzato dall'Associazione Morfè a cui possono partecipare sia scrittori affermati che esordienti con romanzi inediti, in lingua italiana, che abbiano come scenario il Salento e rientrino nel genere "Romance".
Per informazioni sul concorso clicca QUI

Recensione "Il bambino che cadde sulla terra" di Kathy Lette

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Cari lettori, 
oggi vi parliamo di un libro edito dalla casa editrice Dalai e uscito agli inizi di maggio. Un libro che si legge tutto d’ un fiato, ma che personalmente non mi ha fatto impazzire. Parlo de Il bambino che cadde sulla terra di Kathy Lette

Titolo: Il bambino che cadde sulla luna
Autore: Kathy Lette
Casa editrice: Dalai
Genere: Narrativa
Costo: € 15,90
Pagine: 288
Data di pubblicazione: 28 marzo 2013
Trama: Da quando il padre di Merlin, Jeremy, se n'è andato, subito dopo la diagnosi di autismo, Lucy ha fatto del figlio il centro del suo mondo. Alle prese con le gioie e le difficoltà di crescere un bambino eccentricamente adorabile, ma impegnativo (se soltanto Merlin fosse arrivato con un manuale di istruzioni!), Lucy non ha tempo per altri uomini nella propria vita, perciò perché darsi la pena di cercarne uno? Quando Merlin compie dieci anni, Lucy comincia seriamente a preoccuparsi che il Papa possa contattarla per chiederle suggerimenti in materia di castità, perciò decide di rimettere piede (per quanto il pedicure lasci a desiderare) nel mondo degli uomini. Ma a causa della bizzarria di Merlin, le cose non vanno come aveva immaginato. Tuttavia, proprio quando Lucy sta per rassegnarsi a una vita da single, ecco che Archie - il più perfetto, per lei e per suo figlio, degli uomini imperfetti - bussa alla sua porta. E lo stesso fa Jeremy, pronto a implorare perdono e una seconda possibilità... Di cosa ha bisogno Lucy? Di un vero padre per Merlin o di un compagno affidabile per se stessa?


RECENSIONE
A volte ci capitano tra le mani libri di cui riconosciamo il valore intrinseco ma che proprio non riusciamo a digerire. Il bambino che cadde sulla terraè proprio uno di questi. Probabilmente i miei gusti non vanno incontro a questo tipo di letture, e in parte me ne dispiaccio, perché ho trovato l’idea alla base e lo stile dell’autrice molto interessanti e frizzanti. La storia non è forse delle più semplici da raccontare e l’autrice sceglie di usare un genere e un registro linguistico che non sono riuscita ad apprezzare in pieno.

La protagonista del libro è Lucy, madre di un ragazzo portatore della sindrome di Asperger, abbandonata dal marito incapace di accettare la diversità del figlio. Lucy deve affrontare il mondo da sola, quel mondo popolato dalle cosiddette persone normali che, dalle istituzioni alla gente comune, le rema letteralmente contro. È la storia di una donna che cerca dopo anni di sacrificio di non essere solo madre ma anche donna, trasformazione che passa anche attraverso il desiderio di trovare un uomo con cui condividere un po’ di tempo in relax.

Il bambino che cadde sulla terra ha un doppio intento: quello di divertire e affrontare con leggerezza la vita quotidiana di chi vive accanto ad un ragazzo con la sindrome di Asperger. Mostrando in una prospettiva diversa questo mondo, il lettore infatti, grazie all’utilizzo della prima persona vive la vita di Lucy dall’interno, i suoi lati più difficoltosi ma anche quelli ricchi di vitalità e bellezza. Un scelta questa che permette una forte empatia con il protagonista che sin dall’inizio commuove e colpisce per la forza d’animo con cui cerca di combattere le avversità di ogni giorno.

È chiaro sin dalla prime battute che il libro è molto sentito dall’autrice, madre lei stessa di un ragazzo con la medesima sindrome. Lo si vede nella sua capacità di parlare in maniera frizzante ma competente della vita con un bambino diversamente dotato che trasuda dalle pagine. Nel desiderio e nel tatto con cui permette al lettore di entrare in contatto con una realtà ben diversa, dove la diversità diventa un dono, non solo un peso da sopportare.

Lo stile dell’autrice è fluido, divertente, ironico e frizzante. Ogni suo personaggio è perfettamente caratterizzato e molte delle situazioni in cui la protagonista si trova invischiata (nel tentativo di dare una svolta alla sua vita personale) riescono a strapparti un sorriso. Nonostante questo, il libro non mi è piaciuto: troppo spesso l’autrice esagera con la sua ironia. Ironia che appare calibrata e divertente in alcuni momenti, ma tende a disperdersi quando l’autrice sceglie di usarla di continuo risultando a lungo andare stancante e decisamente meno divertente.

I comportamenti dei personaggi in alcuni momenti sono, a mio parere al limite dell’assurdo specialmente quelli della protagonista, ma non solo. La Lette sembra voler ricalcare un certo tipo di chick-lit dove alla protagonista ne capitano di tutti i colori. Ed è proprio in questo che il libro si snatura, diventando in alcuni passaggi troppo forzato per non dire insensato. Una protagonista che ho apprezzato nelle prime pagine, ma che ha cominciato col tempo a diventarmi profondamente antipatica, con comportamenti forzatamente inutili e, a mio parere, irrealistici.
Non mi aspettavo e non volevo assolutamente un libro melodrammatico, ma nemmeno così privo di pathos e trasporto emotivo. Inoltre la trama spesso appare piatta e il finale un mezzo mix di banalità e assurdità. L’autrice inoltre, tentando di creare un’atmosfera tra il frizzante e l’umoristico, ben presto diventa logorante al punto che sul finale di divertente non c’è molto se non la parola fine.


L'AUTRICE 
Kathy Lette, columnist per diverse testate e scrittrice di sit-com televisive in America e Australia, è approdata al successo internazionale con i suoi romanzi, tradotti in quattordici lingue. Vive a Londra con i due figli e il marito. Ambasciatrice per Women and Children First, Plan International e White Ribbon Alliance, nel 2010 ha ricevuto una laurea honoris causa dalla Solent Southampton University. Per Baldini&Castoldi ha pubblicato Come uccidere il marito (e altri utili consigli domestici) (2007) e Finché divorzio non ci separi (2009).


Recensione audiolibro “Uno, nessuno e centomila” di Luigi Pirandello

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Cari Lettori,
recensiamo oggi un audiolibro un po' particolare. LibriVivi Media e Adriano Salani Editore hanno infatti creato le versioni CD-Audio degli audiolibri più innovativi ed esclusivi del mercato: i LibriVivi.

"Si tratta di opere emozionanti e coinvolgenti che, grazie alle interpretazioni dei più amati attori e doppiatori italiani e a un sofisticato lavoro di sound-design, trasformano i grandi classici della letteratura in veri e propri film da ascoltare con narrazioni, dialoghi, effetti sonori e musiche.
Il pubblico riconoscerà le inimitabili voci delle più famose e amate star di Hollywood."

Autore: Luigi Pirandello
Titolo: Uno, nessuno e centomila
Adattamento: Giuseppe Manfridi
Casa editrice: Salani LibriVivi
Formato: 2 CD Audio (pdf 198 pagine)
Genere: Teatro
Collana: Palco
Interpretazione a più voci in ambienti teatrali
Durata: 2h 02'
Direzione: Gino La Monica, Dario Picciau
Interpreti: Gino La Monica (Moscarda), Roberta Greganti (Anna Rosa), Franco Zucca (Voce Narrante), Dario Penne(Quantorzo), Marco Mete (Firbo), Bruno Alessandro (Suocero), Emanuela Rossi (Dida), Vincenzo Avolio (Amico), Fabrizio Odetto (Passante), Gerolamo Alchieri (Marco Di Dio), Graziella Polesinanti (Diamante), Dante Biagioni (Notaro), Ambrogio Colombo (Sclepis), Carlo Reali (Partanna), Stefano Brusa (Giudice), Oliviero Di Melli (Turolla).
Dir. prod.: Matteo Cerutti
Snd Design: Michele Didoni
Sound Mix: LibriVivi Media
Ass. Regìa: Libero Stelluti
Reg voci: CTA Digilab
Data pubblicazione: 20 novembre 2012
Prezzo:€ 10,90
Trama:Uno, nessuno e centomila, romanzo umoristico... nell'accezione pirandelliana, certo, comunque umoristico. Un uomo dichiara, in apertura, la propria alienazione. Si dice sgretolato, annullato, e non si può non credergli. L'uomo raccontando di sé afferma che la catastrofe ebbe inizio quando la moglie gli fece notare un'imperfezione del suo naso. Cosa ben nota a tutti da sempre, tranne che a lui. Di qui il calvario autoconoscitivo, e autodistruttivo, di Moscarda.Una discesa nel profondo che finisce col portarlo alla totale dissipazione di sé. A partire da quella scellerata osservazione, Moscarda non si dà che uno scopo nella vita: procedere in esperimenti incessanti, che mirino a confermare la sua tesi: che nessuno esiste se non nell'immagine che gli altri, ovvero altri nessuno, si formano di lui.
Uno, nessuno e centomila è un’audiolibro della collana Palco. Sedetevi in prima fila e godetevi ogni sfumatura delle interpretazioni da palcoscenico con musiche ed effetti d'ambiente registrati all'interno dei più famosi e storici teatri italiani.




RECENSIONE
Come già sapete non disdegno l'ascolto di audiolibri: spesso lo affianco alla lettura tradizionale, quasi nell'ordine del 50% delle mie letture. Non ho problemi ad ascoltare neanche e-book letti da voci sintetiche di varia natura; ma se ho la possibilità di 'leggere' un audiolibro ben fatto, la mia soddisfazione raggiunge il picco. Quando ho sentito di questa collana di audiolibri letti da più di un lettore, in modo che ogni personaggio avesse la sua voce – e sapendo, inoltre, che questi lettori erano tutti attori e doppiatori professionisti – sono stata subito curiosa di saperne di più.

Una pagina manoscritta del romanzo
Uno, nessuno e centomilaè un libro a cui sono particolarmente legata: anch'io in alcuni momenti della vita mi sono ritrovata a fare ragionamenti molto simili a quelli di Vitangelo Moscarda, a sentirmi completamente diversa da come mi vedevano gli altri, a cercare di vedermi dall'esterno, da un'altra ottica, nel tentativo di percepire quale fosse la vera me stessa.

La prima volta che ho letto il romanzo, ricordo di essermi fermata a ogni capitolo e di aver fatto delle considerazioni che, puntualmente, Moscarda faceva nel capitolo successivo, nei suoi lunghissimi e coinvolgenti monologhi.

In questa sede, però, mi limiterò a recensire l'audiolibro realizzato da Salani LibriVivi e non il romanzo di Pirandello – recensione per la quale non sarei assolutamente all'altezza.

Confesso che, quando ho saputo che la lettura durava appena due ore o poco più, ne sono stata delusa perché, sebbene il romanzo di Pirandello sia molto breve, certamente la sua lettura richiede qualche minuto in più dei 242 di questi due CD.

Spesso ho difeso gli audiolibri contro chi diceva che non sono libri veri e propri, ma loro interpretazioni recitate da attori. Inutile spiegare che sì, certo, gradisco molto di più un audiolibro ben fatto, ma che al mio scopo vanno bene anche attori 'sintetici' che a malapena interpretano la punteggiatura. I detrattori degli audiolibri li paragonano quasi a riduzioni radiofonico/cinematografiche, come se il copione non fosse il libro stesso, ma venisse riscritto e interpretato dall'attore al momento della lettura. Per me, ripeto, non è così, perché è nelle parole scelte dallo scrittore che sta il vero significato; sono esse a dare un tono allegro, ironico, triste, pensieroso, ecc al testo, e il lettore/attore si adegua allo stile del testo.

Ho fatto questa premessa perché in questo caso c'è stata davvero una riscrittura del romanzo di Pirandello, romanzo che è diventato una sorta di commedia radiofonica, con uno stravolgimento cronologico della trama (il primo atto si apre con Moscarda che ha già deciso di liquidare tutto e il suocero che appare a dargli una strigliata con Dida, Firbo e Quantorzo che cercano di convincerlo a fare altrimenti e il dramma della crisi dell'io che si è già consumato e sta per dare i suoi inattesi frutti); un innalzamento dei ruoli degli attori comprimari (Annarosa, l'amica della moglie Dida diventa la coprotagonista, la confidente di Vitangelo, sostituendo il pubblico/lettore a cui nel romanzo Pirandello destinava i suoi monologhi); un taglio non radicale ma fastidioso del testo originale.

Ora, non è che Pirandello non abbia scritto teatro: le sue numerosissime commedie sono state composte sia prima che dopo questo romanzo, che pure è stato in gestazione per diversi anni, venendo accantonato per essere poi ripreso e terminato definitivamente nel 1926. E non è che la vocazione teatrale dell'autore non si percepisca: nei suoi romanzi Pirandello privilegia il dialogo alla narrazione e i monologhi di Vitangelo Moscarda sembrano essere fatti apposta per un palcoscenico. Ma se quest'opera è nata come romanzo e non come commedia, perché decurtarne brutalmente alcuni interessantissimi passaggi e stravolgere l'ordine cronologico che aveva stabilito Pirandello?

La prima edizione del romanzo
Se avesse voluto farne un'opera teatrale, probabilmente anche lui sarebbe stato costretto a fare variazioni analoghe, per ridurre e sfruttare al meglio il cambio delle scene fra un atto e l'altro, per far entrare i personaggi in modo logistico e coerente, evitando di far fare loro un balletto di entrate e uscite, cambio d'abito, cambio di scena, ecc. Ma ripeto, se avesse voluto scrivere una commedia, Pirandello lo avrebbe fatto, raggiungendo lo stesso scopo, forse (nell'audiolibro adattato da Giuseppe Manfridi è ben chiara l'analisi dell'identità condotta da Pirandello in Uno, nessuno e centomila, che lo porta a formulare la crisi dell'io, ed è lampante il tema dell’incomunicabilità), ma eliminando brani fondamentali del testo originale, come evidentemente non volle fare.

Veniamo agli attori: sono davvero bravissimi, le voci dei doppiatori delle star di Hollywood, e si sente; ma danno appunto al testo un'aria troppo teatrale, un’interpretazione esasperata, mentre in un audiolibro – e qui contraddico quel che ho detto prima, ma neanche tanto – voglio sentire il testo e darne la mia interpretazione, senza lasciarmi suggerire dai lettori/attori quale significato dare all'opera. Perché anche con i romanzi, proprio come con le persone, ognuno deve avere – a diritto – il proprio punto di vista, che dà a ogni opera centomila diverse interpretazioni.

Detto ciò, non si può certo disprezzare del tutto questo adattamento del romanzo di Pirandello, cheè ben sceneggiato, ben recitato e ben confezionato in ogni suo dettaglio. Un prodotto di altissima qualità che reinterpreta e rende cinematografico, o meglio, teatrale, l’opera di Pirandello. Resta però una mero adattamento. Gradevole e ben realizzato. Abbastanza fedele, ma non un audio-libro. Perché solo il libro stesso è fedele al 100%.

Se volete ascoltare una trasposizione dell’opera di Pirandello affascinante, ben realizzata, letta da ottimi attori e tecnicamente perfetta, che vi farà immaginare di trovarvi sul palco di un teatro, questo audiolibro realizzato da Salani LibriVivi è davvero eccezionale. Se volete invece leggere o ascoltare Uno, nessuno e centomila così come Pirandello l’ha scritto, dovrete farlo in altro modo.

L'AUTORE
Luigi Pirandello (Agrigento, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) fu un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934.

Recensione “La macchina dei corpi” di Warren Ellis

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Cari lettori,
ma soprattutto amanti del thriller, ecco un libro che non dovete lasciarvi sfuggire. La macchina dei corpi, edito dalla casa editrice Longanesi e uscito il 13 giugno, ha tutte le carte in regola per entrare di prepotenza nella lista dei thriller più interessanti degli ultimi tempi.

Titolo: La macchina dei corpi
Autore: Warren Ellis
Casa editrice: Longanesi
Genere: Thriller
Pagine: 296
Costo: € 16,40 
Data di pubblicazione: 13 giugno 2013
Trama: Un caso di ordinaria amministrazione per il detective John Tallow del dipartimento di polizia di New York. In un condominio fatiscente di Brooklyn, un uomo è impazzito e ha iniziato a sparare sui vicini. Tallow riesce a bloccarlo, anche se il suo collega ci rimette la vita. Ma la sorpresa più grande arriva durante una perquisizione nel palazzo. Uno degli appartamenti infatti ha una porta blindata dall’aria molto costosa. Com’è possibile, in mezzo a tanto squallore? Il contenuto dell’appartamento è sbalorditivo: centinaia di pistole, perfettamente funzionanti, che a un esame più accurato si rivelano essere legate ad altrettanti omicidi insoluti commessi in città negli ultimi vent’anni. Per il detective Tallow inizia l’indagine più difficile della sua carriera…n caso di ordinaria amministrazione per il detective John


RECENSIONE
Warren Ellis potrebbe essere uno sconosciuto alla maggior parte di voi lettori, a meno che la vostra passione dei libri non si sovrapponga anche a quella per i fumetti. Questo scrittore inglese nasce infatti come sceneggiatore e negli ultimi 20 anni ha lavorato per le maggiori case editrici di comics inglesi e americane occupandosi di serie come gli x-man, doom, hellblazer e Batman. Una sua mini-serie a fumetti è diventata nel 2010 un film interpretato da Bruce Willis, Morgan Freeman, Helen Mirren e John Malkovich che molti di voi avranno sentito almeno nominare: RED (se non lo avete visto dovete vederlo! ).

La macchina dei corpi, suo secondo romanzo arrivato in Italia a pochi mesi dall’uscita negli Stati Uniti, impressiona il lettore sin dalle prime pagine e staccarsene è veramente difficile.

La prima cosa che colpisce è di certo lo stile che Ellis adatta nella scrittura: forte, realistico e potente, ironico a sprazzi, divertente e sarcastico. Niente nelle scene che racconta viene edulcorato ma soprattutto ha la capacità di venire incontro alla sensibilità del lettore cresciuto con gli action movie di questi anni. La sua scrittura è brillante e, se volessi rimanere in ambito cinematografico, molto Pulp.

Il protagonista John Tallow non è il classico detective geniale sebbene ne ricalchi alcune caratteristiche infatti è una persona asociale, disincantato dalla vita e cinico. Non ha amici, non è amato dai colleghi e non si aspetta nulla dalla vita. Personalmente ho trovato il suo "cinismo" la semplice maschera di chi ormai ha smesso di vivere o non ha mai vissuto, di chi decide di tenere la vita a distanza, senza fraseggi, paranoie o filosofeggiamenti vari. È un mediocre che fa il minimo necessario nel suo ruolo di tutore della legge eppure, suo malgrado, comincerà a cambiare quando gli verrà appioppato un caso dal quale è impossibile uscire vincitori. Lui è perfettamente consapevole che sarà il caso che lo obbligherà alle dimissioni, perché il vaso di Pandora che ha aperto scaricherà una valanga di ehmm ...problemi (mi sono aucensurata, ma potete sostituire Problemi con quella parola che inizia a con la Emme e finisce con la A ;) ) sull'intero dipartimento di polizia e non solo.

Quando a seguito di una chiamata John Tallow scopre casualmente un appartamento letteralmente tappezzato di pistole (ognuna delle quali collegata probabilmente a un omicidio irrisolto) capisce sin da subito di essere nei guai e di doversi comportare per la prima volta dopo molto tempo, da poliziotto. Il dipartimento è formalmente in carenza di organico, leggasi, il caso è talmente scottante che nessuno vuole occuparsene. Le sedie dei suoi superiori scottano a causa delle implicazioni del caso stesso e John Tallow rappresenterà il perfetto capro espiatorio su cui avventarsi in caso di fallimento.

Forze molto in alto coinvolte negli omicidi tenteranno di mettere i bastoni fra le ruote al detective, perfettamente consapevole di essere solo alla ricerca di risposte. Il caso si dimostra sin da subito insolito, intrigante, talmente particolare al punto di far scattare una molla in John Tallow che sentirà la necessità di chiudere il caso prima per se stesso che per il dovere in quanto poliziotto.

Non meno importante in questa catarsi sarà la presenza di alcuni personaggi secondari: assolutamente spettacolari i due agenti della scientifica, loro malgrado coinvolti e affascinati dal caso, che riusciranno a far vivere nuovamente Tallow che si rivelerà un segugio brillante e ricco di intuizioni. Personaggi che riusciranno nell'arduo compito di essere il contraltare divertente ma credibile della storia, gli artefici dei momenti distensivi della narrazione. Ed è su questo elemento che si gioca la bravura di Ellis, bravissimo nel creare un intreccio affascinante e adrenalinico, dove i colpi di scena e l'azione si mescolano a momenti divertenti assolutamente brillanti.

In tutto questo uno sfondo che la fa da padrone: New York e in particolar modo l'isola di Manhattan. Una città che tutti conosciamo, anche solo per sentito dire. Luogo indimenticabile di infiniti film, serie TV e libri. Qui si esprime in tutta la sua tridimensionalità. Una Manhattan in cui si sovrappongono tre città, non solo quella reale dei vicoli, di Central Park, dei grattacieli ma anche altre due che incarnano il suo futuro e il suo passato, rappresentando così la sua anima più nascosta ma non meno reale.

Un libro decisamente consigliato e che leggerete tutto d'un fiato come è capitato a me.


L'AUTORE
Warren Ellis è uno scrittore, un giornalista e un autore di fumetti britannico. Ellis è famoso per il suo cinismo e per la sua carica eversiva e polemica. Prima di intraprendere la carriera di scrittore, Ellis ha svolto «molti dei lavori peggiori che si possano immaginare. Responsabile di una libreria. Responsabile di un pub. Responsabile di diverse bancarotte. Ho lavorato in un negozio di dischi. Ho trasportato sacchi di letame.» Nel 1994, il suo primo lavoro per la MARVEL Comics: da allora ha letteralmente rivoluzionato il mondo delle storie a fumetti, influenzando naturalmente anche il linguaggio e gli stili dei grandi film di successo tratti dagli eroi Marvel. Sito

Recensione “Come inciampare sul principe azzurro” di Anna Premoli

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Cari lettori,
parliamo oggi in anteprima del secondo romanzo di Anna Premoli, lavincitrice del Premio Bancarella 2013. Come ricorderete, recensii io stessa il romanzo, che trovai molto scorrevole e ben scritto per essere un chick-lit, ma privo di originalità e decisamente non adatto per essere un finalista del Bancarella – figuriamoci poi vincerlo!

Prima del successo con Newton Compton, Anna Premoli aveva autopubblicato un altro e-book, Come inciampare sul principe azzurro, che Newton Compton ha prontamente acquisito per la pubblicazione cartacea(variandone leggermente il titolo, come potete vedere) e che apparirà nelle nostre librerie il 5 settembre.

Quando lessi Ti prego, lasciati odiare acquistai incuriosita anche l'e-book autopubblicato di Come inciampare sul principe azzurro, ragion per cui potrò recensirvi in anteprima questo romanzo, sebbene sia sicura che Newton Compton apporterà un opportuno editing (che sarei assai curiosa di verificare).

Autore: Anna Premoli
Titolo: Come inciampare nel principe azzurro
Casa editrice: Newton Compton
Collana: Anagramma
Pagine: 320
Prezzo:€ 9,90
Data pubblicazione: 5 settembre 2013
Trama: Quale ragazza non sogna di sfondare nel proprio lavoro sfruttando la possibilità di trascorrere un anno all’estero? È proprio questa la grande opportunità che un giorno si presenta a Maddison: ma l’inaspettata promozione arriva sotto forma di un trasferimento dall’altra parte del mondo, in Corea del Sud! Maddison, però, è solo all’apparenza una donna in carriera. In realtà è molto meno motivata delle sue colleghe e per nulla attratta dall’idea di stravolgere la sua vita. Come è possibile che abbiano pensato proprio a lei, che del defilarsi ha fatto da sempre un’arte, che ha il terrore delle novità e di mettersi alla prova? Una volta arrivata in Corea, il suo capo, occhi a mandorla e passaporto americano, non le rende neanche facile adattarsi al nuovo ambiente. Catapultata in un mondo inizialmente ostile, di cui non conosce nulla, di cui detesta le abitudini alimentari e non solo, Maddison si vedrà costretta a tirar fuori le unghie e a crescere una volta per tutte. E non è detto che sulla sua strada non si trovi a inciampare in qualcosa di bello e del tutto imprevisto!


RECENSIONE
Ebbene sì, mi sono avventurata nella lettura del secondo romanzo di Anna Premoli, Come inciampare nel (sul) principe azzurro, carica di pregiudizi.

Il romanzo autopubblicato
Confesso che all'inizio Maddison, protagonista e voce narrante come richiesto da ogni chick-lit degno di questo nome, mi stava un po' sulle scatole: è riuscita a laurearsi dopo aver imbrogliato al test d’ammissione alla facoltà grazie all'aiuto della secchiona di turno, da cui ha copiato la prova d'esame. Ha un lavoro di responsabilità in una società importante per cui – a sua detta, sia ben chiaro – non è tagliata. È in procinto di essere trasferita in una sede all'estero perché quell'esperienza le consentirebbe un avanzamento nella carriera. Lei invece sogna di trovare il ‘Principe azzurro’ e di poter stare in panciolle da mane a sera e in barba al lavoro e alla carriera. Del resto, è comprensibile. La sua è una forma di ribellione nei confronti di una madre che, non avendo mai alzato un dito né in casa né fuori, vagheggia ancora una carriera; riversando dunque il suo sogno su Maddison, che affronta il suo lavoro più come un dovere figliale che come una sua personale affermazione. C'è da dire anche che Maddison è figlia di una società in cui le donne non devono più lottare come un tempo per affermarsi ed essere considerate alla pari degli uomini (insomma, non come una volta), per cui trovandosi la 'pappa pronta', possono anche permettersi di sputare nel piatto in cui mangiano con il desiderio di regredire al ruolo di mantenute.

Maddison, tuttavia, è una contraddizione vivente: guai se qualcuno non apprezza il suo lavoro o fa delle battute sui suoi ritardi e la sua svogliatezza (ma non aveva detto le medesime cose su se stessa nel capitolo precedente?). Si irrita e diventa un'autentica cafona, salvo poi appellare gli altri con questo aggettivo.

Quando lo sperato trasferimento a New York le viene soffiato da un collega, Maddison scopre di dover andare a Seoul accompagnata dal bel capo americano-per-metà-coreano Mark Kim e sfogherà su di lui il suo risentimento. Fra l'altro ora le toccherà persino lavorare sul serio, perché sarà a capo di un gruppo di lavoro che conta altri tre elementi.

Questa antipatia per la protagonista, però, rende più interessante la lettura. Se in Ti prego, lasciati odiare era il protagonista maschile Ian a essere insopportabile ai nostri occhi come a quelli di Jennifer, in Come inciampare nel principe azzurro non si riesce a non parteggiare per Mark dall'inizio alla fine del romanzo, per rendersi poi conto che, grazie alla sua benefica influenza, anche Maddison diventerà, in fondo, più responsabile e meno odiosa.

Come inciampare sul principe azzurro mi ha dunque sorpresa in positivo, spazzando molti dei miei pregiudizi. Uno però è rimasto, quello sulla nazionalità inglese della protagonista e l'iniziale ambientazione londinese del romanzo (ambientazione solo nominale, perché, come nel libro precedente, ci si potrebbe spostare a Roma, Milano, New York senza  accusare il colpo). Sappiamo che se Maddison fosse stata l'italiana Maddalena la storia sarebbe stata meno affascinante, ma non si può fare a meno di pensare che la giovane si comporti da Maddalena più che da Maddison. Non credo che gli inglesi siano schifiltosi con il cibo come lo siamo noi italiani. E nemmeno una volta a colazione la signorina Johnsonn ha bramato il tè (che pure contiene la sua bella dose di teina stimolante), solo il caffè, possibilmente forte (proprio da brava ragazzona italiana!). Poi, con la scusa della nonna 'in parte' francese, la colazione è solo dolce, con le fette biscottate e la marmellata o il miele... Dove sono andate a finire le uova col bacon e tutte le delizie salate del breakfast inglese? Come mai Maddison è nauseata dalla colazione salata che si consuma a Seoul? E come mai, quando esce a cena, è sempre alla ricerca dei ristoranti italiani? Lamentandosi poi se il menu è scritto in inglese e in coreano? E come dovevano scriverlo, in italiano?

Alcuni piccoli refusi ed errorini ortografici saranno sicuramente passati al vaglio ed eliminati da un editor accorto, ma non posso lasciar passare il marchiano errore che la Premoli fa sul nome della scrittrice preferita di Maddison: Jane Austin. Non si tratta di un refuso, perché viene ripetuto per ben due volte nell'arco di due righi. Ora, quando io sono indecisa su un nome che conosco poco, ma lo voglio utilizzare perché 'fa figo', googlo e controllo la corretta grafia. Non sarebbe stato male, dunque, che lo avesse fatto la Premoli prima di (auto)pubblicare il romanzo.

Lo stile è fluido e privo di fronzoli; ciò rende la lettura scorrevole e fresca, adatta a trascorrere un pomeriggio d'estate in piacevole compagnia.La trama è originale per essere un chick-lit (che tanto si sa già come va a finire). Certo, se dovesse essere presentato a un prestigioso premio – e lo dovesse anche vincere – sarei la prima a storcere il naso, ma mi sento di consigliare questo romanzo alle fruitrici del genere, che lo troveranno sicuramente tenero e appassionante.

L'AUTRICE
Anna Premoli è nata nel 1980 in Croazia, vive a Milano dove si è laureata in Economia dei mercati finanziari, presso la Bocconi. Ha lavorato alla J.P. Morgan e, dal 2004, al Private Banking di una banca privata, dove si occupa di consulenza finanziaria e ottimizzazione fiscale. La matematica è sempre stata il suo forte, la scrittura invece è arrivata per caso, come “metodo antistress” durante la prima gravidanza. Con la Newton Compton ha pubblicato Ti prego lasciati odiare, vincitore del Premio Bancarella 2013. Il romanzo è stato per mesi ai primi posti nella classifica dei libri più venduti e la Colorado Film ha acquistato i diritti per la trasposizione cinematografica. Anche Come inciampare nel principe azzurro è stato un successo del self publishing, arrivando ai primi posti della classifica.

Recensione "Il bambino segreto" di Camilla Läckberg

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Cari lettori,
dopo nove mesi dalla pubblicazione de L’uccello del malaugurio, lo scorso maggio è uscito in Italia nella collana Farfalle della Marsilio, Il bambino segreto, il romanzo della Läckberg giudicato dalla critica europea come uno se non il migliore della serie. Erica Falck con la classica complicità del marito, stavolta poliziotto in congedo, e del distretto di polizia di Tanumshede indaga su un caso che la tocca da vicino e la condurrà a scavare nel passato della sua vita personale.


"Camilla Läckberg è bravissima a ritrarre la dimensione claustrofobica di una piccola comunità in cui tutti sanno tutto di tutti e il poliziotto può benissimo essere amico dell'assassino." The Times


Autore: Camilla Läckberg
Titolo: Il bambino segreto
Titolo originale: Tyskungen
Traduzione di: Laura Cangemi
Casa Editrice: Marsilio
Collana: Farfalle
Pagine: 526
Prezzo: 19,00€
Data di uscita: Maggio 2013
Trama: L'estate sta per finire a Fjällbacka, la cittadina sulla costa occidentale della Svezia lentamente si svuota della folla di turisti, e per Erica è arrivato il momento di affrontare una scoperta inquietante: nella soffitta di casa, in un baule dove la madre Elsy conservava i suoi oggetti più cari, ha trovato alcuni diari e una medaglia dell'epoca nazista avvolta in una camicina da neonato macchiata di sangue. Pur spaventata dal rischio di rivelazioni che forse sarebbe meglio continuare a ignorare, decide finalmente di interpellare uno storico esperto della seconda guerra mondiale e collezionista di memorabilia, Erik Frankel, da cui ottiene però solo risposte molto vaghe. Due giorni dopo, il vecchio professore è assassinato. Chi ha assassinato Erik Frankel e perché? Possibile mai che la visita di Erica abbia scatenato la furia omicida di qualcuno? Mentre Patrik cerca maldestramente di conciliare il suo congedo di paternità con il desiderio di partecipare alle indagini, Erica s’immerge nelle pagine del diario di Elsy e nel drammatico passato di cui raccontano, cercando di fare chiarezza su eventi così misteriosi e tanto lontani.



RECENSIONE
Un uomo seduto alla poltrona della sua biblioteca giace con il cranio spaccato: il sangue si è rappreso, le mosche imprigionate dalle finestre sbarrate hanno creato una sorta di tappeto sul pavimento e l’odore di morte ha invaso la stanza e impregnato le pareti. Che segreto custodiva Erik Frankel, storico e studioso di storia della seconda guerra mondiale, collezionista di reliquie naziste? Chi l’ha assassinato e perché? Con questa macabra e maleodorante scena e simili quesiti si apre l’ultimo romanzo pubblicato in Italia di Camilla Läckberg, animato dai protagonisti di sempre: Erica Falck, Patrick Hedström e il commissariato di Tanumshede.

Pochi mesi prima del ritrovamento del cadavere, Erica era stata in visita proprio in quella villa. Nella soffitta di casa sua, in un vecchio baule dove la mamma Elsy conservava antichi oggetti personali, aveva ritrovato una camicina da neonato macchiata di sangue, vecchi diari e una medaglia nazista. Intenzionata a scoprire come mai sua madre conservasse una patacca di quel tipo, l’aveva portata a Erik, il quale, però, le aveva fornito solo una risposta vaga. Erik era però stato ucciso poco dopo la visita di Erica, perciò, che mistero si nasconde dietro quel suo ritrovamento?

Nel frattempo, Erica ha quasi dimenticato quella visita. Messo da parte il suo compito di mamma a tempo pieno, vuole approfittare del congedo di paternità concesso al marito Patrick, per un po’ è intenzionata a lasciare la piccola Maja alle cure del papà e dedicarsi alla scrittura del suo romanzo che deve urgentemente consegnare al suo editore. Eppure, con lo sguardo fisso sul cursore lampeggiante del monitor del computer, mentre nervosamente mangiucchia cioccolatini al caramello Dumle non può smettere di pensare a quel baule, agli oggetti lì conservati e all’omicidio di Erik. Così, bando agli indugi, decide di leggere quei diari. Le parole che vi sono scritte sembrano provenire da una persona diversa dalla donna algida e riservata che era sua madre, pertanto Erica comincia a chiedersi cosa fosse accaduto in quegli anni non fosse accaduto tale da condizionare poi condizionato la vita di Elsy e la sua.

Läckberg fa avanzare la storia parallelamente su due binari temporali: da una parte c’è il tempo attuale scandito dalle indagini condotte dalla polizia, dall’altra gli anni della guerra, dal 1943 al 1945, con l’occupazione nazista della Norvegia. A quell’epoca Elsy aveva tredici anni e frequentava un gruppetto di amici scanzonati impegnati in vicendevoli scaramucce amorose, al quale faceva parte anche Erik Frankel. Le loro vite erano state sconquassate dalla tempesta della guerra ma doveva essere successo anche qualcos’altro, qualcosa d’irreparabile che doveva aver segnato per sempre i loro destini. L’unico modo per scoprirlo è parlare con loro, trovare il maggior numero d’informazioni possibili e soprattutto scoprire dove si trovano i restanti diari della mamma. Così, passato e presente s’intrecciano e diventa evidente che per poter ognuno andare avanti con la propria vita bisogna innanzitutto fare i conti col proprio passato.

In pieno spirito svedese non mancano i tocchi d’ironia presenti soprattutto nel racconto delle vicende personali dei personaggi. Adesso Erica e Patrick sono genitori, la loro vita di coppia dev’essere riorganizzata e non sempre è facile gestire le dinamiche della vita quotidiana quando a far da protagonista è una piccolina di un anno che inizia a muovere i primi passi. In linea con le “puntate” precedenti, anche qui il personaggio più spassoso è il capo del distretto di polizia Mellberg, protagonista di scenette leggere e brillanti, che in questo romanzo rivela anche nuovi aspetti del suo carattere divenendo così sempre più caro al lettore.

Il bambino segreto non delude le aspettative degli appassionati dei thriller della Läckberg, anzi le supera. L’intrigo è costruito in modo ottimale, tutte le microstorie che si dispiegano sono abilmente mescolate e incastrate tra di loro. Il ritmo narrativo è incalzante, la storia accelera progressivamente con un andamento a spirale. Le svolte della storia sono imprevedibili ma, una volta messe in atto, appaiono quasi ovvie, e soprattutto, ogni qualvolta che il lettore sente di essere prossimo alla soluzione, lo scenario cambia facendo vacillare le ipotesi realizzate, cosicché, a un certo punto, si ha la sensazione che tutti possano essere colpevoli.

Bisogna aggiungere che, a circa una settantina di pagine dalla fine, diventa chiaro quale sarà il finale dell’intera storia, eppure, il crescendo del libro continua e si aggiunge un certo coinvolgimento emotivo del lettore grazie ad alcune scene particolarmente commoventi che mai ci si aspetterebbe di trovare in un thriller.

Il bambino segretoè, infatti, un’opera ad ampio spettro in cui accanto agli omicidi ci sono riflessioni storiche, si affrontano tematiche importanti e attuali. La rilettura della storia nazista non solo diventa occasione per aprire uno squarcio sulla resistenza norvegese e su come i nazisti agirono nei paesi scandinavi, ma fa sì che si pongano il risalto le forme di discriminazione che purtroppo sono in atto nella società attuale, che si parli dell’ascesa dei movimenti fondamentalisti di destra nel nord Europa. Tutte queste riflessioni non sono divagazioni dell’autrice ma si esprimono tramite dialoghi e comportamenti intrisi di sentimenti forti e contrastanti come vendetta e perdono, rancore e comprensione.

La presenza di molteplici fattori intrecciati tra loro rende questo romanzo adatto agli amanti del thriller, ma apprezzabile anche da coloro che prediligono i romanzi storici o i racconti sentimentali.


SERIE ERICA FALCK
1. (Isprinsessan, 2003) * La principessa di ghiaccio (Marsilio 2010)
2. (Predikanten, 2004) * Il predicatore (Marsilio 2010)
3. (Stenhuggaren, 2005) * Lo scalpellino (Marsilio 2011)
4. (Olycksfågeln, 2006) * L’uccello del malaugurio (Marsilio 2012)
5. (Tyskungen, 2007) * Il bambino segreto (Marsilio 2013)
6. (Sjöjungfrun, 2008) * ancora inedito in italiano
7. (Fyrvaktaren,2009) * ancora inedito in italiano
8. (Änglamakerskan, 2011) * ancora inedito in italiano




L'AUTRICE
Camilla Läckberg (1974) vive a Stoccolma. I suoi libri, ai vertici delle classifiche internazionali, hanno venduto nel mondo oltre dieci milioni di copie e usciranno in 55 paesi. Dopo La principessa di ghiaccio, Il predicatore, Lo scalpellino e L'uccello del malaugurio, Il bambino segreto è il quinto episodio della fortunata serie di Erica Falck e Patrik Hedström, più volte premiata dall'Accademia svedese del poliziesco, ora anche serie televisiva. Da La principessa di ghiaccio, vincitore in Francia del Grand Prix de Littérature Policière, sarà realizzato un film per il grande schermo.
* SITO AUTRICE 































Recensione "I 10 mesi che mi hanno cambiato la vita" di Jordan Sonnenblick

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"Ora vi faccio leggere cos’ho scritto in classe la settimana che Annette si è fatta male. […]
Il titolo era “Se potessi scegliere una parola per descrivere l’universo, quale sarebbe? E perché?”.
Ed ecco la mia risposta:
“Ingiusto.
Ingiusto.
Ingiusto. Ingiusto. Ingiusto.
Come si chiama quel pianeta in cui i cattivi se ne vanno in giro col successo avvolto alle spalle come un mantello da re e ai bambini innocenti a turno capitano cose orribili? Io lo chiamo Terra."
Autore: Jordan Sonnenblick
Titolo: I 10 mesi che mi hanno cambiato la vita
Titolo originale: Drums, Girls & Dangerous Pie
Traduzione di Sara Reggiani
Casa Editrice: Giunti
Collana: Extra
pagine: 192
Prezzo: € 8,90
Data pubblicazione: 3 luglio 2013
Trama: Steven è un ragazzino come tanti altri, ma vive per una grande passione: la batteria. Suona nell'orchestra della scuola e si esercita continuamente. Ha una cotta per la compagna di classe, Renee, la classica ragazzina rubacuori che raramente lo degna di uno sguardo. Intanto, però, condivide ogni cosa con la migliore amica Annette, ragazza intraprendente nonché fenomenale pianista. Le giornate di Steven trascorrerebbero tranquille e serene se non fosse per Jeffrey, il fratellino di cinque anni, che convoglia su di sé tutte le attenzioni della famiglia. Classico dilemma del fratello maggiore che adora quello minore, ma spesso e volentieri vorrebbe strozzarlo per tornare a essere l'unico re incontrastato della casa. Un giorno tutto cambia. Si scopre che Jeffrey ha la leucemia. La famiglia piomba in un incubo senza fine e la vita di Steven viene stravolta...

Dieci mesi per imparare a conoscere te stesso, dieci mesi per scoprire una terribile malattia, dieci mesi per lottare insieme alla famiglia, dieci mesi per provare a farlo con il sorriso sulle labbra.

RECENSIONE
Immaginate che cosa si prova a essere primogenito e ad avere un fratellino più piccolo di otto anni che è la delizia di amici e parenti, più carino, più simpatico, più dolce di voi.
Immaginate che questo fratello vi metta spesso in imbarazzo, ma che i vostri genitori, pur diffidando di voi e dandovi la colpa per qualsiasi cosa gli accada, siano contenti di farvelo stare sempre fra i piedi.
Immaginate che questo fratello vi consideri comunque il suo eroe, un esempio da seguire, una terza figura genitoriale da venerare.
Un rapporto di odio-amore, un classico tra fratelli, vero?
Avere un fratello è un incubo.
Averne uno è già di per sé un incubo, ma averne uno come Jeffrey è una vera e propria maledizione. Non tanto perché è più piccolo di me di otto anni, anche se la cosa di certo non aiuta. Come vi sentireste voi se, dopo essere stati signori del pianeta per otto magnifici anni, veniste declassati a vice? Non è perché è più bello di me, anche se nemmeno questo aiuta. Io ho i capelli marrone topo appiccicati alla testa, porto un paio d'occhiali spessi un centimetro e un apparecchio che mi dà l'aria di uno che ha cercato di inghiottire i rottami di un treno. Mio fratello ha un sorriso da pubblicità, dieci decimi per occhio e boccoli biondi come quelli degli angioletti del poster appeso nell'aula d'arte. Mi odiasse almeno... invece mi adora. È proprio questo il problema: mi segue ovunque, neanche fossi Elvis.
Immaginate cosa accade a Steven, tredici anni – alle soglie dell'adolescenza, dunque, un periodo di per sé difficile, in cui ogni essere umano affronta un cambiamento totale del suo corpo e anche dello stile di vita –, quando il piccolo Jeffrey, il fratellino che ama e odia allo stesso tempo, si ammala di leucemia. Steven dovrà affrontare molti più cambiamenti rispetto ai suoi coetanei.È come se avesse perso entrambi i genitori: la madre perché ha dovuto lasciare il lavoro ed è perennemente a Philadelphia con Jeffrey per la chemioterapia; il padre perché si è rinchiuso in se stesso e nel suo dolore e si deve dedicare al lavoro più del dovuto per poter affrontare le spese mediche del figlioletto. Il tutto in un periodo molto delicato della vita di Steven, un periodo in cui si ha davvero bisogno dell'appoggio dei propri genitori. Un periodo in cui ci si vergogna a far vedere ai coetanei la propria diversità; e anche avere un fratello malato costituisce un elemento di diversità che Steven non vuole rivelare. Si chiude dunque in se stesso e nella musica, arrivando a esercitarsi alla batteria per pomeriggi interi, tralasciando di fare i compiti, tanto non c'è nessuno che badi a lui. Sembra anzi che sia Steven a dover badare al padre, preparando pranzi e cene a microonde.

L'unico altro modo in cui Steven riesce a sfogare la sua frustrazione sono i temi, i compiti in classe che gli assegna la professoressa d'inglese, che diventano una sorta di diario personale. Steven, infatti, non si cura di uscire fuori tema, sicuro com'è che la professoressa Palma non li leggerà.
Comunicavo con l'esterno solo in un modo, ovvero il tema in classe. La Palma aveva istituito questa regola secondo cui se facevi una piega al foglio significava che quello che stavi scrivendo era parecchio personale.
Bene, i miei fogli stavano iniziando a somigliare a un origami, con le pagine tutte piegate e gli angoli che spuntavano da tutte le parti.
Ovviamente la Palma doveva aver capito che qualcosa non andava, perché scrivevo sempre tre o quattro pagine su un argomento che in teoria era anonimissimo e poi le piegavo con cura a una a una.
La malattia di Jeffrey renderà Steven consapevole del forte legame d'affetto che esiste con il proprio fratello, anche quando questo è tanto più piccolo e quando lo si considera un 'impiastro'. Steven è costretto a rendersi conto che ama teneramente quel piccolo 'impiastro' e non vorrebbe mai fare a meno di lui.

I 10 mesi che mi hanno cambiato la vitaè un romanzo di formazione con un protagonista molto più giovane del solito: Steven deve crescere in fretta, mettendo le sue esigenze e i suoi capricci di bambino da parte, dimostrandosi maturo quanto, forse più di un adulto; compiendo scelte che a un altro tredicenne sembrerebbero assurde, delle scelte motivate dall'amore per il piccolo Jeffrey.

Narrato in prima persona dal protagonista con uno stile lineare e ironico che si addice a un tredicenne molto maturo per la sua età, I 10 mesi che mi hanno cambiato la vitaè un romanzo commovente ma anche divertente, adatto a tutti, dai tredici ai centotredici anni, come tutti quelli della collana Extra di Giunti, che dimostra, ancora una volta, di aver meritato il premio Andersen 2012 come miglior collana di narrativa.

L'AUTORE
Jordan Sonnenblick è nato negli Stati Uniti nel 1969 ed è uno degli autori più amati dai teenager del suo Paese. Dopo essere stato insegnante nelle scuole medie, ha cominciato a scrivere nel 2003. I 10 mesi che mi hanno cambiato la vita è il suo primo libro, pubblicato nel 2005 con il titolo Drums, Girls & Dangerous Pie, e ha avuto un successo immediato che lo ha inserito nei The best di quell'anno. Perché Sonnenblick piace tanto ai suoi lettori? Perché sa affrontare temi molto vicini ai ragazzi, alcuni persino forti, con una forza ironica dirompente. Leggendo i suoi libri ci si può trovare a piangere di commozione e, insieme, ridere a crepapelle! Con Giunti ha pubblicato anche L’arte di sparare balle (2011).

Recensione "L'angelo caduto" di Susan Ee

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Cari lettori,
il 25 luglio è uscito, per la casa editrice Fanucci, L’angelo caduto di Susan Ee. L’esordiente Susan Ee ha inizialmente auto-pubblicato L’angelo caduto poi, grazie agli ottimi risultati ottenuti in rete, ha stipulato un contratto con una casa editrice e i diritti cinematografici sono stati opzionati dal regista Sam Raimi. L’angelo caduto è un libro che ha saputo conquistarmi letteralmente e inaspettatamente, un libro che merita di essere letto benché presenti una grossa pecca: la traduzione.

Titolo: L’angelo caduto
Autore: Susan Ee
Titolo originale: Angelfall (Penryn & the End of Days #1)
Traduzione: Marianna Cozzi
Casa editrice: Fanucci
Genere: Urban/fantasy, post-apocalittico, Y/A
Pagine: 320
Prezzo: €12,00 
Data di pubblicazione: 25 luglio 2013
Trama: Un esercito di angeli sterminatori ha attaccato la Terra: dopo poche settimane la violenza dilaga ovunque, insieme alla paura e alla superstizione. Nella Silicon Valley ostaggio delle gang, la diciassettenne Penryn cerca di sopravvivere e proteggere la sua famiglia, fino a quando gli angeli guerrieri non rapiscono sua sorella minore, la più fragile, la più indifesa. L’unico modo per salvarla è affidarsi a un nemico, un angelo che ha perso le ali in combattimento e ora ha bisogno, come Penryn, di raggiungere la roccaforte delle crudeli creature alate a San Francisco. Nel viaggio che li porterà alla città, Penryn e Raf impareranno a contare solo l’una sull’altro, in un deserto in cui regnano la devastazione e il sospetto e in cui il pericolo è dietro ogni angolo.


RECENSIONE
Prima di addentrarci nel mondo creato da Susan Ee un avviso ai lettori interessati: se state cercando un Y/A a tinte soprannaturali dove i nostri due eroi di specie diverse si innamorano, lottano contro i loro sentimenti e contro le diversità che li dividono allora questo libro NON fa per voi. Niente scene da batticuore, niente “Mi ami?”, ”No, non posso amarti”, niente confessioni al chiaro di luna o vibranti e sensuali sensazioni alla vista di lui o di lei. In questo libro non troverete niente di tutto ciò, l’unico elemento che identifica il genere di Susan Ee come un Y/A è l’età della protagonista e, forse, un paio di scene che sanno di 'già visto'. Se invece volete qualcosa di diverso, senza romanticume vario e che potrebbe generare qualche incubo di notte beh, allora questa è la lettura adatta!

Fotogramma da film "The Road" tratto
dal libro di C. McCarthy 
Il mondo in cui si muovono i protagonisti è quello moderno ma con una cruciale differenza: gli angeli sono scesi sulla terra seminando morte e distruzione. Sei settimane sono passate da quando questi esseri, che di angelico hanno solo le ali, hanno dichiarato guerra agli uomini, sterminando la popolazione, radendo al suolo luoghi di culto e trasformando le città in cumuli di macerie dove la popolazione sopravvissuta vive annichilita e oppressa dal terrore. 

Penryn è una ragazza di 17 anni che si porta sulle spalle un fardello molto pesante, una madre schizofrenica e una sorella di sette anni disabile. Il padre è scomparso da alcuni anni e Penryn ha dovuto badare alla famiglia, peso che diventa ancora più frustrante e impegnativo adesso che la semplice sopravvivenza è l’obiettivo principale. Durante la fuga dalla città, Penryn e la sua famiglia sono testimoni di un attacco da parte di un gruppo di angeli nei confronti di un loro simile. Solo l’intervento della ragazza permetterà a Raf, l’angelo caduto, di salvarsi.

La ritorsione però non si fa aspettare e uno degli angeli carnefici rapisce la sorellina di Penryn che si troverà costretta a cambiare le sue priorità e i suoi piani. Ora il suo obiettivo non è solo sopravvivere, ma trovare la sorella e portarla via da quell’incubo sana e salva. Deciderà di soccorrere l’angelo caduto con l’unico scopo di torturarlo e farsi dire dove tengono la sorella ma, come capita di solito in queste situazioni, i suoi piani non vanno così lisci. L’assoluta indifferenza da parte dell’angelo ai suoi tentativi di tortura e l’attacco da parte di alcuni saccheggiatori obbligheranno i due a coprirsi, loro malgrado, le spalle a vicenda e a giungere ad una specie di accordo: l’angelo aiuterà Penryn ad arrivare alla Roccaforte, centro di comando della sua gente, dove tengono la sorella e, la ragazza, restituirà a Raf le sue ali di modo che, giunti alla Roccaforte, potranno essere riattaccate.

Questo sarà l’inizio di un viaggio che trascinerà il lettore in un vero inferno post-apocalittico più simile alle atmosfere malate di The Road di McCarthy che a qualsiasi altro Y/A distopico letto finora.

Un viaggio allucinante che diventerà più disturbante passo dopo passo raggiungendo il suo apice sul finale del libro. Una lettura intrigante e mozzafiato resa ancora più incisiva dalla scelta dell’autrice di raccontare l’intera storia solo attraverso il punto di vista della protagonista Penryn. Il lettore si ritrova a vivere la situazione e a comprendere il mondo post-apocalittico in cui si muove Penryn solo attraverso il suo vissuto. Una scelta azzardata, che spesso genera una sorta di confusione nel lettore e, a dirla tutta, anche nella protagonista, che vorrebbe capire maggiormente questo nuovo mondo e assetto, ma che paga perché, chi legge, non può fare a meno di sentirsi coinvolto nella narrazione con il desiderio, frustrante a volte, di saperne di più.

Molti sono gli elementi affascinanti di questa storia, in primis la capacità dell’autrice di creare una vera e propria nuova civiltà, con forti rimandi biblici, che pensa e agisce in maniera diversa dalla nostra (apparentemente). Raffe (tradotto in italiano con Raf), per gran parte della narrazione rappresenta un personaggio oscuro, strano, diverso, sebbene molti dei suoi atteggiamenti siano molto umani. È un personaggio che durante il corso della storia si “sbottona” poco e, solo attraverso alcuni dialoghi, il lettore ha la possibilità, come la protagonista, di capire qualcosa in più degli angeli. Civiltà che per molti versi è uno specchio della nostra: trame politiche, omertà, silenzi e pregiudizi che noi stessi vediamo ogni giorno della nostra vita reale. Ed è proprio su questi elementi che si gioca la forza del romanzo che riesce a portare avanti delle riflessioni molto interessanti sull’orrore della guerra, la faccia del nemico, le follie scientifiche/tecnologiche ma anche il desiderio di rivalsa e la difficoltà di scindere le atrocità commesse da un popolo, dal singolo individuo che ci sta di fronte. 

Penryn inizialmente odia Raf in quanto angelo. Ne può rimanere incantata per la bellezza ma non può fare a meno di vedere in lui il nemico che ha distrutto il suo mondo eppure, durante il cammino, la vicinanza forzata mostrerà un altro volto delle cose. La civiltà degli angeli è spietata, crudele, da conquistatore domina sugli umani schiavizzandoli e Penryn vorrebbe la loro distruzione e a ben ragione ma, non riesce a pensare la stessa cosa di Raffe, non perché si è innamorata di lui ma perché ha cominciato a conoscerlo, ha letto la sofferenza nei suoi occhi e ha condiviso con lui molti orrori. Stessa cosa accade all’angelo caduto che non può fare a meno di provare rispetto per la forza, la lealtà di Penryn che, in diverse occasioni, è venuta in suo aiuto.

Ogni elemento della storia è perfettamente calibrato e per il lettore è una lenta ed inesorabile discesa verso luoghi agghiaccianti e figure da incubo che sbucano come in un Horror movie. Il lettore vive nella perenne sensazione di essere braccato e, ogni orrore che i due protagonisti incontrano durante il loro cammino, non fa che aumentare questa sensazione claustrofobica che sfocia nelle spettacolari pagine finali che aprono ad uno scenario ancora più inquietante e disturbante. Non meno importanti sono le diverse figure secondarie che costellano la storia rimarcando l’alienità della situazione in cui si trovano. Se io stessi guardando un film, la madre meriterebbe un applauso a scena aperta, raramente mi è capitato di incontrare un personaggio così forte, incisivo e particolare come lei.

Fotogramma dal film "the road" 
Tutto di questo libro mi spinge all’attesa della pubblicazione del secondo, che dovrebbe avvenire negli Stati Uniti a novembre. Devo però avvertirvi che la versione italiana presenta un’unica e grossa pecca (esclusa la copertina che non ci azzecca nulla): la traduzione. Generalmente non mi permetto mai di parlare della traduzione perché leggendo solo in italiano non ritengo di avere le competenze per parlarne, ma in questo caso farò un’eccezione.

Dall’inizio della lettura ho spesso trovato passaggi poco chiari, frasi apparentemente lasciate a metà, azioni compiute da un soggetto maschile che vengono invece attribuite ad un soggetto femminile. Errori nella consecutio temporum e via di seguito. Quando mi trovo di fronte a situazioni del genere preferisco sempre pensare che le problematiche siano dovute alla traduzione fin troppo letterale del testo, piuttosto che mettere in dubbio a priori la capacità delle traduttrici.

Visti i tempi di crisi che corrono e la consapevolezza che il mondo di chi traduce è fatto da compensi irrisori, dalle tempistiche troppe strette e molto spesso dalla totale mancanza di un editing sulla traduzione, un lavoro che permetterebbe di “aggiustare” molte delle problematiche (per chi fosse interessato ecco due nostri interessanti articoli dedicati al mondo dei traduttori qui e qui), mi aspetto degli errori e come per i refusi, preferisco non farci troppo caso ma, se la traduzione inficia la lettura del libro allora le cose, a mio parere, devo essere dette. In primis per rispetto di chi, leggendo questa recensione, è incuriosito dal libro, ma anche per ricordare alla casa editrice che forse, una politica al risparmio sulle traduzioni, a lungo andare diventa fortemente controproducente e sempre più lettori saranno spinti a non acquistare libri di tale casa editrice o a leggere direttamente in inglese (persino io, che in inglese non sono una cima, durante la lettura de L’angelo caduto ho pensato: "Adesso lo mollo e tento di leggerlo in lingua perché così non posso andare avanti!").

Sottolineo, il problema non è per casuali errori durante la lettura, ma per frasi come questa:

“The sun glints off something shiny on the privacy wall the men are building around the latrine.”

Che in Italiano viene tradotta con:

"Il sole brilla da qualcosa di scintillante sul muro segreto che gli uomini stanno costruendo intorno alla latrina",*

vi assicuro che l’ho letta almeno 4 volte cercando di capire cosa significasse.

O ancora:

"Raffe ducks his head toward me, flashing a smile as though I had just said something funny. He bends his head close enough to mine that I think he’s going to kiss me. Instead, he simply touches his forehead to mine.
To the men walking by, Raffe would look like a man being affectionate. But they can’t see his eyes. Despite the smile, Raffe’s expression is one of pain..."
**
Nella scena precedente a questa frase, l'angelo caduto ha appena scorto tre guerrieri che potrebbero riconoscerlo e viene tradotta con:

"Raf china la testa verso di me sfoggiando un sorriso come se avessi appena detto qualcosa di divertente. Mi si avvicina talmente tanto che credo mi stia per baciare. Invece mi sfiora semplicemente la fronte con la sua. Pare affezionato a quegli uomini guerrieri. Ma loro non riescono a vederlo negli occhi. Nonostante il sorriso, dall'espressione di Raf traspare dolore..." 

Oltre a questi, ci sono altri elementi, di cui mi sono accorta proprio con il confronto con l’originale, che hanno fatto emergere le problematiche della traduzione e che mi hanno lasciata perplessa e in alcuni casi infastidita. Il cambiamento di alcuni dei nomi, scelta che francamente non ho capito, ma soprattutto la superficialità di traduzione in alcuni passaggi fondamentali per la comprensione della storia. Come ho detto in precedenza il lettore conosce il mondo e gli angeli solo attraverso gli occhi di Penryn.

Fotogramma tratto dal film
"silent hill"
Quindi le informazioni ottenute sono poche perché l’autrice ama giocare con ciò che non viene detto o non vuole ancora far sapere. Se a questa scelta narrativa si aggiunge una scelta dei termini non omogenea, il lettore Italiano fa veramente difficoltà a muoversi. Ad esempio, durante la narrazione, Susan Ee usa il termine Watchersquando Raffe deve raccontare una leggenda legata agli angeli biblici, per identificare quegli angeli venuti sulla terra per osservare gli uomini, nella traduzione essi diventano i Guardiani. Questi personaggi sono particolarmente importanti perché le conseguenze si ripercuotono anche sulla storia del presente e sul mondo in cui viene giudicato Raffe dai suoi pari. Il termine Watchers riappare circa un centinaio di pagine dopo, ma il termine viene tradotto con Vigilanti aumentando così la confusione sulla lettura piuttosto che diminuirla. Non ho letto tutto il libro in inglese ma mi sono soffermata solo su alcuni passaggi per trovare conferma ai miei dubbi. A questo punto, però, mi chiedo come sia stato tradotto tutto il resto!

Consigliarvi questo libro? Assolutamente si, è un libro che vale la pena di avere nella propria libreria, anche se potrebbero passare ere geologiche prima che il secondo volume venga pubblicato in Italia ma, se posso, vi consiglio di leggerlo in lingua, sicuramente lo potrete apprezzare di più.

L’ AUTRICE
Susan Ee era un avvocato, prima del successo raggiunto con questo esordio ma preferisce di gran lunga essere una scrittrice perché le permette di lasciare a briglia sciolta la sua fantasia scatenata. I diritti di traduzione dell'Angelo caduto sono già stati venduti in Germania, Polonia, Cina, Grecia, Ungheria, Russia, Thailandia e Turchia. Sito Autrice


* "Il sole fa risplendere qualcosa di scintillante che è sul muro di protezione che gli uomini stanno costruendo intorno alla latrina.

** "Raffe china il capo verso di me facendo lampeggiare un sorriso come se avessi appena detto qualcosa di divertente. Avvicina la testa alla mia tanto da farmi credere che stia per baciarmi. Invece mi tocca semplicemente la fronte con la sua.
A chi passa, Raffe potrebbe sembrare un uomo affettuoso. Ma loro non possono vedere i suoi occhi. Malgrado il sorriso, l'espressione di Raffe è di dolore...

Traduttori si è

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Mi sono laureata in Lettere all’Università di Helsinki presso il Dipartimento di Lingue moderne e lavoro da circa due anni come traduttrice editoriale dal finlandese. Dedico la maggior parte del mio tempo (prevalentemente notturno) al servizio della traduzione benché essa (ahimè) non costituisca la mia principale fonte di reddito. Credo quindi di rientrare in quella categoria solitamente definita traduttori letterari attivi.

Il finlandese, lingua che in finnico si indica come suomi, appartiene al ceppo ugro-finnico e ha una struttura grammaticale complessa; volendo appena accennare e delineare per grandi linee alcune delle sue caratteristiche è una lingua agglutinante, che ‘aggiunge’ dei suffissi al tema per esprimere i rapporti grammaticali tra le parole e che dispone di 15 casi di declinazioneIl suo alfabeto vede un’alta percentuale di vocali in quanto alle nostre a,e,i,o,u, si aggiungono y,ö e ä il cui uso è regolato dall’armonia vocalicaEsistono inoltre due tipologie di alternanza consonantica, temi vocalici e consonantici con due gradi fonici, forte e debole. 

Aspetti di questa lingua, solitamente considerati “facili” per l’utente straniero sono la semplicità della lettura, in quanto essendovi un accento fisso sulla prima sillaba si legge esattamente come si scrive, l’assenza di maschile e femminile, di tempo futuro e di congiuntivo. Il finlandese inoltre non presenta il verbo avere ma si utilizza una struttura grammaticale che sta a significare che qualcosa è posseduto (e non che si ha qualcosa) Ad esempio: Minulla on päiväkirja - Io ho un diario. Sempre restando nel campo dei verbi, esistono delle forme verbali particolari che possono porre delle difficoltà di traduzione come i verbi frequentativi, indicanti come un’azione sia svolta ripetutamente e con frequenza in un certo intervallo di tempo, o da quelli assenti in italiano da rendere con delle locuzioni (ad esempio marjastaa, in italiano cogliere bacche).

Tralasciando le seppur presenti differenze dialettali e i vari slang, è da notare che il finlandese parlato è molto diverso da quello scritto. Per dire Dove vai? nella lingua scritta si dirà Mihin sinä menet?, nella lingua parlata diverrà Mihin sä meet? Nei testi scritti l’uso delle forme del parlato è solitamente relegato ai dialoghi e la sua presenza ovviamente pone un problema traduttologico spinoso che va esaminato volta per volta e risolto diversamente di caso in caso.

Le frasi finlandesi sono solitamente brevi e ciò aiuta nella comprensione, ma talvolta può rendere difficile una resa scorrevole del testo in italiano.

Risulterebbe impossibile e inadeguato in questa sede riepilogare tutte le caratteristiche del finnico e le sue differenze con l’italiano, ma credo che già da questi pochissimi elementi si possa intuire come siano due lingue molto diverse tra loro, regolate non solo da due apparati grammaticali molto lontani, ma anche da vocabolari molto diversi. Per potersi cimentare nella traduzione quindi bisogna non solo avere un’ottima padronanza linguistica, sia del finlandese che (e a tratti anche soprattutto) dell’italiano, ma in particolar modo nella fase iniziale, è fondamentale munirsi di alta concentrazione e tanta pazienza.

Ormai un po’ tutti, chi più chi meno, conoscono i drammi del traduttore, e sanno quanto sia sottostimato e sottopagato questo lavoro, soprattutto in Italia. Perciò proverò a lasciar da parte i miei sfoghi di traduttrice (economicamente) insoddisfatta e proverò piuttosto a raccontarvi la mia esperienza personale.

Quando mi chiedono «Che lavoro fai?», io rispondo «Sono una traduttrice».
E badate bene, uso il verbo essere e non fare per una ragione. Il traduttore letterario non lo si fa, ma lo si è. Perché è un lavoro che verosimilmente non aiuterà a pagare le bollette né l’affitto, eppure non lo si può abbandonare perché è parte di se stessi. Ed è questa commistione tra ciò che si fa con ciò che si è a far sì che si sia pronti a sacrificare, in maniera quasi automatica, spontanea, naturale, praticamente tutto.

Traducendo dal finlandese mi capita spesso di sentire le persone affermare che ci sarà certamente parecchio lavoro dato che si tratta di un abbinamento linguistico particolare e inusuale. In realtà non è proprio così. Il numero delle traduzioni dal finlandese in italiano è ridotto e senz’altro minore rispetto a quello delle traduzioni da altre lingue, anche nordiche. Il mercato editoriale italiano tende a preferire titoli di altra provenienza e ciò rende la concorrenza elevata.

A mio avviso, dunque, una delle chiavi del successo è studiare, specializzarsi, divenire i più esperti possibile ed essere preparati al fatto che buona parte del lavoro che si svolgerà sarà ‘dietro le quinte’. In parte esso è costituito dalle letture che vengono affidate dalle case editrici, a ciò si aggiunge un incessante e autonomo aggiornamento sulle novità editoriali, sugli scrittori emergenti, sui nuovi best-seller. Questo è il lavoro “vero”, da portare avanti con costanza quotidiana. E al di là delle tendenze di mercato, credo sia importante provare a seguire sempre il proprio istinto e i propri gusti nella scelta dei libri da proporre; un romanzo e un autore devono assolutamente piacere altrimenti è difficile crederci e presentarli agli altri.

Vien da sé che la traduzione del libro diventi la punta del campanile che luccica all’orizzonte, alla quale, sempre e comunque, mirare.


Ho scelto di studiare finlandese all’incirca nove anni fa, nella cucina di casa dei miei genitori. Mi sono trasferita in Finlandia nel 2004 e Helsinki è divenuta la mia città. Nelle biblioteche dell’università (e ai tavoli della mensa e sui gradini di Piazza del Senato) ho scritto le mie prime traduzioni; quando mi sono laureata nel 2010 ho creduto di essere arrivata a una meta, ma poi mi sono accorta che la strada davanti a me era ancora molto lunga e piena di sorprese. Adesso svolgo un lavoro di nicchia, poco considerato da una società volta alla produttività, ma che porto avanti con orgoglio e amore, grata per tutti coloro che ho incontrato lungo mio cammino.

Per visionare quali siano i testi della letteratura finlandese e finno svedese tradotti in italiano vi rimando al sito La Finlandia in Italia, dove troverete un repertorio aggiornato.


Il mio ultimo lavoro pubblicato è La promessa del plenilunio di Riikka Pulkkinen pubblicato da Garzanti lo scorso marzo 2013.





Recensione “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery

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Autore: Muriel Barbery
Titolo: L’eleganza del riccio
Titolo originale: L’élégance du hérisson
Traduzione: Emanuelle Caillat e Cinzia Poli
Casa editrice: Edizioni E/O
Pagine: 319
Prezzo: €18.00
Data di pubblicazione: 2008
Trama: Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell’alta borghesia. Dalla sua guardiola assiste allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all’idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Invece, all’insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta, che adora l’arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Poi c’è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita il giorno del suo tredicesimo compleanno. Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre. Due personaggi in incognito, quindi, diversi eppure accomunati dallo sguardo ironicamente disincantato, che ignari l’uno dell’impostura dell’altro, si incontreranno solo grazie all’arrivo di monsieur Ozu, un ricco giapponese, il solo che saprà smascherare Renée e il suo antico, doloroso segreto.

RECENSIONE
Pubblicato nel 2007, da Muriel Barbery, è stato il caso letterario per eccellenza per il numero di copie vendute e senza il supporto promozionale, solitamente messo in atto dalle case editrici di prestigio.  L’eleganza del riccioè un titolo oramai immancabile nelle nostre librerie e che presenta, tra i lettori, pareri contrastanti.

Protagonista del romanzo è la portinaia di un palazzo privato, abitato dall’alta borghesia francese e che si impegna fortemente a rappresentare il cliché della custode sciatta e ignorante. Renée è il suo nome e il suo aspetto esteriore, volutamente grottesco, rappresenta gli aculei del riccio, mentre la sua interiorità si rivela nell’animaletto stesso, delicato, sensibile e di profonda cultura. La sua è una maschera, di quelle che tutti noi portiamo senza rendercene conto. Del suo vero volto ho apprezzato l’ironia fine e sottile con cui descrive gli abitanti del condominio e diverse volte mi sono scoperta a sorridere, con piacere, per queste sue considerazioni che smascherano la pomposità e la superficialità dei residenti, pienamente convinti di essere l’esatto contrario di quello che in realtà sono.

Alcuni lettori ritengono le pagine del testo un continuo sfoggio di erudizione da parte dell’autrice, altri, tra i quali mi sento di iscrivermi, hanno intravisto, nella voracità culturale e intellettuale di Renée, la necessità di mantenere in vita quella delicatezza interiore fortemente compromessa da un fatto privato estremamente grave.

Alla portinaia si alternano le riflessioni lucidissime e complesse di Paloma, una bambina prodigio appartenente alla borghesia canzonata da Renée, sulla società ipocrita e cieca. Come la protagonista, nasconde con abilità la sua straordinaria intelligenza. Di Paloma posso dire che molto mi hanno colpito i suoi diari sul movimento del mondo i quali mi hanno portato a ricordare l’assoluta mancanza di staticità della vita in generale e nei suoi più infimi particolari. Ho osservato, in queste pagine, quella continua metamorfosi studiata e seguita dalle filosofie orientali e non percettibili dall’occhio occidentale, ad eccezione di rari casi tra cui mi sento di citare Eraclito.

La donna di mezza età, fintamente ignorante, e la bambina prodigio impersonano, metaforicamente, l’eleganza del riccio, intuita solo da Ozu, un distinto e ricco signore giapponese, veramente sensibile che fungerà da anello di congiunzione fra due mondi contrapposti fino a dischiudere gli aculei delle interessate che scopriranno, a loro volta, il prossimo e la bellezza stessa della vita, suprema forma d’arte.

L’intreccio procede con un andamento costante ed equilibrato tra impegnative considerazioni filosofiche e lampi di ironia rendendo, in questo modo, il testo di gradevolissima lettura. Ogni pagina è stesa con cura, semplicità e rigore. Adeguato anche il finale poiché induce, a mio parere, il lettore a riflettere su quali siano le vere priorità da rispettare durante il corso delle nostre esistenze. Tuttavia, malgrado avessi compreso già a metà romanzo l’inevitabile chiusura, dentro di me ho desiderato sbagliarmi per l’affezione che ho provato nei confronti di Renèe, Paloma e Ozu.

L'AUTRICE
Muriel Barbery (Casablanca, 28 maggio 1969) è una scrittrice francese. Allieva dell'École Normale Supérieure è stata docente di filosofia presso un Institut universitaire de formation des maîtres (Istituto universitario di formazione degli insegnanti). Il suo secondo romanzo L’Élégance du hérisson (L'eleganza del riccio) è stato una delle sorprese editoriali del 2006 in Francia: ha infatti avuto ben 50 ristampe ed ha venduto oltre 2 milioni di copie, occupando il primo posto nella classifica delle vendite per trenta settimane. Al 2011, il romanzo ha venduto oltre 5 milioni di copie in tutto il mondo. L'edizione italiana, forte di oltre 1.700.000 copie vendute grazie al passaparola dei lettori, ha raggiunto, nel febbraio 2008, il primo posto nella classifica generale dei libri. A seguito di questo successo, nel 2008 è stato ripubblicato in Italia il suo primo romanzo Une gourmandise (Estasi Culinarie), uscito in Francia nel 2000. 
SITO AUTRICE

Recensione "Reached. L'arrivo" di Ally Condie

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Autore: Ally Condie
Titolo: Reached. L'arrivo
Traduzione di Pamela Ruffo
Casa Editrice: Fazi
Collana: Lain
Pagine: 448
Prezzo: € 14,90 rilegato € 7,99 e-book
Data pubblicazione: 11 luglio 2013
Trama: Cassia, Ky e Xander sono lontani, separati da migliaia di chilometri eppure uniti dalla stessa missione: lavorare per l'Insorgenza, l'enigmatica organizzazione che vuole far capitolare la Società. Dopo anni di lavoro sotterraneo, l'Insorgenza è finalmente pronta a lanciare il suo attacco. Un virus letale viene rilasciato nei corsi d'acqua e in breve tempo la popolazione viene decimata. Se la Società non ha le risorse per curare tutti, l'Insorgenza sì. Dimostrando che la Società non è così affidabile e organizzata come vuole apparire, la forza ribelle ne distrugge quindi il caposaldo, l'idea di perfezione. Ma quando il virus muta e nessuno, nemmeno l'Insorgenza, sa come curarla, serviranno misure straordinarie per salvaguardare il mondo in pericolo. I tre ragazzi si riuniranno per l'ultima volta.


RECENSIONE
Nel precedente capitolo abbiamo lasciato Ky, Cassia e Indie che si erano appena 'arruolati' fra le fila dell'Insorgenza, nonostante la riluttanza del ragazzo, che lo fa solo per stare con la donna che ama. Nonostante tutto, però, Cassie viene mandata a Central, perché l'Insorgenza vuole sfruttare le sue doti di catalogatrice.
«Sei una catalogatrice. Una brava, peraltro, secondo i dati della Società. Ora che credono che nel campo di lavoro ti sia riabilitata, saranno felici di averti di nuovo, e questo può essere d’aiuto all’Insorgenza». Poi mi ha spiegato a che tipo di catalogazione prestare attenzione e cosa avrei dovuto fare una volta arrivato il momento.
Ky e Indie, invece, vengono mandati nella provincia di Camas, dove sono addestrati come piloti per portare il vaccino contro la Piaga una volta che l'epidemia si manifesterà. La malattia è sempre stata presente, ma la Società l'ha tenuta sotto controllo. Ora, invece, il virus è stato liberato nell'acqua, provocando una pandemia a cui la Società non sa far fronte, al contrario dell'Insorgenza, che ha continuato a produrre la cura e sta aspettando di poterla utilizzare per sottrarre potere alla Società.

Xander, da sempre membro clandestino dell'Insorgenza, è un funzionario della Società e un fisico, addetto al vaccino dei piccoli. Quando nascono, il giovane somministra loro anche un vaccino che li rende immuni alla pillola rossa, quella che la Società utilizza per far dimenticare le faccende sgradevoli. Sia Ky che Xander ne sono immuni, essendo stati scelti dall'Insorgenza fin dalla nascita. Cassia, invece, scoprirà di non esserlo, sebbene tenti con tutte le sue forze – e con l'aiuto dei ricordi del nonno – di non dimenticare ciò che ha fatto prima che la Società la costringa a ingerirne una. Anche Xander si trova a Camas come Ky, ma quando scoppia l'epidemia della Piaga resta separato dagli altri all'interno del Centro Medico a causa della quarantena.

Il Pilota a capo dell'Insorgenza, dunque, sale al potere ma tranquillizza i cittadini che non devono temere nulla: l'Insorgenza vuole estendere soltanto i diritti di cittadinanza alle aberrazioni e alle anomalie.
Quando il Pilota ci parla, la sua voce è perfetta, come la prima volta che l’abbiamo sentita dai portali e dopo averlo visto è difficile distogliere lo sguardo da quegli occhi blu e dalla convinzione che emanano. «L’Insorgenza», dice, «è per tutti», e capisco cosa intende.
Per il resto, ben poco sembra essere cambiato, visto che l’Insorgenza in un primo momento continuerà a utilizzare i mezzi, le provviste e le routine della Società che ha sostituito. Inoltre il Pilota si troverà subito a dover affrontare una crisi a causa del virus della Piaga, che ha subìto una mutazione che nessuno riesce a curare, né la Società né l'Insorgenza e, di nuovo, nessuno riesce a comprendere cosa sia accaduto e di chi ci si possa fidare.
So che la mia famiglia sta bene. Ho parlato con loro spesso, attraverso il portale. Bram ha preso la Piaga all’inizio ma ora sta bene, proprio come ha promesso l’Insorgenza, e i miei genitori sono stati messi in quarantena e vaccinati. Ma non posso chiedere a Bram come è stato avere la malattia, siamo ancora guardinghi; sorridiamo e non ci lasciamo sfuggire una parola di troppo, come quando la Società era al potere. Non siamo sicuri di chi sia in ascolto ora.
Voglio parlare senza che 'nessuno' senta.
Nonostante la sua millantata liberalità, dunque, anche l'Insorgenza svilupperà un clima di diffidenza verso chiunque, come accade sempre quando ci si trova davanti a una società pseudo-dittatoriale. Il Pilota è disposto a qualsiasi cosa pur di trovare una cura alla mutazione della Piaga.

In questo clima, Cassia sente l'esigenza di esprimere l'arte che è in lei. Nella Società erano stati salvati solo cento esemplari per ogni settore dell'arte e, grazie al nonno, la ragazza ha scoperto i versi di Tennyson e di Thomas che erano stati banditi. Nell'Intaglio, poi, aveva recuperato nelle grotte dei Contadini, un buon numero di poesie, fra cui quelle di Emily Dickinson. Ora le baratta con gli Archivisti per avere l'opportunità di mettersi in contatto con la sua famiglia, col suo promesso, Xander, e soprattutto con Ky.

Ma quando davanti al Museo una donna le chiede un aiuto per alleviare le sofferenze del figlio, colpito dalla Piaga, Cassia la invita a cantare, non una delle cento canzoni conservate dalla Società – che sarebbero impossibili da intonare per una voce umana –, ma una musica di sua composizione che le scaturirà dal cuore, a cui la giovane dona un testo. Scrivendo brani della poesia che stava componendo nella sua mente per Ky, ricordi botanici di sua madre e assemblando il tutto, Cassia regala alla donna versi carichi di ricordi che stimolano l’immaginazione e donano sollievo. Non c'è posto per quei versi dagli Archivisti, che considerano di valore solo versi antecedenti alla Società e certificati. Neanche se riportasse su carta le poesie che ha imparato a memoria Cassia potrebbe sperare di barattarle. Decide così di allestire una mostra, dove chiunque crei qualcosa grazie all’ingegno possa esporre ciò che sa fare.
Non sono l’unica a scrivere.
Non sono l’unica a creare.
La Società ci ha derubati di così tanto, ma sentiamo ancora rumore di musica, stralci di poesia; vediamo ancora accenni d’arte nel mondo tutt’intorno a noi. Non sono mai riusciti a toglierci quello. L’abbiamo assimilato, quasi senza saperlo a volte, e molti ancora cercano un modo di esprimerlo.
Nuovamente mi rendo conto che non c’è bisogno di barattare la nostra arte, possiamo regalarla, condividerla. Qualcuno può portare una poesia, qualcun altro un disegno.
Anche se non prendessimo nulla, tutti avremmo di più, dopo aver guardato qualcosa di stupendo o ascoltato qualcosa di vero.
La brezza fa ballare le piume verdi dell’uccellino. «È troppo bello», dico, «per tenerlo tutto per me».
«È quello che ho provato io per la tua poesia», dice emozionata. «Volevo mostrarla a tutti».
«E se trovassimo un modo per farlo?», esclamo. «Se riuscissimo a incontrarci e ognuno portasse ciò che ha creato?».
Dove?
Timidamente e lentamente, ecco una sorta di Rinascimento delle arti, il primo vero sprazzo di libertà. Ma non è grazie all'Insorgenza che si manifesta. Il nuovo governo, anzi, prende a guardare Cassia e la sua opera con una certa diffidenza.

I capitoli si alternano incalzanti, raccontati dalle voci di Xander, Cassia e Ky. Lo stile monocorde con cui esprimono le loro esperienze e i loro ricordi è ampiamente giustificato– come già detto nella precedente recensione di Crossed. La fugadall'educazione ricevuta da giovani all'interno di una società repressiva e appiattita. La scelta di Fazi di ricorrere a un diverso traduttore rispetto ai due precedenti episodi è discutibile, dal momento che si colgono alcune piccole discrepanze sulla traduzione di termini fondamentali ai fini della trama. Anche la confusione generata dalla parola 'Pilota', che assume diverso significato a seconda che sia espresso con la lettera maiuscola o minuscola, si sarebbe forse dovuta evitare, sebbene, in realtà, la Condie vuole arrivare a dimostrare che non esiste un solo 'Pilota', ma che ciascuno sceglie il suo seguendo liberamente il percorso che vuole dare alla sua vita.

Si conclude così la trilogia di Matched, una serie tradotta in 25 paesi, per oltre un milione di copie vendute, che nel 2014 potremo gustarci al cinema. Disney Pictures ha stanziato un budget da record per la sua prima pellicola distopica e ha affidato la regia del film a David Slade (The Twilight Saga – Eclipse).


La serie di Matched
 Matched. La scelta (Fazi, maggio 2011) 
 Crossed. La fuga (Fazi, novembre 2012) 
 Reached. L'arrivo (Fazi, luglio 2013)



 L'AUTRICE
Ally Condie ha insegnato inglese in un liceo dello Utah prima di dedicarsi alla scrittura. Il suo primo romanzo, Matched – La scelta, è stato tradotto in 25 paesi e ha scalato in breve tempo le classifiche mondiali.

Perché i paranormal romance dovrebbero ispirarsi a InuYasha

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Recentemente, a causa dell’ennesimo suicidio volontario del mio notebook (di cui piango ancora la perdita, sebbene non lo meriti), mi sono decisa a guardare sistematicamente gli episodi dell’anime di InuYasha grazie al mio fedele iPad. È stato amore, e quest’anime è riuscito a debellare la mia temporanea fissazione per la serie di Amelia Peabody di Elizabeth Peters, contribuendo però a crearne un’altra. Stamattina, nel momento in cui ho cominciato a scrivere, ho visto il finale della terza stagione, anche se a differenza delle serie tv americane InuYasha non è affetto dalla sindrome cliffhanger; guardando gli episodi con continuità non ci si accorge del cambio da una stagione all’altra.

Dopo la visione delle prime tre stagioni di tre cose ero del tutto certa, come disse Bella pensando a Edward in Twilight: Sesshomaru è un portatore sano di figaggine quasi insostenibile (e quando è con Rin dalla tenerezza si sciolgono anche i ghiacci polari); una risata vi seppellirà quando Koga chiama InuYasha “botolo” (ringhioso);è impossibile sopravvivere fino alla settima stagionesolo per vedere il tanto atteso bacio tra Kagome e InuYasha e anche quello tra Sango e il monaco pervertito (con una certa predilezione per i fondoschiena) Miroku. Rumiko Takahashi, la creatrice del manga a cui è ispirato, ha manifestato chiaramente una predilezione per il sadismo a distanza, acuendo al massimo grado la frustrazione dei lettori per launresolved sexual tension dei personaggi. In realtà sono consapevole di mentire. Una delle matrici del successo dell’anime tra il pubblico femminile, forse, è proprio dovuto a questo: la “voglia”, il “desiderio” non appagato spinge la spettatrice a saziarsi con sguardo bramoso anche dei più brevi momenti d’intimità tra i propri personaggi preferiti, sapendo di non poterne avere di più. Ogni rossore, ogni carezza e abbraccio sono centellinati.

Sebbene sia classificato come shonen, quindi destinato a un pubblico prettamente maschile, l’anime è caratterizzato da alcuni elementi che riescono a stuzzicare la curiosità anche del pubblico più romantico.L’amore c’è, le schermaglie pure, anche se ben mimetizzate in una storia (prevalentemente ambientata nell’epoca Sengoku) che riesce a sintetizzare azione, avventura, fantasy e comedy. Il risultato è un’animazione che crea letteralmente una dipendenza ossessiva delle più feroci, una storia immersiva al massimo grado che, almeno fino all’esordio della quarta serie, mantiene un altissimo livello narrativo, senza cali d’attenzione (a parte la longevità del super villain Naraku). Gli episodi filler sono ben dosati, in particolare quelli ambientati nell’epoca moderna si segnalano per l’andamento rapido, scherzoso, volto alla risata del pubblico e all’approfondimento più mirato della sfera affettiva riguardante Kagome e InuYasha.

La domanda rimasta in sospeso è quindi: che cosa le autrici di paranormal romance e urban fantasy americano dovrebbero imparare (la maggior parte, almeno) da InuYasha?

1. Mantenere la tensione sessuale tra i personaggi il più a lungo possibile, ma nella maniera più realistica possibile. I comportamenti dei protagonisti dovrebbero essere coerenti, e l’innamoramento più graduale, con avvenimenti narrati che lo giustifichino. Il colpo di fulmine è inflazionato. L’attrazione fisica non è amore, e lasciar macerare nell’attesa le lettrici farà aumentare esponenzialmente la curiosità verso il resto della storia. La velocità di lettura è direttamente proporzionale alla frustrazione per la risoluzione del conflitto amoroso.

2. Il profilo dei personaggi deve essere tridimensionale, e non abbozzato solo in superficie come se i protagonisti fossero dei manichini da esporre soltanto frontalmente. Nei paranormal il focus è (giustamente) sulla coppia principale. Questa scelta, però, non deve penalizzare la caratterizzazione dei personaggi secondari, che spesso non sono altro che piccole macchiette aggiunte alla storia come ornamento e riempitivo. Nell’anime compare un demone particolarmente interessante: il fratello maggiore di InuYasha, Sesshomaru. La sua è una storyline minore – un rivoletto di poca portata – che però in pochi minuti di presenza sa calamitare l’attenzione. Pochi tratti decisi scolpiscono la sua figura, e il “non detto” risulta molto più intrigante di ogni descrizione che si potrebbe fornire in merito. Nel suo caso, non essendo dotato di particolare eloquenza o empatia per essere alcuno, sono i gesti posti in rilievo.

3. La gestione della parte pseudo thriller/action. Le autrici di paranormal non sono capaci di scrivere scene d’azione interessanti, credibili, realistiche, che catturino l’attenzione. Evidentemente hanno letto poco di altri generi, o sono incapaci in quello specifico frangente. Infatti, l’intreccio mystery è spesso carente e banale, si percepisce da pagina 20 quale sarà la risoluzione o, peggio, proprio non interessa a chi sta leggendo. È successo anche con Obsidian, l’ultima mia lettura del genere. Ho saltato interi paragrafi. Poco interessanti, le scene di approfondimento o di conflitto sono scritte con la stessa mediocrità del resto, ma almeno prima le schermaglie tra i personaggi risultavano gradevoli. Le parti dedicate ai “cattivi”, o al world building, sono noiose, perché poco ragionate. Se una scrittrice è manchevole nella scrittura delle parti più “movimentate” sarebbe consigliabile che si astenesse dallo scriverle. Oppure che si leggesse qualche thriller/action e prendesse, nel frattempo, qualche appunto.

4. Porre la giusta attenzione nella costruzione dello sfondo narrativo, del world building. Nella quasi totalità dei libri pubblicati l’assunto iniziale non brilla per originalità, è un’accozzaglia di elementi rubacchiati e appiccicati insieme con una colla scadente. Le spiegazioni, poi, sembrano copiate dalle riflessioni di un bambino delle elementari.

5. Non prendersi troppo sul serio. Questa è la parte più difficile. Le autrici sono incapaci di oltrepassare i cliché del genere, di creare personaggi nuovi, imprevedibili, che oltrepassino quella linea invisibile di modelli prestabiliti e riproposti all’infinito. La medesima cosa si può dire dello stile. Monotono, piatto, brutto. Appena qualche frase elementare giustapposta e la consueta descrizione pornografica di ripetitivi atti sessuali. Di solito non c’è divertimento fine a se stesso che alleggerisca la narrazione. Non c’è ironia sottile e intelligente. Non ci sono siparietti scherzosi. Bisognerebbe porre rimedio a questa mancanza.

6. La protagonista. Bella Swan o Anita Blake. Delle due l’una. O è una ragazza normale, un po’ imbranata, oppure è una tostissima. C’è un’assenza di sfumature che spiazza. In InuYasha Kagome non è particolarmente dotata fisicamente, non conosce le arti marziali, è indifesa in più di un episodio, ma reagisce. Ha carattere, non si fa sottomettere da chicchessia e, alle volte, si dimostra risolutiva per l’adempimento di una missione. E, cosa più importante, è coerente, sebbene sia anche lei vittima di un’incostanza sospetta che possiamo attribuire all’adolescenza e alla naturale inclinazione femminile.

Dunque sono queste le motivazioni salienti della mia tesi. In particolare però, e questo vale anche per il romance, si segnala una povertà di espressione e linguaggio che non fa onore al paranormal. Negli ultimi anni, a causa del trend più che positivo e alle buone vendite, l’offerta è calata di qualità, e le lettrici sembrano accontentarsi di qualche sfoggio di pettorali e addominali scolpiti. A mio parere, però, un personaggio maschile carismatico (sexy, virile, misterioso, etc...) non può supplire alle mancanze del resto del romanzo (si veda la serie Fever di Karen Marie Moning). Dubito che la situazione migliorerà a breve, circa la qualità dei paranormal, ma considerando che il successo del fantastico è ormai perito, meglio preoccuparsi di altri questioni più impellenti. Tipo il romanzo erotico. *ride*

Comunque sia, cari lettori, se ancora non l’avete fatto, cominciate la visione di InuYasha, trovate gli episodi integrali su YouTube. Fatelo, perché non ve ne pentirete. Aspetto con trepidazione il vostro feedback.


Recensione "La verità sul caso Harry Quebert" di Joel Dicker

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Autore: Joėl Dicker
Titolo:La verità sul caso Harry Quebert
Titolo originale:La vérité sur l’Affaire Harry Quebert
Traduzione: Vincenzo Vega
Casa editrice: Bompiani
Collana: Letteratura straniera
Pagine: 784
Prezzo:€ 19,50
Data di pubblicazione: 2013
Trama: Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei rischi del suo mestiere: è bloccato, non riesce a scrivere una sola riga del romanzo che da lì a poco dovrebbe consegnare al suo editore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo amico e professore universitario Harry Ouebert, uno degli scrittori più stimati d'America, viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scrittore, a Goose Cove, poco fuori Aurora, sulle rive dell'oceano. Convinto dell'innocenza di Harry Ouebert, Marcus Goldman abbandona tutto e si reca nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta. Marcus, dopo oltre trentanni deve dare risposta a una domanda: chi ha ucciso Nola Kellergan? E, naturalmente, deve scrivere un romanzo di grande successo.


RECENSIONE
Incuriosita dai commenti discordanti e dal passaparola corrente tra i lettori forti ho deciso di intraprendere la lettura di questo libro vincitore di premi così rinomati. Dalla trama mi aspettavo un giallo nel senso tradizionale del termine. Le regole del genere ci sono tutte, ma devo ammettere che in questo senso ne sono rimasta un po’ delusa. Effettivamente l’intreccio, pur essendo calibrato e ben costruito, non mi è parso poi così originale. I personaggi, nonostante le ottime potenzialità, non hanno un grandissimo spessore psicologico. Tuttavia si muovono bene nell’impalcatura imbastita dall’autore che, però, poteva evitare di inserire la madre del protagonista da me trovata insulsa, fastidiosa e poco attinente al contesto in cui viene posta. In più ho rilevato molto spesso l’uso del termine “vomitare” facendomi, spesso e volentieri, venir voglia di offrire un qualche rimedio digestivo a questi interpreti decisamente deboli di stomaco.

Detto questo non posso negare alcuni particolari che mi hanno piacevolmente colpito.
In primo luogo ho trovato interessante la disposizione dei capitoli che seguono un ordine decrescente, ciascuno dei quali introdotto da un piccolo preambolo composto dai consigli di scrittura elargiti dal maestro Harry Quebert al protagonista del romanzo, l’ambizioso scrittore Marcus Goldman. Tali consigli, estrapolati dal contesto, possono comporre un piccolo manualetto per aspiranti scrittori e alcuni di essi li ho trovati particolarmente belli. Ad esempio Harry dice:  
“ […] Scrivere un libro è come amare qualcuno: può diventare molto doloroso”
In questa frase viene spiegato molto bene quello che come lettore mi porta ad amare i libri, belli o brutti che siano, per il semplice fatto che essi contengono nelle loro pagine un pezzo di anima dello scrittore, una sensibilità che, in un qualche modo, trova il coraggio di esprimere e condividere con il resto del mondo, pur sapendo che il mondo potrebbe non apprezzare. Dice ancora Harry: 
“[…] Scrivere un libro è una battaglia”
Questo è un dato di fatto, chi scrive combatte contro se stesso, contro i personaggi che crea, contro una realtà che non gli appartiene e contro dei pregiudizi che lo feriscono. Il paragone che viene fatto con la boxe lo trovo quanto mai azzeccato.

In secondo luogo mi hanno incuriosito e appassionato gli squarci e le sovrapposizioni temporali che si alternano lungo la narrazione che descrivono, seppur schematicamente, l’America degli anni ‘60/’70 messa a confronto con l’America dello scandalo Lewinsky e della candidatura di Barack Obama alla presidenza; insieme regalano al lettore un quadro generale e ben illustrato dell’ambiente in cui i personaggi si muovono e di cui sono il frutto.

Nel complessoLa verità sul caso Harry Quebert mi è piaciuto molto, l’ho trovato scorrevole e tutto sommato avvincente, ma devo anche ammettere che il successo riscosso non mi sembra completamente giustificato, anche perché il prezzo stabilito è piuttosto eccessivo per un periodo di crisi come questo. Se avessi potuto scegliere, avrei preferito un'edizione economica.


L'AUTORE
Joël Dickerè nato a Ginevra nel 1985. La verità sul caso Harry Quebertè il suo secondo romanzo. Il primo, Les derniers jours de nos pères, ha ricevuto il Prix des écrivains genevois nel 2010. La verità sul caso Harry Quebert ha ottenuto il Grand Prix du roman de l’Académie Française 2012 e il Prix Goncourt des lycéens 2012, ed è in corso di traduzione in oltre 25 paesi.

Dracula, la serie tv: arriva il temuto conte succhiasangue

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Cari lettori,
oggi vi parleremo di una nuova serie televisiva vampiresca che debutterà questo autunno. Non è una serie qualsiasi, poiché riaccenderà i riflettori sul vampiro per antonomasia: il conte Dracula.

Il mito del vampiro è ormai da tempo tornato in auge. A partire dalla saga di Twilight, gli assetati succhiasangue sono nuovamente i protagonisti indiscussi delle industrie culturali di questi ultimi anni, specialmente per quanto riguarda i prodotti seriali. Molte, infatti, sono state le serie televisive incentratesi sulla figura di questa creatura delle tenebre. E questo ancor prima che Twilight contribuisse a riportarne in voga il mito. Basti pensare a Dark Shadows, soap opera statunitense trasmessa dal 1966 al 1971, che può essere considerata non solo il capostipite delle serie vampiresche, ma di tutto il genere seriale paranormale poiché all'interno del racconto si trovano ben mescolati viaggi nel tempo, universi paralleli, vampiri, zombie, licantropi e streghe. È negli anni Novanta, però, che genere paranormale e succhiasangue vengono rivitalizzati dal capolavoro Buffy L'ammazzavampiri e dal suo spin-off Angel favorendo, negli anni Duemila, una carrellata di show dedicati al tema: Blade, Moonlight, Sanctuary, Damons, Being Human, Lost Girl e le più popolari True Blood e The Vampire Diaries sono solo alcuni di essi. 

Nell'ampia gamma di scelta, notiamo che sono lontani i tempi in cui il vampiro poteva uscire solo di notte, incuteva timore e soprattutto non era così particolarmente propenso a redimersi per la sua condizione. Anzi possiamo certamente parlare di evoluzione della specie. Alcune di queste creature possono tranquillamente vivere alla luce del sole grazie all'ausilio di uno speciale anello forgiato con la magia (The Vampire Diaries), altre decidono di non nutrirsi di sangue umano ma bere solo sangue sintetizzato per potersi integrare nella società (True Blood). Tra tutti questi esseri affascinanti e dal carisma irresistibile, sta per fare il suo ingresso il vampiro per eccellenza: il temuto conte Dracula. Il nuovo show, creato da Cole Haddon, porta sul piccolo schermo il leggendario Vlad III, traendo spunto dal romanzo di Bram Stoker. La nuova serie tv, il cui debutto è previsto per il prossimo 25 ottobre, è ambientata nel XIX secolo e narrerà le vicende di Dracula nella Londra vittoriana. Il suo obiettivo è uno solo: vendicarsi di coloro che secoli prima gli hanno portato via tutto ciò a cui teneva di più. Per nascondere i suoi intenti il conte è costretto, perciò, a condurre una doppia vita, fingendosi un ricco uomo d'affari americano per celare la sua oscura natura.

Anche Dracula, come i suoi simili televisivi contemporanei, dovrà fare i conti con i suoi sentimenti amorosi poiché si innamorerà diMina Murray, che crede essere la reincarnazione della defunta moglie. In fatto di fascino, il conte non avrà nulla da invidiare a Angel, Damon Salvatore (The Vampire Diaries), Barnaba Collins (Dark Shadows), poiché avrà il volto di Jonathan Rhys Meyers, interprete di Enrico VIII nei Tudors. Nei panni di Mina, protagonista femminile, troveremo Jessica De Gouw, conosciuta per la sua partecipazione ad alcuni episodi di Arrow. E sempre all'interno dello show riscopriremo il personaggio di Van Helsing, antagonista del conte di stokeriana memoria, interpretato da Thomas Kretschmann, che, ironia della sorte, ricoprì il ruolo del vampiro in Dracula 3D di Dario Argento. Ci domandiamo se Dracula riuscirà a imporsi nel panorama seriale e a conquistare una moltitudine di seguaci come hanno fatto The Vampire Diaries e True Blood, i quali da tempo godono di un ampio fandom consolidato. Al momento sembra che questo show punti su quello che Adorno, in Minima Moralia, chiama “il nuovo e sempre uguale”, vale a dire contenuti ogni volta differenti per indurre il desiderio della visione, ma riconducibili a schemi stabili con storie ricorrenti, per facilitare l'immersione del pubblico nelle vicende e per favorire lo sviluppo delle abitudini. Riuscirà Dracula a smentire queste impressioni portando qualcosa di innovativo in ambito vampiresco? Al pubblico, l'ardua sentenza.




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